L’attuale situazione storico, politico e istituzionale offre al movimento Politica insieme una straordinaria, forse irripetibile, opportunità: scrivere una pagina importante del cattolicesimo politico e, più in generale, della storia politica del Paese. Non voglio apparire retorico, né alla ricerca di espressioni a effetto, ma è un vero e proprio appuntamento con la storia. Come lo è stato un secolo fa, come lo è stato nel secondo Dopoguerra.

Politica insieme ha un asso nella manica che le altre forze politiche non hanno: dovendo ancora entrare nell’arena politica vera e propria, è libera (Sturzo si appella ai liberi) di decidere e scegliere il proprio futuro senza essere fuorviata da interessi che, per quanto legittimi, ne condizionano l’azione. Allora deve essere forte (l’appello ai forti) per avere il coraggio di intraprendere un’azione rivoluzionaria.

La vera rivoluzione non è quella che si fa sulle barricate, ma quella che si propone di rifondare l’attuale organizzazione dello Stato, perché non è più sufficiente riformare, come quotidianamente ci ammonisce Stefano Zamagni.

Di recente, don Luigi Ciotti su “Famiglia cristiana” ha fatto un’affermazione tanto realisticamente veritiera quanto drammaticamente grave: “Le mafie non attecchiscono tanto nei vuoti di legalità, ma di democrazia”. Questo è l’obiettivo che ci dobbiamo proporre: rifondare la democrazia e riportare la democrazia in quei contesti sociali, economici, imprenditoriali, produttivi, culturali, ma anche istituzionali, dove la democrazia è stata silenziosamente ma inesorabilmente emarginata. Quella di oggi è sempre più una finzione, tanti istituti che dovrebbero essere centrali nella vita democratica sono sempre più scatole vuote, sono soprammobili della democrazia.

Allora bisogna partire da quello che è successo il 2 giugno 1946: gli italiani, le donne e gli uomini, archiviano la monarchia e scelgono la repubblica e la democrazia. Dopo secoli di guerre fratricide tra città e tra stati fratelli; dopo secoli di dominio straniero al punto da rassegnarsi al detto popolare “Francia o Spagna purché se magna”; dopo il raggiungimento dell’unità nazionale umiliata ad allargamento del dominio di Casa Savoia, il popolo italiano si conquista la “propria” sovranità che la “esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

A questo punto si pone il problema di stabilire il modo in cui il popolo esercita la propria sovranità. Uno dei momenti più importanti, anche se non l’unico, è l’elezione del Parlamento quando il popolo affida a deputati e senatori la propria sovranità, sia pure per un periodo limitato. Il problema diventa quello di stabilire quale sia il sistema elettorale più adatto a raccogliere e interpretare la sovranità popolare. Non esiste il sistema elettorale perfetto, così pure ogni sistema elettorale risponde alle esigenze di una determinata fase storica. Non è incoerente Sturzo quando negli anni Venti del Novecento lotta per il proporzionale e nel secondo Dopoguerra esalta l’uninominale.

Il sistema elettorale è il cuore del sistema democratico, come il motore è il cuore di un’automobile. Basti pensare alla bocciatura della proposta di De Gasperi di introdurre un timido premio di maggioranza, proposta che avrebbe senza dubbio prevenuto tanti problemi successivi dell’instabilità delle maggioranze, ma nel 1953 il peso dell’eredità fascista era troppo forte, anche psicologicamente, per non intravedere lo spauracchio del governo forte.

Il sistema elettorale non è un meccanismo neutrale: il sistema elettorale si basa sull’idea di Stato che si intende perseguire. In questa fase storica il movimento cattolico nelle sue diverse articolazioni politica, sociale, economica, del volontariato, dell’impresa e della cultura, deve perseguire l’obiettivo di colmare quei “vuoti di democrazia” denunciati da don Ciotti. Perché nella società i vuoti non restano mai vuoti: c’è sempre qualcuno che li occupa. Ecco perché Politica insieme può dare un senso alla propria storia. E a quella del nostro Paese.

Luigi Ingegnere

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