I telegiornali nazionali della mattina del 26 luglio c.a. hanno finalmente aperto con le notizie allarmanti provenienti dalla Sardegna che, a dire il vero, brucia da più di 60 ore, precisamente da venerdì sera quando, a causa di un’incidente stradale, dice la fonte ufficiale della Regione sarda, un’auto in fiamme ha appiccato il fuoco in località Sos Molinos, tra Bonarcado e Santulussurgiu, nell’alta provincia di Oristano. In poco meno di tre giorni e tre notti sono andati in fumo 20.000 ettari di territorio e le persone sfollate ammonterebbero a più di 1500: questi dati statistici non dicono quasi nulla del dramma umano che ha vissuto la popolazione sarda di quel territorio, costretta alla fuga dalle proprie abitazioni quando le fiamme degli incendi illuminavano a giorno le nottate di questi paesi e insidiavano le piazze e le case.

I danni all’ambiente, alle aziende agrarie, alle colture e agli allevamenti sono ancora incalcolabili se il Governatore della Sardegna ha dovuto riconoscere che si tratta di un dramma di proporzioni enormi, mai registrate in tutta la storia dell’autonomia regionale. Eppure il 26 aprile 2021 la Regione aveva emanato le Prescrizioni antincendio per il periodo di elevato pericolo di incendio boschivo, dal 1 giugno al 31 ottobre, mettendo in campo forze imponenti a terra  in un sistema decentrato di protezione civile e 8 velivoli di cui 4 Canadair. Tutto questo non è servito a fermare il fuoco nel fine settimana al punto che i dirigenti regionali si sono visti costretti ad attivare il modulo internazionale di cooperazione che ha consentito l’arrivo in Sardegna di 2 Canadair dalla Francia e 2 dalla Grecia.

Il Presidente Draghi ha espresso solidarietà verso la popolazione colpita e ha dichiarato di voler seguire personalmente l’evoluzione della situazione per attivare tutte le misure di sostegno straordinarie previste per eventi eccezionali di questa portata. Ora il dramma si svolge tutto nel cuore dei sardi che si interrogano sul senso della loro autonomia speciale, sulle proprie responsabilità personali e collettive, sul ruolo delle istituzioni nazionali ed europee, sul sogno sempre più flebile della Sardegna Nazione che auspica la propria indipendenza. E l’arrivo dei velivoli francesi e greci unitamente ai primi segnali di solidarietà provenienti dai parlamentari europei dicono che l’Europa c’è.

E la Sardegna dov’è? Alle ultime elezioni europee solo il 36% dei sardi ha deciso di andare a votare registrando il record italiano più basso di affluenza alle urne. Se si considera che alle elezioni regionali del 2019 ha votato solo il 50,2% degli aventi diritto, si può con certezza affermare che i cittadini sardi hanno un problema serio con la politica, a cominciare con la propria politica regionale che non sembra più appassionarli come è accaduto nell’intera storia dell’autonomia. Tutto questo cosa ha a che fare con la catastrofe biblica che colpisce l’isola?

Con il titolo “La brava gente, il cancro dell’isola” lo spiega Marcello Fois nell’articolo di ieri del secondo quotidiano isolano La Nuova Sardegna: il destino di provincialità in noi è diventato endemico con tutto quanto si porta appresso, il bisogno di trovare un senso fuori di noi, la frustrazione sociale, la lagnosità diffusa, l’impossibilità di assumersi responsabilità pubbliche. Il verdetto del giornalista è impietoso: i sardi sperperano il proprio patrimonio fisico e antropologico senza accorgersene. Di fronte alla tragedia in corso “la brava gente” sbraita, sa tutto quello che gli altri non hanno fatto. Tace, ben inteso, su quello che non ha fatto lei. Tutti colpevoli, tutti puniti. Nessun perdono.

Questo quadro di giudizio, una sorta di psicodramma tutto interno alla sardità, non è, a dire il vero, nuovissimo se un intellettuale sassarese della fama di Manlio Brigaglia, già qualche decennio fa, sosteneva che i sardi dovevano ancora risolvere prima la propria “coscientizzazione sardista”, ma immediatamente dopo anche quella nazionale ed europea. Insomma la brava gente sarda che cosa non ha fatto, o saputo fare per scongiurare le proprie disgrazie?

Alla magistratura interesserà sapere che il 7 giugno 2021 il Comitato spontaneo del Montiferru aveva segnalato al Sindaco di Cuglieri, all’Assessore dell’Agricoltura, al Comandante della stazione del Corpo forestale e al Comandante dei Vigili del fuoco di Cuglieri la grave situazione nella quale versava la montagna montiferrina. Tutti sembrano aver fatto spallucce, ma ora quella lettera pesa come un macigno in termini di responsabilità e di consapevolezza del pericolo cui i beni e le persone erano esposte. Chi non ha fatto che cosa? Chi ha abbandonato la campagna boschiva? Chi non ha promosso un rapporto nuovo fra bosco e comunità?

Nel rischio dei pensieri della brava gente sarda c’è anche l’autolesionismo se è vero che dopo il Covid si è diffuso un senso di insicurezza e un crollo della fiducia nei rapporti collettivi. Gli incendi sono endemici nella storia estiva dell’isola come dimostra il fatto che nell’agosto del 1994 si registrò un vasto rogo proprio nel Montiferru, colpito al cuore in questa estate 2021. Ma oggi la Sardegna sembrava più avanti e non si aspettava, tra pandemia e incendi, di scoprire la fragilità della propria autonomia, il rischio dell’illusione della cultura local e la scoperta che senza la dimensione global-europea non c’è salvezza.

Sapranno i sardi, soprattutto i giovani, entrare nello spirito della New Generation EU senza attardarsi nelle commiserazioni e nei piagnistei , piantando saldamente la propria bandiera dei quattro mori in quella tricolore della Repubblica italiana e in quella delle dodici stelle a sfondo blu dell’Europa? Non si tratta di voltare le spalle alla storia della propria terra; per fare memoria basta recarsi al museo civico di Cagliari dove è esposta una famosa scultura del grande artista sardo Francesco Ciusa intitolata “La madre dell’ucciso”, che può suscitare pensieri alti e fecondi sulla storia della Sardegna: una donna accovacciata sui suoi stessi piedi nudi, porta sul capo il fazzoletto che incornicia un volto dallo sguardo fisso, segnato profondamente dalle rughe. Non piange, tiene segretamente nel cuore la desolazione, come se fosse la madre di tutta la terra sarda e di tutti i suoi dolori, forse prega: Deus ti salvet Maria, chi ses de gratia plena…

Antonio Secchi

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