Una leggera frenata dell’occupazione (-22 mila posti di lavoro rispetto al mese precedente), una riduzione del numero delle persone che cercano lavoro e un parallelo aumento (+54 mila) delle persone inattive. Questi sono i dati salienti della rilevazione provvisoria sull’andamento dell’occupazione nel mese di luglio 2022 comunicati ieri dall’Istat.

Numeri che confermano il pieno recupero dei livelli occupazionali precedenti la pandemia Covid (+143mila rispetto al mese di febbraio 2020) e il record storico del tasso di occupazione (60,4%), favorito anche dalla contemporanea riduzione della popolazione in età di lavoro.

Questi riferimenti saranno estremamente importanti per comprendere la tenuta degli assetti produttivi e dell’occupazione nei prossimi mesi, destinati a scontare l’aggravante dei costi degli approvvigionamenti energetici e l’impatto dell’aumento dei prezzi finali sui consumi interni.

La crescita occupazionale nei mesi recenti (+140 mila rispetto al trimestre precedente e +463mila rispetto al mese di luglio 2021), è stata dirompente. Grazie al progressivo recupero delle attività economiche nei comparti dei servizi, in particolare di quelli del turismo, della ristorazione, dell’intrattenimento, penalizzati dai provvedimenti adottati nella fase del lockdown. Un’evoluzione che ha smentito le previsioni di una ecatombe di licenziamenti, e di perdite di posti di lavoro in uscita dal blocco dei licenziamenti, che hanno fatto da cornice alle scelte operate in materia di politica del lavoro nello scorso anno.

Il boom delle prenotazioni turistiche, persino superiori a quelle del 2019, annata considerata eccellente dagli operatori del settore, è destinato a generare effetti positivi anche per il resto della stagione estiva.

Il recupero dell’occupazione rispetto al mese di luglio 2021 è interamente dovuto alla crescita dei lavoratori dipendenti (+454mila), equamente distribuita tra i lavoratori a termine e quelli a tempo indeterminato. Rimane in sofferenza la componente dei lavoratori autonomi e dei professionisti che, nonostante il trend economico positivo, non recupera le perdite subite nel corso del primo anno della pandemia.

Sul versante opposto rimane consistente l’incremento degli occupati over 50 anni (+345mila) per via dell’invecchiamento progressivo della popolazione in età di lavoro. Il mancato ricambio generazionale nel corso degli ultimi 15 anni, caratterizzati da due grandi cicli economici negativi, continua a penalizzare la fascia centrale degli occupati, quella tra i 35 e i 49 anni, che svolge un ruolo fondamentale sul piano quantitativo e soprattutto su quello delle competenze acquisite, nel mercato del lavoro.

Le prospettive dell’occupazione nel breve periodo dovranno fare i conti con livelli di incertezza estremamente elevati. L’impatto dei costi energetici sulla redditività di molti comparti di attività, a partire dalle aziende manifatturiere, può generare la convenienza a contenere o fermare le attività produttive. In alcuni settori l’utilizzo delle casse integrazioni è in forte crescita. Per reggere l’urto di questi fattori negativi serviranno misure rivolte a sostenere i costi di approvvigionamento e la tenuta dei livelli occupazionali e di sostegno ai redditi delle famiglie.

La scelta di interrompere anticipatamente la legislatura e le iniziative del governo di coesione nazionale assume in questo frangente i contorni del masochismo puro, confermati dalle estemporanee promesse di aumentare la spesa pubblica per soddisfare in modo estemporaneo aspettative incompatibili con il contesto economico e con gli equilibri del bilancio pubblico, che stanno caratterizzando la competizione elettorale.

Nel contempo, come abbiamo cercato di evidenziare in alcuni articoli precedenti, dovremo far fronte a una riduzione della popolazione in età di lavoro, mediamente tra i 250-300 mila l’anno nel decennio in corso, aggravata dalla bassa occupabilità delle persone in cerca di lavoro e di quelle potenzialmente in grado di lavorare, confermata dalla crescente difficoltà delle imprese di reperire profili professionali rapportati al fabbisogno.

La sottovalutazione di questi problemi, e della necessità di generare il massimo sforzo per sfruttare al meglio tutte le opportunità di lavoro disponibili, equivale alla mancanza del carburante per far viaggiare un’automobile. Nella fattispecie, di fornire risorse umane competenti coerenti con la quota degli investimenti pubblici e privati che, come nazione, ci siamo impegnati a intensificare per rendere sostenibile la crescita economica e il debito pubblico.

Gli indicatori che provengono dal monitoraggio dell’attuazione dei 5 miliardi di risorse del Pnrr destinati alle politiche attive del lavoro sono sconfortanti. Lo stato di avanzamento delle iniziative finalizzate al coinvolgimento nei percorsi di formazione e di inserimento lavorativo dei disoccupati, che devono essere raggiunti per aspirare ad avere le successive quote di finanziamento dei fondi Next Generation, rimane largamente al di sotto degli obiettivi prefigurati per il 2022.

Come ampiamente previsto, gli interventi rimangono ancorati ai tempi di avviamento dei centri pubblici dell’impiego e di selezione, assunzione, formazione del personale, che faticano a decollare in molte regioni, perché privi di una “governance” nazionale in grado di rimediare ai ritardi e distanti dal coinvolgimento degli attori primari, leggi le imprese e le parti sociali, che rimangono a loro volta reticenti nell’assumere le responsabilità che competono loro in prima persona.

Purtroppo si è consolidata negli anni una prassi rivolta a potenziare i modelli di aiuto e di sostegni al reddito, peraltro di scarsa efficacia, a discapito degli interventi ricolti ad ampliare le attività imprenditoriali e i comportamenti proattivi delle persone.

Talmente consistente da consegnare ai posteri un paese invecchiato e un numero di persone esorbitante a carico di quelle che lavorano.

Natale Forlani

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