Matteo Salvini sembra proprio averle studiate tutte, e nel peggiore dei modi per la credibilità sua e del suo partito, per far nascere un’alternativa a se stesso.

La ciliegina sulla torta è venuta, a dibattito quasi concluso al Senato, quando è giunto il ritiro della mozione di sfiducia presentata dal leghista. Pensare che Salvini aveva fatto fuoco e fiamme per discuterla lo scorso 14 agosto.

Ultima, disperata mossa? Inspiegabile, così come inspiegabile è stato il rimanere abbarbicati alle loro poltrone da parte dei ministri della Lega. A meno che il capo dei leghisti non abbia provato a fare un estremo tentativo per continuare a seminare dubbi nel Pd costretto a decidersi se e come dare vita ad un governo alternativo con i 5 Stelle.

Il Presidente Conte, in ogni caso, non si è lasciato disorientare ed è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni.

Il paradosso è che c’è andato senza essere stato sfiduciato da nessuno, neppure dalla Lega. Per quanto riguarda gli sviluppi della crisi, questo potrebbe rivelarsi un elemento influente?

Abbiamo assistito a un duello di dopo pranzo  tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Come quello dell’Ok Corral. Con la differenza che, invece che alle 14:30, a Palazzo Madama è andato in scena alle 15:00.

Il Presidente del consiglio è andato subito al dunque. Al posto della colt, ha messo mano alla matita rossa e blu. L’ha usata per “ correggere” il compito svolto nei mesi scorsi da quello che è oramai il suo ex Ministro dell’Interno. L’ha fatto in modo così meticoloso ed estremo  che è stato facile, poi, alle opposizioni rimproverargli di essersi  deciso troppo tardi.

Giuseppe Conte ha prefigurato un ulteriore possibile programma per un governo futuro. All’insegna del cambiamento e in piena sintonia con la tradizionale collocazione italiana in Europa e la conferma della scelta di campo occidentale.

Sarà lui a svilupparlo? Molto dipenderà dai punti di equilibrio che il Presidente Mattarella sarà nelle condizioni di individuare nel corso delle consultazioni.

Salvini ha sparato tutti i suoi colpi, eludendo molti dei punti contestatigli dal suo Presidente. Sia pure in giacca e cravatta, ha ripetuto tutto quanto già sostenuto a torso nudo sulle spiagge frequentate nei giorni scorsi. Un discorso, oggettivamente, apparso solo propaganda. Applaudito ed apprezzato solamente dai suoi leghisti, tutti tornati a portare al bavero la spilla della Lega secessionista dei tempi di Bossi.

Adesso il pendolo si sposta verso iI Pd.

Gli interventi di Renzi, Zanda e Marcucci, accomunati nel contestare i risultati raggiunti dall’attuale governo e i ritardi con cui Conte è deciso a mettere a posto Salvini, hanno reso evidenti  le sfumature che distinguono le posizioni del primo da quelle del segretario Nicola Zingaretti.

Solo Carlo Calenda si è, però, distinto in maniera netta per una decisa contrarietà a dare vita ad un governo originato da una qualche forma di collaborazione tra Cinque Stelle e Pd. Peccato che egli, in questa vicenda, non possa neppure far valere il proprio voto,  da lui esercitabile solo nell’Assemblea europea di Strasburgo. Tornerà a parlare di dare vita ad un suo partito. Così, se le cose dovessero andare male potremmo trovarci di fronte ad un Pd spaccato in tre diverse formazioni.

Questo, però, è uno scenario estremo, ma che la dice lunga su cosa stia accadendo all’interno di quel partito che voleva porsi quale alternativa sia ai 5 Stelle, sia alla Lega.

A partire dalla Direzione convocata per oggi, per i democratici è venuto il momento delle scelte. O assicurare in qualche modo la nascita di un esecutivo nuovo o optare per la chiamata alle urne. Decisione difficile perché valutazioni e responsabilità generali si intrecciano con giochi di potere interno, a causa della lotta all’ultimo sangue tra Renzi e Zingaretti.

Nel caso in cui il Pd volesse evitare le elezioni, e provare a restare unito, perché altrimenti Renzi perseguirà una linea autonoma con tutta la forza che ha nei gruppi parlamentari, emergeranno altri punti cruciali da risolvere.

Coalizione 5 Stelle Pd? Monocolore 5 Stelle appoggiato da un Pd che indicherebbe alcuni nomi per i ministeri importanti? Un governo istituzionale cui i partiti partecipano, ma senza un impegno diretto? E, ancora, lo guiderebbe Conte che qualche punto potrebbe aver guadagnato dopo la lezione inferta a Salvini? Oppure, altri sono i nomi spendibili per la guida del Governo. Magari quello dell’attuale Presidente della Camera, Roberto Fico?

Oggi sappiamo solamente che dopo aver chiesto i pieni poteri, Salvini rischia di trovarsi con molto meno potere in mano.

Visto che anche al Senato si è riparlato, lo ha rifatto anche lui, di rosari e di affidamenti del Paese alla Madonna, Salvini avrebbe da riflettere sul come le sue preghiere per il bene degli italiani siano state ascoltate.

Per quanto ci riguarda, continuiamo a richiedere una “tregua” e riteniamo che ogni soluzione andrà bene purché essa significhi il cambio di passo della politica e un convergere operoso attorno ai veri problemi degli italiani.

Giancarlo Infante

About Author