A pochi giorni dal voto europeo e dopo una campagna elettorale che di “europeo” ha detto poco o nulla, si può, se non altro, tentare una diagnosi relativa al funzionamento del nostro sistema politico, guardando, appunto, alle modalità con cui si è sviluppato il confronto in vista del 26 maggio.

Un primo dato da rilevare riguarda le opposizioni. Le fessure, anzi le fratture tra Cinque Stelle e Lega sono innumerevoli, eppure le opposizioni – ambedue – non sono mai riuscite a forzare nessun pertugio per introdursi nelle mille contraddizioni della maggioranza e mostrarne la sostanziale inettitudine a governare.

Piu’ ancora le opposizioni non sono mai riuscite non dico a dettare l’ agenda – francamente sarebbe pretendere troppo – del confronto politico, ma neppure a suggerire argomenti stringenti cui anche chi sta al governo non potesse sottrarsi. Non sono mai andate al di là di un generico europeismo, invocando riforme dell’ordinamento istituzionale dell’ UE che nessuno ha saputo indicare nel merito.

Scontano – anche qui ambedue le opposizioni, sia pure in modo diverso – un pericoloso vuoto di cultura politica.
Appaiono entrambe afasiche ed acefale.

Come un viandante colto in aperta campagna da un furioso temporale estivo che cancella ogni traccia del sentiero che sta percorrendo, l’ una e l’altra – ciascuna nel rispettivo ambito culturale – si mostrano spiazzate, colte di sorpresa da un turbine epocale che le lascia letteralmente senza fiato perché va oltre ogni orizzonte concettuale potenzialmente compatibile con le sorgenti prosciugate delle rispettive originarie culture politiche.

In sostanza, il confronto – se volessimo usare un eufemismo – anzi lo scontro sta tutto dentro l’area di governo che ha finito, appunto, per sequestrare l’intera dialettica elettorale.

Siamo di fronte ad una anomalia strutturale profonda, non occasionale del complessivo sistema politico italiano.
Una distorsione inedita e preoccupante che inevitabilmente ci interpella.

Scontiamo il respiro dispnoico di un apparato politico-istituzionale rattrappito su se stesso, incapace anche solo di concepire l’ampiezza che la dimensione europea dovrebbe imporre alle argomentazioni in campo, ossessivamente condannato a reiterare in modo noioso e pedissequo, i temi di un battibecco puntiglioso e sterile, una rissa di mercato tutta intestina e senza fine.

Attenti, però, a non prendere lucciole per lanterne ed a ritenere che quella tra penta stellati e leghisti sia una coabitazione forzata destinata a sciogliersi necessariamente dopo il voto europeo. Stanno insieme perché’ – come recita un vecchio adagio – “chi si somiglia, si piglia”.

Il “sovranismo” salviniano ed il “populismo” grillino, ben più a fondo del ribollire quotidiano, hanno in comune un cordiale e supponente disprezzo della democrazia rappresentativa e delle sue regole. Non lasciamoci prendere al laccio delle apparenze. Hanno un “sentire comune” che va istintivamente oltre quanto loro stessi riescano a mettere a tema consapevolmente.

E non commettiamo ancora una volta – come fu, a suo tempo, per la Lega – l’errore, raro esempio di cecità politica, di ritenere magari che i Cinque Stelle siano una “costola” della sinistra. Non e’ cosi.

E la cartina di tornasole che lo dimostra – la sinistra di una volta lo sapeva bene; ora ha smarrito anche questa facolta’ di giudizio – sta nello loro ripetuta affermazione di non voler essere, appunto, né di destra, né di sinistra.
Classico ragionamento – si fa per dire – di ogni destra che vuole mostrarsi con l’abito buono. Che fare, dunque?
Cosa aspettarci se queste sono le condizioni in cui versa il nostro sistema politico?

E’ difficile pensare che gli attori in commedia, forze di maggioranza o di opposizione che siano, possano dar luogo ad un processo di riconversione virtuosa endogena.

Con ogni probabilità solo un fatto inedito ed inatteso, solo una provocazione che irrompa da fuori può rompere la crisalide di una situazione incartata su se stessa e liberare le energie necessarie ad avviare una stagione democratica nuova che sia all’ altezza delle sfide cui ci chiama l’ Europa.

Domenico Galbiati

Immagine utilizzata: Shutterstock

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