Questa che segue è la seconda  parte dell’articolo a firma Giuseppe Sacco la cui pubblicazione è iniziata ieri (CLICCA QUI)

Del conflitto, che la rivista Limes –  vera e propria “bibbia” dei cultori di geo-politica nel nostro paese, ha definito “la guerra russo-americana” d’Ucraina – esistono, oltre alle conseguenze evidenti che sono state provocate dalla sovrapposizione e dall’intreccio delle sanzioni contrapposte, altri e differenti tipi di risultati, che è molto difficile non considerare negativi; conseguenze che appaiono in tutta le loro evidenza se si guarda all’impatto che la tragedia dell’Ucraina ha avuto sugli altri paesi della zona.

Anche a voler limitarsi a quegli effetti che vanno oltre la semplice applicazione del rozzo criterio del post hoc ergo propter hoc, cioè il criterio della immediata successione temporale – che sarebbe però difficile considerare frutto del caso – l’impatto del conflitto sulle decisioni prese da tali paesi è facilmente visibile. Si tratta di conseguenze che si possono verificare senza grande sforzo di analisi. Basta guardare al caso della Polonia, che può, in un certo senso, essere considerato – e non da oggi – il “paese-termometro” delle febbri che agitano l’Europa centro-orientale. Un paese che il suo attuale governo, ed una parte non trascurabile dell’opinione pubblica, ha per buona parte degli ultimi cento anni, visto come l’antemurale occidentale nei confronti della  Federazione russa. La quale viene – essa – attualmente percepita come non solo come revanchiste rispetto al passato ruolo internazionale dell’URSS, ma addirittura espansionista dal punto di vista territoriale.

Questa parte dell’opinione polacca, e ancor più il suo attuale governo, sembrano ritenere oggi possibile un’estensione dei combattimenti al loro territorio. E ne ha dato la prova provata l’incidente della caduta di un missile molto probabilmente russo, ma che tutte le parti in conflitto si sono precipitate, con un’unanimità che non può non far sorridere, a dichiarare di origine ucraina. I Polacchi si sono perciò impegnati in una politica di armamento che si potrebbe definire forsennata, se questo termine non avesse una implicazione critica, cioè se non implicasse un giudizio politico scettico, o almeno dubitativo, sulla valutazione particolarmente allarmata che governo di Varsavia ha sempre fatto, della minaccia militare russa, in questo primo scorcio di secolo.

Un sano scetticismo sul fondamento e sulla ragionevolezza dei timori della Polonia non sarebbe fuori posto nell’immediato, data la odierna appartenenza di Varsavia alla Nato, che non può che scoraggiare chiunque volesse intervenire militarmente in territorio polacco. Ma tali timori non apparirebbero molto incongrui in una valutazione di lungo periodo, e se si tenesse presente la situazione in cui si è in passato trovata la Polonia. Una situazione in cui si sono duramente applicate, e sembrano ancora validamente applicarsi, le quattro alternative suggerite da un ragionamento geopolitico.  Da un ragionamento, cioè, oggi molto alla moda.

La Polonia essendo geograficamente collocata, in maniera più infausta che ogni altro paese dell’Europa centro-orientale, tra due grandi nazioni storicamente caratterizzate da un’ambiziosa vocazione imperialista, questo rozzo teorema geopolitico spiega – in una certa misura – quello che in passato è stato un idem sentire ormai profondamente radicato nell’insieme del pur composito popolo polacco.

Quando la Russia è forte – dice questa schematizzazione geopolitica – mentre la Germania è debole, la Polonia e condannata al dominio russo. Nel caso opposto, quando la Germania è forte e la Russia è debole, alla Polonia spetta il dominio tedesco. Nella storicamente frequente situazione in cui la congiuntura politica internazionale vede entrambe le nazioni – quella russa e quella germanica – inquadrate in potenti strutture imperiali o statuali, la Polonia è inevitabilmente spartita tra i suoi grandi ed agitati vicini. Solo nelle rare congiunture storiche in cui le vicende della lotta per l’egemonia in Europea hanno contemporaneamente visto russi e tedeschi in un momento di debolezza, la Polonia può vedersi attribuita non solo la forma ma anche la sostanza di uno Stato indipendente.

Dopo il Settecento, questa congiuntura storica si è verificata solo all’indomani della prima guerra mondiale; quando l’impero russo, in preda ad una violenta rivoluzione sociale aveva nel Marzo 1918 accettato la umiliante pace di Brest-Litovsk con gli “Imperi Centrali,” e poco prima che questi nel giugno dell’anno successivo fossero costretti a riconoscere con la disastrosa pace di Versailles, la loro sconfitta. In seguito, dopo un entre deux guerres che in terra di Polonia fu più di guerre che di pace, dopo una nuova – breve, ma tragica – spartizione tra nazisti e Sovietici, e dopo quasi mezzo secolo di forzata appartenenza al blocco dell’Est, una sorta di “indipendenza” della Polonia si concreta solo con la crisi del mondo comunista, quando la potenza di Mosca è ai minimi termini e la appena riunificata Germania è ancora largamente condizionata dalle conseguenze del proprio recente passato.

E’ tuttavia la minaccia russa che, nella presente fase di indipendenza – che pure è cominciata con la dissoluzione del blocco sovietico, seguìto a ruota dalla decomposizione dell’Urss – rimane prevalente, in modo assai negativo, nell’immaginario collettivo polacco. Anche perché in coincidenza con l’inizio del nuovo secolo, la Russia, ancorché privata di enormi porzioni del proprio impero, aveva ritrovato la via della crescita economica e della riorganizzazione statuale.

Essenziale in questo quadro è il fatto che l’eredità sovietica abbia consentito alla Federazione russa di essere dotata di un armamento nucleare comparabile, per alcuni aspetti secondari più sofisticato di quello gli stessi Stati Uniti. Ma non è più la superpotenza del passato. E non è neanche una potenza veramente in grado di sostenere una nuova Guerra Fredda con gli Stati Uniti. Ma rimane una potenza troppo ingombrante per abitare in quella pacifica casa comune europea che era stata sognata da Gorbaciov. E finisce, come la Germania, per essere – per usare una celebre espressione di Henry Kissinger – troppo piccola per il mondo, ma troppo grande per l’Europa. Soprattutto troppo grande per il suo vicino occidentale, la Polonia, appunto.

La cattiva prova data dall’esercito russo di terra nella guerra d’Ucraina spinge però oggi i Polacchi ad una più complessa e articolata visione delle minacce che – nella “angoscia da spartizione” che a giusto titolo ancora oggi li perseguita – essi vedono incombere da Est. Ed è per questo che il partito oggi al potere a Varsavia è parso soffrire di un calo di popolarità. Ed infatti – in un tentativo di recuperare consensi alle elezioni dell’anno prossimo – sta incominciando ad indirizzare un nugolo di strali propagandistici contro il suo vicino occidentale, la Germania.  (Segue)

Giuseppe Sacco

 

 

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