Il Governo si predispone a varare misure straordinarie per la ripresa economica.

Le mie considerazioni che seguono possono sembrare improntate a un eccesso di pessimismo. Ma, vi prego, leggete fino in fondo. E’ l’opposto.

Prima osservazione: speriamo di non arrivare all’appuntamento in ritardo

Ricordo bene l’energico appello di Mario Draghi all’urgenza nel suo noto articolo sul Financial Times di pochi giorni fa. E conoscendone la competenza macroeconomica, questo è per me una prima fonte di inquietudine.

Seconda osservazione: non sappiamo nulla della fisiologia del risveglio

Nella mia limitata sfera esperienziale, poi, sento amici (piccoli imprenditori, commercianti, titolari di piccoli studi professionali, partite IVA, piccoli proprietari di immobili affidati in locazione) che già lamentano di essere sul punto di entrare in una fase critica. Se calcoliamo i tempi necessari alla ripresa effettiva di un sistema che ha praticamente subito una sorta di ibernazione, c’è da temere che molte di queste previsioni che ciascuno individualmente fa (posso resistere ancora per un mese, o due, ecc.) non siano purtroppo realistiche. Per il semplice motivo che nessuno sa che caratteristiche avrà e quanto durerà il processo di uscita dallo stato di ibernazione di un intero apparato economico. Un amico – dotato di grande esperienza amministrativa – ha ricordato argutamente sul suo blog che – anche in ambito biologico – tutte le ricerche sulla ibernazione affrontano i veri punti di estrema (insuperabile) difficoltà proprio in relazione all’”atteso” risveglio (CLICCA QUI ): è proprio questo quello che – in genere – non funziona!

Mi preoccupa la ripresa di funzionalità di filiere produttive ormai estremamente lunghe e ramificate, caratterizzate da una quantità incalcolabile di interdipendenze. Cose che tutti conosciamo in teoria, ma non in pratica. In realtà ci troviamo nell’imminenza di un gigantesco esperimento in corpore vili.

Terza osservazione: le leve di trasmissione di cui disponiamo sono poco efficienti

Mi preoccupa poi la sopravvalutazione che i provvedimenti governativi rischiano di fare sia della capacità operativa generale della PA, sia della sua capacità di spesa. Il caso INPS potrebbe ripetersi.

Mi preoccupa il ricorso – che vedo frequentissimo nei talk show – all’obiettivo della semplificazione perché so – per esperienza professionale diretta – che semplificare un qualunque pezzo di normativa è qualcosa di estremamente complicato (se si vuole fare bene) e richiede tempo, competenze, molta calma intorno. Non confondiamo “porre l’obiettivo” della semplificazione con il suo risultato: fra i due eventi c’è un lasso di tempo che può essere molto lungo. Le semplificazioni sono operazioni che è facilissimo si traducano in infiniti contenziosi giudiziari e paralisi amministrative e quindi fuga di capitali privati. O che si perdano per strada. Tipico esempio: gli appalti pubblici. L’attuale normativa (una delle peggiori della storia patria, forse la peggiore) è il risultato di successivi interventi di “semplificazione”. Ancora per insistere su questo punto: l’allora Ministro Calderoli fu autore – nel 2010 – del tentativo più rapido e radicale di semplificazione (che battezzò “disboscamento”) e che si tradusse in un risultato fra i più inutili nella frustrante storia di questo capitolo triste della storia della nostra legislazione. Il Ministro si fece fotografare dinanzi ad un grande falò, ma sostanzialmente non risolse nulla.

Mi preoccupa la drammatica mancanza di dati da parte della PA, necessari a fare provvedimenti davvero radicali.

Senza queste premesse è veramente difficile fare grandi riforme. Mentre è molto facile fare grandi annunci.

Quarta osservazione: lavoriamo sulla realtà o su una sua approssimazione?

Ma quello che mi preoccupa di più nell’attesa delle misure governative è un vizio culturale, ahimè assai diffuso.

I politici di professione oggi, ma anche gli appartenenti alla più ampia “società politica” – insomma un po’ tutti noi – ragioniamo basandoci prevalentemente sul “come se”. Come se, per esempio, l’attività produttiva espressa dal Paese fosse quella che risulta dalle statistiche ISTAT o da quelle delle Camere di Commercio. Questi soggetti ci dicono chi svolge attività produttive. Quindi, immettendo semplicemente capitali in questi canali ne dovrebbe derivare un equivalente benefici per la “mitologica” economia reale (come dice Mauro Bottarelli ).

Ma il “come se “ è molto diverso dalla realtà e ciò che risulta alle Camere di Commercio è solo una parte della realtà.

Questo vizio “come se” è particolarmente pericoloso in un Paese come il nostro dove – ad esempio – una fetta consistente dell’economia è “sommersa” e una fetta ancora molto più ampia è “parzialmente sommersa”, cioè diversissima da quel “come se”. Ma il fatto che sia economia sommersa non significa che non dia da mangiare a milioni di famiglie e che non esistano – all’interno di questa area – depositi di conoscenza, addirittura di managerialità e soprattutto potenzialità di sviluppo.

E’ evidente che nella competizione mondiale del turbocapitalismo questa economia dovrebbe essere darwinianamente sacrificata. Ma ho due domande:

  1. Siamo ancora nel turbocapitalismo quando la principale economia capitalistica del pianeta decide di immettere nel mercato duemila miliardi di risorse pubbliche ( CLICCA QUI )? O siamo già entrati in un’altra dimensione?
  2. A noi, oggi, in Italia, con la nostra disoccupazione, i nostri squilibri territoriali, le caratteristiche della nostra potenziale manodopera (prodotto del nostro sistema scolastico), il nostro enorme gap demografico, conviene voltare le spalle a milioni di giovani che possono essere recuperati ad attività produttive, se solo – prima di emanare i provvedimenti economici – ci si soffermasse un attimo a identificare, mettere a fuoco e prendere in considerazione questa realtà?

Insomma, quello che temo – nel prossimo decreto “economico” è una frettolosa iniezione di danaro pubblico nel cosiddetto “sistema produttivo”, per come esso risulta dai dati ufficiali. “Come se” avessimo lì pronta a riceverlo un’economia efficiente, con alti tassi di produttività, tutta salari e profitti. Tutta squadernata davanti ai nostri occhi e leggibile nei dati ufficiali.

E invece sappiamo che non è così.

Proposte

Quello che invece mi piacerebbe è:

  1. che i nostri governanti si dessero – come obiettivo prioritario e conditio sine qua non – di emanare, a sostegno delle imprese, solo norme che siano passate ad un attento vaglio: è sicuro che nessuna risorsa possa – neanche parzialmente – essere “sviata” verso la rendita finanziaria attraverso il sistema bancario? E’ sicuro che finisca tutto all’economia reale? La lettura degli articoli molto chiari di Mauro Bottarelli (per esempio, CLICCA QUI ) suscitano pesanti interrogativi in proposito che sarebbe importante diradare attraverso poche e precise disposizioni normative;

 

  1. che nei provvedimenti ce ne fossero alcuni che si ponessero l’obiettivo di recuperare al lavoro verol’unico che dà dignità, l’unico che dà motivazione, l’unico a cui è possibile associare un autentico piano di formazione on the job, l’unico che serve all’impresa per pianificare e investire sul proprio futuro – giovani che prima della crisi lavoravano “in nero” o attività che prima della crisi erano sommerse. Magari associando all’obbligo di assunzione regolare e a tempo indeterminato una qualche forma di assicurazione obbligatoria parzialmente a carico dello Stato;

 

  1. che almeno uno dei provvedimenti in corso di elaborazione mirasse ad una intelligente combinazione fra innovazione, efficienza, imprenditorialità, professionalità, managerialità (da premiare ed esigere) e obiettivi sociali (recupero di lavoratori “in nero”, inclusione lavorativa di disabili, inclusione di immigrati, formazione, ecc.);

 

  1. che i finanziamenti pubblici che verranno erogati a favore del mondo produttivo fossero concepiti non solo come immissione di liquidità nel sistema esistente (per come esso risulta dai dati ufficiali), ma anche come leva finanziaria (p. es. prestiti a tasso zero e lunga scadenza) per favorire l’emersione e per dare vita a nuove imprese, con l’obiettivo di elevare la produttività sociale complessiva del nostro sistema economico: il seme finanziario di una nuova generazione di soggetti economici produttivi e inclusivi, nati perché il sistema ha deciso di voltare pagina, non dopo il Coronavirus, ma dopo la lunga stagnazione e il lungo calo della produttività del nostro sistema economico;

 

  1. che infine, queste finalità fossero non solo enunciate, ma accompagnate da sistemi snelli ed efficaci di controlli attraverso il monitoraggio della loro attuazione non delegato alle Regioni (per evitare le 20 differenti nomenclature che immediatamente fiorirebbero). I controlli intelligenti sono fra le norme più utili e difficili da concepire e scrivere. Ma – purtroppo – anche una di quelle che rende meno in termini di annunci (reddito di cittadinanza docet);

 

  1. Infine, un auspicio davvero sentito: che il Governo sappia distinguere fra brevissimo e medio termine. Alcune cose possono e devono essere fatte subito, ma altre – per essere fatte bene – richiedono studio, applicazione, chiamata a raccolta di solide competenze. La semplificazione è una di queste. Ma, soprattutto un’idea brillante e ambiziosa come quella riportata ieri su questo sito da Stefano Zamagni ( CLICCA QUI ) e cioè l’ “elaborazione di un piano di rinascita nazionale”, richiede esattamente la metodologia indicata da Zamagni e non può essere “proclamata” a reti unificate, ma va piuttosto preparata con serietà e understatement, quanto più lontano possibile dai riflettori.

Enrico Seta

Immagine utilizzata: Pixabay

 

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