Segue la prima parte dell’intervento di Edoardo Almagià pubblicato ieri (CLICCA QUI)

Il vertice BRICS: In chiusura d’estate l’Arabia Saudita ha partecipato a Johannesburg al 15° vertice annuale dei cosiddetti BRICS, gruppo di Paesi che fino ad oggi nell’insieme non è mai stato preso molto sul serio. Per ora vi fanno parte 5 nazioni: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Il contesto internazionale nel quale si svolge questa riunione non può certo dirsi dei più facili ma, tra gli oltre sessanta invitati, vi sono una ventina di nuovi paesi interessati a farne parte. Tra questi, proprio l’Arabia Saudita.

Il blocco vuole esprimere le istanze del Sud globale nel quale l’aspirazione è sfidare il dominio dell’Occidente per arrivare ad un nuovo ordine mondiale che possa fargli da contrappeso: l’intento, in breve, è quello di riformare il sistema economico-finanziario internazionale, modificare i rapporti all’interno delle Nazioni Unite e creare una nuova valuta in alternativa al dollaro USA. Nessuno dei presenti ha chiesto la condanna di Mosca per l’aggressione all’Ucraina.

Nel corso dei tre giorni del vertice, gran parte del dibattito che si è svolto è andato appunto nella direzione di un ordine internazionale alternativo che mira a diminuire il peso dei paesi occidentali e ad un diverso assetto economico che possa condurre alla creazione di una nuova unità di conto alternativa al dollaro. Questo nuovo mondo che si sta affacciando sulla scena globale chiede di superare la disparità tra nazioni per ricavarsi un ruolo maggiore nel contesto dell’economia mondiale. Tra i temi affrontati anche quelli relativi alla sfida del riscaldamento globale e del cambiamento climatico.

Malgrado le contraddizioni, non si può ignorare la portata di questo evento anche se  poi l’interesse ad un allargamento del gruppo presenta in sé qualche problema: una volta allargato infatti, questo sarà composto da Paesi così diversi tra loro da far sorgere la domanda su quali criteri d’ingresso stabilire. Assente anche una visione coerente delle cose, pur non essendo difficile riconoscere gli sforzi che ognuno dei presenti vi stia mettendo. Manca infatti una visione condivisa e proponibile dei modelli politici ed economici da favorire e degli scopi da raggiungere. Tra i partecipanti sono emerse molte domande e non deve dunque stupire la diversità degli atteggiamenti assunti e delle idee proposte.

Quelle presenti sono tutte nazioni dai profili diversi, cosa che rende inevitabile la contraddittorietà dei meccanismi di coordinamento: vari e contrastanti sono infatti gli interessi tra di loro. Altra domanda da porsi è quella sugli indispensabili strumenti di credibilità e di fiducia per arrivare a commerciare in valute che non siano il dollaro. Tra il generale aumento di debiti pubblici e privati non sarà certo facile creare dei rapporti di scambio funzionali in un contesto di stabilità.

Il gruppo dei BRICS, dopo non poche contrattazioni, è stato infine allargato ad Egitto, Etiopia, Argentina, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Queste nuove adesioni sono previste per il prossimo anno e non sono avvenute per caso. Ognuna di queste nazioni è stata scelta per delle motivazioni particolari che hanno dato loro la precedenza.

Con queste aggiunte, il gruppo presto comprenderà il 50% della popolazione mondiale e qualcosa come il 35% del suo Pil. Sa che per stare in un mondo multipolare servono nuovi alleati, soprattutto tra i paesi del Sud. Muovendosi nella direzione di un allargamento, i 5 Paesi fondatori vogliono incrementare la loro influenza dando voce alle aspirazioni di quelli del Terzo Mondo. Mirano a veder nascere un più vasto blocco dal quale non potrà che scaturire una grande forza economica e demografica in grado di mettere i bastoni tra le ruote all’attuale ordine internazionale presieduto dagli Stati Uniti ed i loro alleati.

Accenni alla politica estera del Principe:  Conclusa questa passeggiata tra le più recenti attività internazionali del principe, vorrei fornire alcuni ulteriori dettagli per completare il quadro e renderlo più comprensibile.

Sino ad oggi la linea in politica estera si è sempre caratterizzata per le sue scelte filo-occidentali. Più che all’ideologia e alla religione, questa è stata determinata soprattutto da motivi di politica interna e regionale. Fondamentale è stato il rapporto con gli Stati Uniti, nato a seguito della Seconda Guerra Mondiale e dall’emergere della Guerra Fredda. Questo si basava sostanzialmente su una premessa delle più semplici: petrolio in cambio di sicurezza.

Oggi Mohammed bin Salman sembra privilegiare una politica estera dettata dalla posizione geografica del suo paese. Si tratta dunque di un agire disinvolto, attento soprattutto a quelli che sono gli interessi sauditi: in poche parole, cambia il quadro internazionale e variano dunque le alleanze. Il principe dà l’impressione di voler giocare tutte le carte disponibili e raccogliere la torcia di Erdogan al fine di operare a tutto campo, senza troppi impedimenti ideologici. Si tratta di una partita ad ampio raggio che fa leva su una visione di più vasta portata, la più distante possibile da un isolazionismo dettato da un pensiero religioso conservatore.

Così come il suo omologo turco egli non ama avere le mani legate: è un leader autoritario che ha imbrigliato la stampa, soffocato i diritti umani, imbavagliato il giudiziario e che continua a limitare le libertà interne. Il principe vuole darsi un ruolo internazionale di crescente importanza e penso intenda anche mettersi alla testa del mondo arabo. E’ da vedere su ciò cosa abbiano da dire al Cairo. Il vero problema nella regione per l’Arabia Saudita sono i paesi arabi poveri e popolosi, in primo luogo Egitto, Siria e Libano.

Ad oggi egli sa di non potersi esimere dal cooperare con Washington, con la quale ha anche delle intese di collaborazione in campo nucleare. Questa volontà di procedere in direzione dello sviluppo di un’industria nucleare civile spiega in parte anche i suoi rapporti sia con la Cina che con la Russia. Per riuscirvi, così come per realizzare i suoi piani di crescita, sviluppo ed investimenti, egli ha bisogno di muoversi nell’ambito di una regione, anche se non del tutto pacificata, perlomeno tranquilla: ecco spiegata la decisione di riprendere il dialogo con Teheran, riallacciare i rapporti col siriano Assad ed in qualche modo venire in soccorso al Libano.

Riconciliarsi dunque con gli avversari, anche al costo di convergere con regimi autoritari, senza però concedere troppo agli Stati Uniti: in sostanza, aprire un dialogo con chi sembra disposto ad offrire di più sapendo di avere poi sempre l’opportunità di riallacciare con Washington. L’Occidente è per lui un importante partner commerciale col quale divide molti interessi e non può farne a meno: a confermarlo la recentissima notizia di un incontro entro breve tra il Principe ed il premier inglese Rishi Sunak.

Come spiegare quest’evoluzione complessiva? E’ del tutto probabile che per far fronte alla rivalità con l’Iran e rinforzarsi nella regione, egli abbia puntato molto sui suoi rapporti con il presidente americano Trump, il cui primo viaggio all’estero, con gran sorpresa di tutti, è stato proprio in Arabia Saudita. Fu ricevuto con tutti gli onori e tornò a Washington con non pochi contratti in mano. Da lì seguirono poi i cosiddetti “accordi di Abramo”, importante passo avanti nel contribuire a ricomporre le cose nella regione.

A seguito di un attacco di droni dei ribelli filo-iraniani Houthi dello Yemen che ha dimezzato la produzione petrolifera del paese, la mancata reazione degli Stati Uniti deve avergli fatto pensare che forse era tempo di cambiare qualcosa riguardo la sua politica estera, convinzione rafforzata dall’arrivo di Biden alla Casa Bianca. Gli Stati Uniti, con i quali è in vigore un accordo di sicurezza di lunga data, restano comunque un alleato forte ed imprescindibile del quale sa di non poter fare a meno.

Pur muovendosi alla ricerca di un nuovo asse in Medio Oriente, il giovane Principe è dunque attento a non rompere i ponti con gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali. Come visto, se in precedenza sul petrolio il regno saudita giocava la partita dell’Occidente, oggi mostra l’intenzione di ritagliarsi un ruolo esclusivamente suo: da qui cosa l’inizio di un dialogo con la Russia, in quanto grande produttore di petrolio e con la Cina, che ne è il più importante consumatore.

Il conflitto in Ucraina ha sottratto al mercato una parte consistente delle forniture di greggio di Mosca, cosa che ha reso indispensabile poter contare sulla disponibilità delle riserve saudite. Non a caso, nel contesto della cosiddetta Opec +, l’Arabia Saudita è in costante rapporto con la Russia ed il Venezuela allo scopo di giocare la partita del produrre di meno per vendere più caro.

In questo contesto è adesso importante per bin Salman tirarsi fuori dal conflitto yemenita con tutto quel seguito di immagine negativa e di costi che ne derivano. Non è forse un caso che proprio nel momento in cui Blinken si trovava in visita nel suo paese, l’Iran abbia riaperto la sua ambasciata che era stata chiusa nel 2016. In questo contesto un ulteriore argomento da affrontare è quello della stabilità delle rotte marittime che attraversano lo stretto di Hormuz.

L’ambizioso piano di bin Salman:   Questo maggior ruolo che il giovane principe vede per il suo Paese in politica estera si accompagna ad un ambizioso piano per migliorarne l’immagine, rinnovarlo internamente e dargli grande visibilità nel mondo.

 L’idea è quella di cambiare radicalmente l’immagine dell’Arabia Saudita e non più, come è stato fino ad oggi, collegarla alla sua storica dipendenza dal petrolio. Non vuole inoltre che appaia agli occhi del mondo come una nazione che nega i diritti umani, perseguita gli oppositori e non consente critiche al regime. E’ possibile che egli possa pensare a sperimentazioni di questo tipo perché a forza di minacce ed intimidazioni gli è finora riuscito di accentrare su di sé tutti i poteri. Le recenti notizie sull’uccisione da parte delle sue guardie di frontiera di numerosi immigrati etiopi al confine con lo Yemen non lo aiutano di certo, così come i suoi tentativi di “sauditizzare” la popolazione.

Tra i suoi progetti vi è quello di organizzare la prossima Coppa del Mondo di calcio ed i Giochi asiatici invernali attesi per il 2029. Con questi obbiettivi in mente, egli non lesina spese nell’elaborare progetti e nell’acquistare i nomi più importanti del calcio internazionale come Neymar, Cristiano Ronaldo, Benzema, Koulibaly, Manè e molti altri. Tutto ciò gli è costato intorno ai 6 miliardi di dollari negli ultimi due anni.

Altra carta sulla quale intende puntare è quella del turismo, tanto da concepire progetti di tale ambizione da poter attirare milioni di visitatori: si tratta di fare dell’Arabia Saudita, anche per via dei suoi 2mila km di costa sul Mar Rosso, la prima meta turistica del mondo. Inclusa in questi progetti anche una città del tutto nuova, progettata su schemi futuristici e abbinata ai Giochi invernali, una sorta di utopia nel deserto che si chiamerà Trojena e che sorgerà tra cime alte più di 2000 metri.

Il progetto Neom:  Questa fantascientifica località di montagna che dovrebbe sorgere in pieno deserto fa parte del progetto Neom, articolato su tre zone: il centro urbano intelligente di The Line, la città portuale di Oxagon, la più grande mai costruita sulla superficie dell’acqua e appunto Trojena, con i suoi impianti sciistici. Questo progetto dovrebbe essere completato entro il 2026 e ospitare qualcosa come 9 milioni di abitanti. E’ anche prevista la costruzione di un grandioso monumento in piena Riyadh che sfiderà l’immagine della torre Eiffel di Parigi.

 Nella sua ambizione, questo progetto che per la parte turistica ha tratto ispirazione dagli Emirati Arabi Uniti e per lo sport dal Qatar, rappresenta una scommessa enorme per la quale il principe saudita ha creato appositamente un fondo sovrano di 620 miliardi di dollari. Con questi grandiosi progetti egli vuole proiettare un’immagine del suo regno che non sia solo associata a quella di una terra ove vige il più ferreo rigorismo islamico, ma lo ponga al centro della modernità dando lustro al suo nome in tutto il mondo.

La maestosità dei suoi progetti non è riuscita ad impedire alle associazioni per i diritti umani e a quelle per la tutela ambientale di sollevare non poche critiche e perplessità.

Si tratta di un disegno colossale che non potrà che dar lustro al paese ma, agli occhi di chi conosce l’Arabia Saudita e l’Islam, sorge immediata una domanda: come sarà possibile conciliare questa visione di un futuro moderno, tecnologico, di accelerato sviluppo ed all’avanguardia, edificato sullo spettacolo, i grandi eventi sportivi ed il turismo, con il rigore di quel conservatorismo religioso fondato sui severissimi precetti della dottrina wahhabita?

 WahhabismoAlfiere di un rigido rinnovamento del credo islamico, il pensiero wahhabita è oggi la fede dominante nel Regno saudita. A distinguerlo, una forma estremamente rigida di Islam volta a tornare alla purezza delle origini. Questa richiede un’interpretazione letterale del testo coranico ed una rigorosa applicazione della legge islamica. Chiunque pratichi l’Islam in modo difforme viene considerato non solo nemico della fede, ma addirittura un apostata od un pagano.

 Non deve dunque stupire se da questa corrente di pensiero siano emersi personaggi come bin Laden e movimenti come quello talebano: il wahhabismo ha dato un contributo importante e decisivo allo sviluppo dell’ideologia islamista e resta forte su quei movimenti che aspirano a disegnare nuovi equilibri geo-strategici fondati sul modello islamico.

Sulla base di questo pensiero intollerante e radicale è sorto lo Stato saudita che, dalla sua fondazione nel 1932, di questo ha fatto la sua dottrina ufficiale ed il suo principale riferimento. E’infatti nel 1744 che venne stretto un patto di reciproca fedeltà tra lo studioso islamico Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb e l’emiro Muhammad bin Saud. A segnarne e giustificarne l’influenza, il possesso ed il controllo dei due più importanti Luoghi Santi dell’Islam, La Mecca e Medina, ai quali sono da aggiungere le immense ricchezze petrolifere del Paese.

Partendo da questa brevissima premessa, non è difficile comprendere su quali basi la monarchia saudita abbia fondato il suo potere, i suoi costumi ed i suoi assetti politici interni. Quello wahhabita è uno dei fronti più tradizionalisti e rigidi dell’intera famiglia sunnita, portatore inoltre di una visione tra le più conservatrici del mondo islamico per la quale gli sciiti non sono neppure dei credenti.

 A caratterizzarlo, tra le altre cose, una rigida separazione dei sessi, ferree restrizioni per tutti i luoghi di intrattenimento, divieto assoluto di consumare alcol ed una severa applicazione di quelli che sono i principi dell’Islam. Ciò spiega il motivo per cui la casa regnante saudita non abbia mai adottato una Costituzione capace di limitarne e controllarne i poteri, fino ad oggi quasi assoluti: sono infatti assenti sia organismi politici eletti che partiti capaci di concorrere tra loro per le preferenze dell’elettorato. A farla breve, l’intera compagine saudita dipende dalle scelte operate dalla famiglia reale e dai suoi rapporti con il clero wahhabita. In mancanza di dati statistici accurati è solo possibile dire che la maggioranza dei sauditi segue il credo wahhabita.

Resta un punto interrogativo l’ancora irrisolto problema del rapporto tra la modernità e la fede musulmana. Tutto ciò non può che avviare una riflessione approfondita su come risponderà la società saudita considerata la sua tradizione culturale. Nel nostro Occidente, il percorso seguito dai più recenti studi mediorientali si è spostato dalla tradizionale analisi dei testi antichi e della ricerca filologica per concentrarsi sulla politica, l’economia e gli sviluppi sociologici al fine di dimostrare che il Medio Oriente si sta indirizzando verso un percorso di riforma, sviluppo e modernizzazione.

 Non vi è dubbio che dal secondo dopoguerra l’Arabia Saudita sia cambiata enormemente al punto di diventare quasi irriconoscibile. La tradizionale cultura beduina è scomparsa e non vi sono più paesaggi unicamente aridi, desolati e roventi. La scoperta di immensi giacimenti petroliferi e la valanga di quattrini che ne è seguita hanno contribuito a scardinare tutto un mondo.

 Oggi chi si reca nelle grandi città si trova di fronte a lussuosi grattacieli, immensi centri commerciali, nuovi e modernissimi centri istituzionali e di ricerca insieme ad imponenti arterie stradali. Il benessere e l’euforia del consumismo hanno travolto ogni cosa, tanto che vi si può comprare di tutto, inclusi i liquori. Insieme a tutto ciò, anche la società è andata cambiando: si è fatta più articolata e sono apparse nuove classi di tecnici, esperti e maestranze specializzate che si sentono vicine al modello di vita occidentale e aderiscono ai miti del XXI secolo. La tradizione comunque ancora pesa: non poche sono le donne che portano il velo volontariamente e anche se non è granché visibile, ancora circola una polizia religiosa.

 E’ il regno saudita pronto a voltare pagina? Saranno tutti disposti ad aderire a norme sociali e morali del tutto nuove? Potrà nascere una classe dirigente nuova in grado di offrire alla comunità una leadership politica e religiosa indipendente da quella tradizionale? Quale sarà il nuovo modo di pensare il rapporto tra la fede, il progresso, la politica e la società? Quali le reazioni all’interno della famiglia reale?

 Dubbi, rischi e problemiSarà necessario per Mohammed bin Salman affrontare un insieme di sfide interconnesse che vanno dalla sicurezza, all’economia, alla politica, agli equilibri sociali se non addirittura alla demografia. L’impatto sarà enorme e vi è da chiedersi se le istituzioni saranno in grado di sostenerlo. Si tratta di allargare e pilotare un’idea estrema di modernizzazione, moltiplicando tra l’altro nuove professioni.

Quali ne saranno le conseguenze sul Paese, la monarchia e la società? Come si comporteranno i giovani e quali le loro scelte? Come vivranno le donne? Come vestiranno? Quali i loro rapporti con l’altro sesso? Oggi queste possono guidare un’automobile, concessione indispensabile se si vuole che si rechino al lavoro: un Paese moderno che ha bisogno di crescere e svilupparsi non può permettersi di fare a meno del contributo femminile tenendo in casa metà della popolazione. Fino a poco tempo fa le donne potevano recarsi unicamente nei centri commerciali, oggi è consentito loro di andare al cinema, recarsi a concerti ed assistere a giochi sportivi. Nelle sale cinematografiche non viene però proiettato ogni genere di film e non a tutti è permesso andarci.

Malgrado questi progressi, nel paese vige ancora un regime di censura. E’ comunque indubbio che le donne godano di maggiore libertà e che la società si sta progressivamente aprendo. Fino a che punto però? In questo paese tutt’ora rigorista non vi è dubbio che il giovane bin Salman stia avanzando con una terapia d’urto. Gli sarà possibile forgiare una nuova nazione oppure rischia di disfare quella che già esiste? Come reagirà il clero wahhabita e che posizione prenderà la famiglia reale?

Muovendosi nella direzione dei suoi progetti, il giovane principe si avvicinerebbe gradualmente a quella che sarebbe una società libera, aperta, democratica e del tutto simile ai modelli occidentali. Vi si svilupperebbero inevitabilmente individualismo, pluralismo, laicismo, tolleranza, materialismo, libertà d’espressione e, con tutta probabilità, anche un rilassamento dei costumi. C’è da domandarsi se tutto ciò non possa entrare in rotta di collisione con quelli che sono i valori religiosi e tradizionali della società saudita, del suo clero e della Casa reale.

Queste, e non sono le sole, sono tutte domande che hanno bisogno di trovare una risposta. Lo stesso, come si è visto nel caso dei rapporti con Israele: se le destre nazionaliste e religiose dovessero continuare a governare il paese, fino a che punto sarebbe possibile arrivare ad una normalizzazione? Come conciliare questo auspicio con le violenze quasi quotidiane cui sono sottoposti i palestinesi in Cisgiordania? Per ora agli aerei di linea israeliani è dato il permesso di sorvolo del territorio saudita. E’ un inizio, ma per andare oltre il principe dovrà come minimo chiedere la ripresa del processo di pace e l’instaurazione di uno Stato palestinese. Tutto ciò allo stato attuale è altamente improbabile.

 Conclusione:   La situazione di guerra nella quale si trova l’Ucraina ha rafforzato l’Arabia Saudita ed il giovane Principe è intento a cogliere l’occasione per spingere il suo Paese verso il centro dello scacchiere internazionale. A contribuire a questo suo senso di sicurezza, l’aver superato indenne l’omicidio di Khashoggi e la consapevolezza che l’Arabia Saudita rappresenta la prima potenza del Golfo ed è uno dei massimi produttori al mondo di petrolio.  E’ giovane e data la sua età, una volta salito al trono è probabile possa regnare a lungo. Si è avvicinato alla Siria e all’Iran, tratta con l’Iraq, si è riconciliato con la Turchia, osserva la situazione in Libano e mostra di volersi emancipare dal tradizionale rapporto con gli Stati Uniti. Di fronte al conflitto ucraino è riuscito a conservare una prudente equidistanza.

Con le sue idee futuristiche, espresse dal cosiddetto progetto “Visione 2030”, egli vuole allontanarsi da quell’eccessiva dipendenza dal petrolio per andare alla ricerca di altri e più moderni modelli di sviluppo: per via del cambiamento climatico non è più rinviabile l’elaborazione di piani di crescita alternativi ed una visione del futuro non basata esclusivamente sulla produzione e vendita di idrocarburi.

 Benché l’Arabia Saudita sia un paese molto ricco, per rimpinguare le sue casse non esita quando necessario a tagliare la produzione di greggio e manovrare per sostenerne il prezzo: idealmente vorrebbe estrarre meno petrolio e venderlo più caro. Ha tuttavia bisogno di attirare capitali esteri e per riuscirvi deve operare in un contesto stabile e, come visto in precedenza, sistemare tutta una serie di problemi con i vicini accordandosi anche con alcuni di loro.

Mohammed bin Salman sa che per regnare ha bisogno del consenso della nazione e soprattutto dei giovani: per ottenerlo, deve far crescere ed arricchire il suo regno allo scopo di offrire loro un lavoro. Oggi il 30% di questi giovani sono disoccupati, anche perché poco abituati a lavorare.

In attesa del 2030 l’Arabia Saudita si sta muovendo, così come avanza la sua società: di fronte alla portata del cambiamento, a questi progetti e alle loro ripercussioni, c’è da domandarsi se bin Salman riuscirà a portarli a termine senza tener conto dei diritti umani e della dottrina wahhabita sulla quale fino ad oggi si è retto il Paese.

I giovani oggi lo appoggiano, anche se con delle riserve, e tendono a stare zitti. Concede diritti alle donne, ma poi le attacca. Offre delle libertà inedite, utilizza lo sport per creare un sentimento di unità nazionale ed intende aprire il paese a masse di turisti. Ma sarà realizzabile tutto ciò e potrà durare?

Su questo la Storia più di tanto non può informarci: non può infatti fornire uno sfondo costante ed immutabile. Come visto, vi sono oggi nuovi e ben diversi elementi da prendere in considerazione che non rappresentano né una continuità di politica come neppure di cultura all’interno del regime saudita che, per assetti interni e costumi, è un regime di tipo tradizionale retto da una monarchia illiberale. Si tratta di una situazione senza precedenti che rischia di travolgere le fragili strutture dello Stato e creare tensioni in seno alla famiglia reale.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione religiosa, sociale e politica all’interno di un paese nel quale l’Islam è un elemento fondante e sul quale si era finora retta la società saudita. Se realizzato fino in fondo, questo cambiamento avrà un impatto difficile da prevedere dato che si è avuta finora una monarchia illiberale fondata su profonde radici religiose che fanno dell’Arabia Saudita la culla del rigorismo wahhabita sin dal XVIII secolo.

 Il Principe sembrerebbe ora voler mettere il clero da parte per creare un nuovo Paese e dargli un’immagine più moderna e consona ai tempi. Cosa ne sarà dell’identità islamica del Paese di fronte ai suoi interessi ed obbiettivi di rigenerazione? Potrebbe rinchiudersi in se stesso o finirà col dissolversi nella modernità e nel richiamo dei tempi nuovi? La domanda è grande e la risposta che avrà non solo si rifletterà sugli equilibri dell’intera regione ma anche sulla natura stessa dell’Islam. Se da un lato tornare indietro presenterebbe grandi rischi, andando avanti dall’altro non sarebbe di meno.

Edoardo Almagià

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