Mentre il processo di soluzione della crisi di Governo avanza, non è superfluo constatare che ogni giorno che passa già agisce la terapia: la febbre scende (lo spread, la violenza verbale, l’autodenigrazione…) e comincia ad affacciarsi una situazione in cui la divergenza – e anche la contrapposizione – non scatena gli odiatori.
Della crisi molti hanno parlato come di un fallimento della politica. Ma non fallisce la politica, che si rivela ancor più necessaria, fallisce la versione che ne è stata applicata in questi ultimi anni. Si è anche detto che ha fallito una classe politica, e qui c’è più del vero, sempre avendo in mente quella protempore, che ne fa rimpiangere e sperare altre. Ma soprattutto bisogna fare attenzione al fallimento del sistema politico, che non è riuscito a produrre soluzioni vitali, stabili ed efficaci.
Riplasmare il sistema politico rimane l’obiettivo dal quale l’alternarsi di fasi insostenibili o promettenti non deve distrarci.
Da una situazione nella quale il centro era quasi il luogo dell’horror vacui, siamo al centro come luogo di convergenza. Di buono c’è lo svelenimento, il fatto che alcuni personaggi che si sono dichiarati incompatibili si troveranno nella stessa stanza a discutere per decisioni comuni. Tuttavia alla fine dell’incipiente esperienza di Governo, auspicabilmente nel 2023, si tornerà al confronto, sebbene forse più maturo e meno aspro. Ovviamente influirà la legge elettorale.
Il lavoro di costruzione del nuovo centro politico – per quali obiettivi, per quale Paese, per quali persone, per quali progetti – rimane dunque impregiudicato.
La preoccupazione per la gestione della pandemia e il completamento (traguardo che negli ultimi giorni si è allontanato) del piano di vaccinazione e per la qualità e l’efficacia del PNRR può aprirsi verso una responsabilità più fiduciosa.
Sul PNRR si stava già insinuando nel Paese quel clima nel quale si punta a raggiungere la sufficienza, anziché a fare il massimo, e si pensa come riuscire a spendere, anziché come spendere con efficienza e con impatto ottimale in rapporto agli obiettivi. Echeggia nella memoria di settennio in settennio l’affannosa rincorsa finale sui fondi strutturali. In realtà si spende di più e prima nei tempi e nella quantità, se si spende meglio nella gestione e nei risultati.
Molto c’è da fare in poco tempo nel PNRR, dalla messa a punto delle riforme, al superamento della disattenzione verso l’economia sociale e il terzo settore, alla consapevolezza dello squilibrio demografico e alle azioni per le famiglie, alla effettiva determinazione dei progetti.
La digitalizzazione, che riguarda strumenti, non può diventare lo scopo a scapito degli obiettivi specifici, una specie di panacea. Progredire nelle competenze digitali e usare il digitale per trasformare economia e amministrazione è ben di più che moltiplicare gli smanettoni.
Tuttavia la forte concentrazione, che probabilmente troveremo nel programma di Governo, sulle sfide fondamentali (andare oltre la Pandemia, rilanciare l’Italia) differirà alcune questioni che non vanno dimenticate e che devono restare oggetto di riflessioni preparatorie. Si sa che ciò che è (o appare) meno urgente, non sempre è meno importante.
Alcune questioni infatti sembrano essersi eclissate. È bene che si spenga il furore polemico, ma non che si assopisca l’attenzione premurosa.
Pochissimi esempi, dei tanti che si potrebbero fare.
Costruire agli italiani un senso civico all’altezza della responsabilità e della complessità (la compliance fiscale non è solo figlia di norme e controlli; il coraggio imprenditoriale non è effetto di incentivi).
Occorrerà riprendere i termini di una politica dell’immigrazione, che è ben altro dall’ossessione per gli sbarchi e di cui la disputa sulla cittadinanza (ius soli, ius culturae…) non è il capitolo fondante. Se il rilancio dell’economia funzionerà, l’Italia tornerà ad essere più attrattiva di quanto sia stata ultimamente.
Nella politica economica non può mancare una politica per le imprese: che nascano molte imprese ma con maggiore preparazione e minore mortalità nei primi anni e che le pmi che avrebbero interesse a crescere siano assecondate in questa ambizione e non protette nel nanismo.
Ridare spazio ai corpi intermedi affinché siano non solo fattori di tutela statica della coesione sociale, ma motori di una coesione dinamica e di mobilitazione civile.
Se continuiamo a ripetere che siamo la settima potenza industriale (ancora nelle TopTen per PIL) un ruolo internazionale corrispondente è imperativo e comincia dal Mediterraneo.
Ridurre le diseguaglianze, rivitalizzare la natalità, far eccellere l’istruzione sono invece compiti che dovrebbero già rientrare in NGEU.
La fabbrica delle idee e il telaio di una nuova tessitura di dialogo sociale restano così nelle prime pagine della nostra agenda.
Vincenzo Mannino

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