Preludio: I temi che verranno affrontati in questo testo sono piuttosto recenti e dunque tutt’ora in pieno svolgimento.
A rendere le cose più complicate, un contesto geopolitico globale in continua evoluzione e particolarmente fluido. Il fare previsioni o giungere a delle conclusioni è del tutto azzardato. La posta in gioco è però tale da rendere utile una descrizione degli eventi ed una bozza di analisi anche se non sono ancora visibili quegli spiragli in grado di offrire risposte certe.
Gli eventi storici tendono generalmente ad avanzare con lentezza ed in modo progressivo. Le cose oggi si muovono a tale velocità da lasciar spesso disorientati soprattutto se vi si aggiunge l’assenza di quella distanza critica che rende possibile esprimere dei giudizi: è tutto un ribollire di eventi e non ci resta che guardare e porci almeno qualche domanda.
Le pagine che seguono evidenziano un insieme di sfide, tutte connesse tra loro, che dovranno essere inevitabilmente affrontate e che sono di amplissima portata. Abbracciano infatti non solo il campo della politica, dell’economia, della sicurezza, ma anche quello del cambiamento climatico e persino dunque degli equilibri demografici.
L’auspicio è che questo testo possa servire ad avviare una riflessione approfondita sulle sfide e le minacce che possono sorgere in Medio Oriente e renderlo terreno ulteriormente fertile per gruppi armati ed altri problemi, figli anche del perdurare di interferenze destabilizzanti da parte di concorrenti strategici.
Sino ad oggi, va detto, sono stati compiuti non pochi progressi, ma il pericolo tuttavia continua ad essere in agguato: non tutti i passi necessari sono stati compiuti ed il contesto resta sempre quello di un vicinato complesso ed irto di insidie nel quale protagonisti sono regimi dalle istituzioni fragili che continuano a rappresentare una sfida a quei valori di libertà, tolleranza e democrazia a noi tutt’ora cari.
Adesso, ai fatti.
Negli ultimi mesi sono giunte dall’Arabia Saudita una serie di notizie che meritano qualche attenzione. Inizieremo con il trentaduesimo vertice della Lega Araba ed in questo contesto i fatti degni di nota sono due.
Una visita a sorpresa: Il primo è che su richiesta del principe ereditario Mohamed bin Salman, il presidente ucraino Zelensky si è recato a Gedda come ospite del 32mo vertice della Lega Araba. Si tratta di un evento importante, dato che mai in precedenza questi si era rivolto ad una platea musulmana.
Perorando la causa della sua nazione, di fronte ai suoi ospiti arabi egli ha condannato l’aggressione russa lamentandosi anche del fatto che alcuni paesi della regione continuino a chiudere gli occhi di fronte a questa invasione. Rivolgendosi ai leader presenti, egli ha chiesto loro di “guardare con onestà” al conflitto in corso.
Scopo di questo incontro è stato anche quello di rafforzare le relazioni con il mondo arabo ed affrontare questioni energetiche. Zelensky ha poi invitato il giovane principe a recarsi a Kiev nella speranza di poter portare la collaborazione tra i due Paesi ad un nuovo livello. Bin Salman è conscio che quello ucraino è un conflitto che lo supera, ma spera in qualche modo di poter contribuire come mediatore, sapendo probabilmente che né Mosca né Kiev possono andare avanti all’infinito sia dal punto di vista economico che politico.
Il ritorno di Assad: L’altra notizia di rilievo è che dopo 12 anni di isolamento vi ha partecipato anche il presidente siriano Assad. Questa presenza inaugura il suo rientro sulla scena internazionale dalla quale era stato escluso a seguito della guerra civile del 2011 scoppiata nel contesto della più vasta Primavera Araba.
Aggrappandosi al potere e di fronte alla protesta popolare, egli ha reagito con durezza e crudeltà inusitate, quali bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile, uso di gas tossici, torture, esecuzioni e repressione sistematica. Malgrado questo invito al vertice e la sua reintegrazione nella Lega Araba, egli resta comunque un personaggio infrequentabile il cui regime si è macchiato di innumerevoli crimini contro l’umanità.
Come verrà più avanti indicato, a spiegare questo cambiamento è il contesto di distensione regionale che, tramite la Cina, è sfociato nell’avvicinamento tra Arabia Saudita ed Iran, passo che a sua volta ha finito col coinvolgere anche la Turchia e l’Iraq.
La monarchia saudita rimproverava il presidente siriano di essersi gettato tra le braccia di Tehran dalle quali vorrebbe allontanarlo. Le due nazioni in precedenza appoggiavano fazioni diverse, cosa che impediva qualsiasi aggiustamento. Oggi continuano ad essere attivi in Siria gruppi jihadisti che Riyadh teme ed è per questo che viene invocata una soluzione politica da negoziarsi tra le parti e senza interferenze esterne: data l’impossibilità di una opzione militare lo scopo sarebbe quello di creare una situazione di equilibrio senza né vinti né vincitori. Questo rende indispensabile l’apertura di un dialogo tra le parti.
La visita del presidente Assad è dunque avvenuta in un contesto di normalizzazione generalizzata nel quale verranno affrontati temi quali il conflitto tra fazioni militari nel Sudan e la guerra civile nello Yemen, figlia anch’essa delle fratture in seno a numerosi regimi arabi provocate dalla già menzionata Primavera Araba. Più in particolare, si tratta per lui di ritrovare un suo posto all’interno della Lega e riavvicinarsi alle ricche monarchie del Golfo per far fronte ai problemi della ricostruzione a seguito delle devastazioni causate da 12 anni di guerra e alle dislocazioni causate alla popolazione civile.
In un paese di poco più di 18 milioni e mezzo di abitanti tra profughi e sfollati si parla di circa 12 milioni e mezzo di persone, 5,6 milioni delle quali sono bambini. Al suo interno il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà: si tratta dunque di un paese distrutto nel quale non è più possibile parlare di una vita normale.
Di fronte alla platea dei delegati e dei capi di Stato il presidente siriano ha auspicato l’inizio di una nuova fase che inauguri nella regione un’azione araba comune e renda finalmente possibile agire in favore della pace, della prosperità e dello sviluppo.
Parlando di “grandi speranze” per il futuro, Assad ha voluto fare anche riferimento ad un desiderio di veder migliorare i rapporti tra il suo paese e i vicini arabi, così come tra Arabia Saudita ed Iran. Ha inoltre lasciato intendere di auspicare un riavvicinamento con la Turchia, oggi influente nel suo paese e protagonista in Ucraina per la sua capacità di intrattenere rapporti importanti sia con Mosca che con Kiev. Da notare anche il suo appello ai Paesi arabi di rifiutare interferenze esterne e la richiesta ai membri della Lega di astenersi dall’intromettersi nelle questioni interne di altri paesi arabi.
Oltre alla cancellazione dei passati screzi, questa sua partecipazione ha segnato il reintegro ufficiale del presidente siriano nella comunità araba. Va comunque ricordato che quello suo è stato un regime di terrore implacabile che oltre a causare la morte di circa 500 mila persone, ha anche provocato grandi ferite nell’animo di milioni di profughi e di sfollati la cui vita è stata irrimediabilmente spezzata. Vale anche la pena segnalare che prima di questa normalizzazione dei rapporti con i Paesi arabi, i due grandi alleati di Assad erano Russia ed Iran.
Il presidente siriano è tutt’ora un grande alleato di Putin, al punto di non averne mai condannato l’aggressione all’Ucraina. Se ancora oggi è al potere, in gran parte lo deve all’intervento russo. Lo stesso argomento vale anche per il regime di Teheran: grazie al loro aiuto infatti egli ha potuto riprendere in mano il controllo di buona parte del paese.
Lo scopo principale della sua presenza a Gedda è cercare fondi per rinforzare il suo regime e rimettere in piedi il Paese. Egli è tutt’ora a capo di quello che potrebbe definirsi un narco-Stato sottoposto a sanzioni americane ed europee. Come ulteriore punizione nei confronti del suo regime, ma soprattutto per impedirgli di stornarli a proprio vantaggio, l’Occidente ha da tempo deciso di non inviare più aiuti.
L’assoluzione di Assad resta un risultato amaro, un segnale di impunità che mostra come la Lega Araba non possa certo apparire un foro di democrazie.
Questa 32ma riunione della Lega Araba ha segnato un passo importante per aver condotto ad una ricomposizione di forze in Medio Oriente e segnalato la volontà del giovane principe ereditario saudita di posizionarsi alla testa del mondo arabo.
La visita del Segretario di Stato americano: Alla fine della prima settimana di Giugno Antony Blinken si è recato a Riyadh per un colloquio con il principe ereditario bin Salman ed una riunione del Consiglio di cooperazione del Golfo, mirante a tutelare la causa della pace e della sicurezza nella regione e possibilmente anche oltre.
L’intento di Washington è riallacciare i rapporti con la monarchia saudita e costruire un futuro più stabile e sicuro in Medio Oriente al fine di conservare la sua presenza ed influenza nell’area.
Nell’incontro con Mohammed bin Salman egli si è concentrato sui rapporti bilaterali e la cooperazione tra i rispettivi paesi. La discussione si è poi estesa non solo a quelli che sono gli sviluppi regionali, ma anche internazionali. Conscio della natura del regime e del carattere del suo interlocutore, Blinken ha rapidamente evocato il tema del rispetto dei diritti umani ma senza insistere più del necessario dato che con un simile interlocutore le lezioni di morale poco attecchiscono.
L’incontro tra i due si è svolto in modo discreto e senza sfoggio di grande amicizia. Per gli Stati Uniti si è trattato di tornare a farsi vivi in seguito al grande attivismo mostrato dalla Cina nella regione. Washington è preoccupata dai buoni rapporti che i sauditi stanno costruendo con Pechino: quest’ultima vuole infatti stabilire una sua presenza in Medio Oriente essendo già oggi il primo acquirente di petrolio saudita.
L’Arabia Saudita vende attualmente più di 7 milioni di barili di greggio al giorno, cosa che ne fa il maggior produttore mondiale. Di questi, il 24% è acquistato dalla Cina. I due Paesi inoltre hanno investimenti reciproci per qualcosa come 10 miliardi di dollari. Questo, oltre che al crescente emergere della potenza cinese che ha iniziato inoltre a muoversi anche nell’area, fa sì che l’Arabia Saudita volga con maggior interesse lo sguardo verso Oriente.
L’obbiettivo del principe, che non può non aver notato il recentissimo viaggio a Pechino del leader palestinese Abu Abbas, oltre che diversificare la sua economia e dotarsi di più carte da giocare di fronte ad una Cina che nella regione è sempre più presente, è anche quello di consolidare le sue ambizioni per affermarsi come l’uomo forte dell’area. Egli sa di trovarsi di fronte ad un mondo che cambia e all’emergere di nuove potenze che ai suoi occhi rendono meno prioritario il tradizionale rapporto tra la monarchia saudita e gli Stati Uniti. Non un allontanamento dunque, ma la volontà di stabilire un serie di rapporti costruiti su partenariati multipli, scelti a secondo degli obiettivi e delle circostanze.
Il viaggio a Parigi di Mohammed bin Salman: Alla metà di Giugno il principe saudita si è recato in Francia e si è fermato in una delle sue proprietà nella capitale. Ospite del presidente Macron, egli ha avuto con lui un incontro all’Eliseo.
Dato l’andamento delle cose nel mondo, il leader francese ha pensato di sdoganarlo e riprendere a fare realpolitik. Fino a poco tempo fa – va ricordato – il principe saudita era considerato infrequentabile a seguito dell’assassinio nella sede del consolato saudita ad Istanbul del giornalista dissidente, oltre che cittadino americano, Jamal Khashoggi. Il suo corpo era stato fatto a pezzi e poi sciolto nell’acido.
Come lo si è visto nel caso di Blinken sui diritti umani, il mondo essendo quello che è, certe indignazioni non durano molto. Il principe nel frattempo ha giocato al meglio le carte a sua disposizione per reinserirsi nel contesto del gioco internazionale.
Nel ricevere e riabilitare bin Salman, Macron sperava di persuaderlo a far pressione su paesi non allineati al fine di indurre Putin a ritirare le sue truppe dall’Ucraina. Il principe è in buoni rapporti sia con Mosca che con Kiev alla quale, pur conservando i suoi legami col presidente russo, aveva inviato aiuti umanitari. All’assemblea delle Nazioni Unite egli aveva anche condannato per ben tre volte l’aggressione russa.
Altro obiettivo dell’Eliseo era quello di poter intervenire in qualche modo sulla questione del dossier nucleare iraniano. Nel mese di Marzo – infatti – l’Arabia Saudita aveva firmato a Pechino dopo 6 anni di crisi diplomatica, un accordo con l’Iran. In questa riconciliazione la Cina, che è un importante sostenitore dell’Iran, ha avuto un suo ruolo anche se forse meno importante di quello che si pensa.
Ulteriore capitolo di rilievo per il presidente francese è quello dell’instabilità politica in Libano, paese nel quale la Francia ha sempre avuto un ruolo storico. Macron si augurava che i sauditi potessero far pressione sull’Iran al fine di trovare un compromesso sulla nomina del nuovo presidente libanese che il gruppo sciita di Hezbollah continuava ad ostacolare.
Ultima, ma non meno importante considerazione, quella di usufruire di un aiuto saudita nel contribuire a pacificare la regione.
Su tutti questi punti Macron vorrebbe indurre bin Salman a prendere posizione, offrendogli in cambio un aiuto per estricarsi dal conflitto civile nello Yemen che continua ad assorbire risorse e si è trasformato in una tragedia umanitaria. Per l’Arabia Saudita tutto ciò ha un costo in quanto rappresenta uno stallo economico, militare ed umanitario.
Per meglio capire i motivi del presidente francese, è utile ricordare che egli ha in mente un futuro vertice a Parigi per un accordo finanziario mondiale volto ad alleviare la povertà. La partecipazione di un paese come l’Arabia Saudita sarebbe per lui molto importante.
In tutte ciò, è bene notare che benché il giovane principe non voglia più essere lo strumento dell’Occidente nella regione, i suoi rapporti economici con questi Paesi restano sempre molto solidi e continueranno ad esserlo. Si è trattato per lui della seconda visita in Francia nello spazio di un anno, cosa che ne conferma la definitiva riabilitazione e per questo deve anche ringraziare la guerra in Ucraina che ha costretto l’Unione Europea a rinunciare al petrolio russo.
A seguito di quest’incontro è comunque apparso che non tutti i francesi si sono trovati d’accordo con il loro presidente su questi rinnovati rapporti con Riyadh: in molti infatti denunciano il pessimo comportamento del principe riguardo i diritti umani e sottolineano come, dopo la Cina e l’Iran, l’Arabia Saudita sia il terzo paese al mondo per numero di condanne a morte.
La visita nel Golfo di Erdogan: Intorno alla metà di Luglio, il presidente turco Erdogan si è recato in visita negli Emirati del Golfo, oltre che in Qatar ed Arabia Saudita. Si è trattato di un’ulteriore manifestazione del disgelo incorso tra questi Stati, una ricomposizione diplomatica che si spiega che per Erdogan questi rapporti sono necessari, come lo sono anche per le monarchie locali, tutte ben consapevoli del vantaggio di avere buoni rapporti con un paese come la Turchia.
Erdogan ha intrapreso questo viaggio perché alla ricerca di investimenti esteri resi indispensabili dalla sua politica monetaria e dalla crisi che attanaglia il Paese. Pur avendo vinto le elezioni di recente e malgrado i suoi appelli alla grandezza e alla stabilità, egli sa di governare un paese diviso. Gli è necessario ora consolidare la sua posizione oltre che trarre profitto come meglio può dall’evolversi della situazione internazionale. Deve rimediare alle debolezze dell’economia nazionale colpita da una forte inflazione e dalla conseguente diminuzione del valore della lira. Questo spiega in parte anche il suo atteggiamento più conciliante verso l’Europa che ha diminuito i suoi investimenti.
Riguardo l’importanza che dà ai suoi rapporti con l’Arabia Saudita, egli ha preso la decisione di voltare pagina sulla faccenda dell’omicidio del dissidente Khashoggi. Questa condizione gli è stata richiesta per vedere silenziata la giustizia turca ed insabbiata l’inchiesta che aveva promosso. Anche in questo caso ha prevalso l’interesse economico ed Erdogan ha compiuto un passo indietro ai più alti livelli dello Stato per affossare tutta la questione.
Riyadh potrebbe anche investire nel settore turco della difesa e nel frattempo ne sta già acquistando dei droni per rinforzare le sue capacità militari.
Un incontro a sorpresa con il ministro degli Esteri iraniano: Nella giornata di giovedì 17 Agosto il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian si è recato per la prima volta dalla ripresa dei rapporti diplomatici in visita ufficiale a Riyadh. Mi è giunta la notizia che tra i argomenti discussi vi fosse anche quello di un riavvicinamento tra sciiti e sunniti.
Se ciò fosse confermato, la notizia sarebbe di grande importanza in quanto contribuirebbe a creare un’unità all’interno di un mondo islamico finora fortemente diviso. Il fronte sunnita è guidato dall’Arabia Saudita, custode dei Luoghi Santi, ma nella regione è maggioranza anche negli Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Egitto e Giordania.
La componente sciita costituisce il principale ramo minoritario dell’Islam e corrisponde a qualcosa come il 15% dei credenti. L’Iran è oggi il principale rappresentante di questa minoranza che si attesta intorno al 90% e ne è la religione di Stato. In Arabia Saudita gli sciiti costituiscono circa il 10% della popolazione. In Iran l’11% è invece sunnita. Nella regione gli sciiti sono in maggioranza in Iraq e, tramite Hezbollah, hanno una forte presenza anche in Libano.
Tra queste due componenti dell’Islam vi è sempre stata una rivalità irriducibile dovuta non solo a motivi settari, e dunque di credo, ma anche a rivalità geopolitiche.
Il ministro degli Esteri è poi rimasto un giorno in più per incontrarsi a Gedda con il principe bin Salman. Il colloquio è durato circa un’ora e mezza e nel suo profilo X ha parlato di “future opportunità di cooperazione e modi per svilupparle, oltre a discutere gli sviluppi della situazione nelle arene regionali e internazionali”. Ha definito questa conversazione come “diretta, franca e produttiva”. Resta tutt’ora da stabilire come tra questi due rivali di un tempo verranno affrontati i numerosi punti di attrito.
Questa politica estera abbraccia, come si è visto, anche aree che vanno oltre il perimetro regionale dell’Arabia Saudita. Per realizzare i suoi progetti, parte integrante di ogni sua azione, sia interna che di più vasta portata, è quella della sicurezza regionale: ne dipendono infatti direttamente sia la stabilità che la salvaguardia del suo regime e la possibilità di portare avanti il suo progetto di riforme interne, in parte incarnato da “Visione 2030”
La sfida dei rapporti con Israele: Benché molto attivo, è bene ricordare che Mohammed bin Salman è ancora un principe ereditario e non un sovrano. Questo lo si è visto nel corso dell’incontro, quando Blinken ha tentato di spingere l’Arabia Saudita a migliorare i rapporti con Israele. Su ciò però il re Salman è sempre stato chiaro: nessun rapporto con lo Stato Ebraico se prima non viene dato riconoscimento alla causa palestinese, cosa che con l’attuale governo di Gerusalemme è del tutto improbabile. Qui la faccenda si è chiusa.
Per l’anziano re Salman, in questo più vicino alla sua gente, la questione palestinese è importante al punto che sull’argomento ha già più volte bacchettato il figlio. Quest’ultimo è ben più disponibile ad un riavvicinamento con Israele, cosa non priva di rischi di fronte all’opinione pubblica araba: l’Arabia Saudita è la prima potenza sunnita del Golfo e custode dei luoghi santi dell’Islam. Egli è comunque giovane, di fronte a sé ha del tempo ed in Israele il premier Netanyahu e la sua coalizione di estrema destra non resteranno al potere in eterno. Se oggi si avvicina a Tehran, un domani potrebbe farlo con Gerusalemme. Questioni di convenienza.
Per meglio capire la delicatezza dell’argomento, va sottolineato come a seguito del recente riconoscimento di Israele della sovranità del regno del Marocco sul territorio del Sahara Occidentale, non è stato possibile riunire il cosiddetto “foro del Neghev”. Quest’organismo era stato costituito nel quadro degli “accordi di Abramo” che erano serviti a normalizzare i rapporti tra Israele ed un certo numero di paesi Arabi. E’ in questo quadro che dovevano consacrarsi le nuove relazioni con Rabat.
I recenti scontri a Jenin tra lo Stato Ebraico ed i palestinesi hanno offeso l’animo dei marocchini, per i quali la causa palestinese è di grande importanza e che non hanno visto dunque di buon occhio il riavvicinamento tra il loro Paese e Gerusalemme.
A rinforzare la mano del principe saudita è anche la guerra che si sta combattendo in Ucraina. Egli ne sta traendo profitto per cogliere l’occasione di mettere il suo paese al centro dello scacchiere internazionale. Sino ad oggi si è tenuto equidistante: ha scelto di non interrompere i rapporti economici con Mosca né di imporre sanzioni commerciali di alcun tipo. Lo scorso settembre, insieme al presidente turco Erdogan, ha mediato uno scambio di trecento prigionieri tra russi e ucraini.
Oggi, a seguito del vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, sta considerando di ospitare per il 5 e 6 Agosto una serie di colloqui con gli ucraini e altri 30 paesi. Al momento i russi non sono stati invitati. Intanto, il principe ha parlato sia con il presidente Putin che con il suo omologo ucraino Zelensky. (Segue)
Edoardo Almagià