Noi non parliamo mai di “questione femminile” perché non intendiamo relegare le donne in un ghetto. Crediamo nel linguaggio come fattore abilitante per provocare il cambiamento che auspichiamo. Allo stesso modo non parliamo più di “ conciliazione”: il nostro tempo di cura non può essere conciliato con il nostro tempo di lavoro e professionale. Questo nuovo concetto è finalmente passato e adesso anche le Istituzioni parlano di armonizzazione dei tempi.

Allo stesso tempo non parliamo più di inclusione. Le donne non sono più soggetti da includere nella società, nel mercato del lavoro. Le donne sono protagoniste del nostro tempo, nella complessità del tempo che stiamo vivendo. Nell’intreccio delle vite e nel valore di uno sguardo ampio ed evolutivo. In una interconnessione generativa di nuovi valori.

Ho introdotto il linguaggio per parlare di un termine fondamentale per il nostro ragionamento su noi  donne. L’antropologa Margaret Mead ha scritto: sapete qual è il primo segno di civiltà? quello di un femore rotto e poi guarito. Guarito,  perché qualcuno si è preso cura di te. Questo è il nostro lavoro, il nostro scenario.

Parliamo di pari opportunità quindi in termini di “Capacitazione”. Capacitazione traduce il termine inglese “capability” usato per sintetizzare due condizioni basilari affinché una persona possa essere e fare, ovvero le capacità e l’agibilità. Nella teoria del premio Nobel Amarthya Sen le capacitazioni sono un tassello per costruire una misura del benessere alternativa al Pil, perché alla dimensione economica permettono di aggiungere la libertà, la qualità della vita, la giustizia.

Spiega Sen che «questo spostamento è rilevante anche in relazione ad altre questioni quali la scelta dei criteri per stabilire l’esistenza di stati di privazione o povertà, ovvero, se considerare la povertà in termini di basso reddito (una carenza di risorse) oppure in termini di insufficiente libertà di condurre esistenze adeguate (una carenza di capacità)». Pertanto la crescita dei beni e il miglioramento dei servizi non sono i fini, semmai mezzi che sostengono le persone nella realizzazione dei propri progetti e nel perseguimento dei propri valori.

Gli interventi di contrasto alla povertà e alle diseguaglianze per essere efficaci dovrebbero considerare sia le capacità delle persone, cioè le loro possibilità di conseguire un obiettivo, sia l’agibilità, cioè l’esistenza delle condizioni per concretizzarle: non è sufficiente essere potenzialmente in grado di fare qualcosa, se poi non sussistono le condizioni per realizzarle.

Capacità e agibilità devono stare insieme: qualsiasi misura di politica sociale, che sia un’erogazione monetaria o sia un servizio organizzato, dovrebbe promuovere le persone e non limitarsi a soddisfare un bisogno.

Qui si colloca il nostro pensiero: siamo all’interno di un welfare corresponsabile e promotore di sviluppo umano diretto a favorire il benessere che «non si riduce alla crescita economica o al mero possesso di ricchezze materiali ma consiste nella più ampia possibilità di ogni persona di perseguire liberamente i propri scopi e obiettivi, di realizzare il proprio progetto di vita, essendo nelle condizioni di farlo, perché ne ha le possibilità e perché può e deve assumersi la responsabilità di scegliere tra opzioni diverse. Solo questa nuova antropologia dello sviluppo consente di giudicare una società sulla base delle libertà sostanziali di cui godono i suoi componenti aldilà degli approcci tradizionali basati su utilità e reddito».

Sono tempi bui. E allora noi donne dobbiamo agire per contrastare la barbarie, per costruire le premesse per un futuro di pace.

Noi donne generatrici e costruttrici di relazioni e di pace, con la nostra capacità di tessere reti, abbattere muri e costruire ponti, siamo una grande risorsa per il dialogo, fondamentali per ricostruire dopo il disastro. Siamo cruciali nei processi di integrazione dei rifugiati, perché ne rappresentano la maggioranza con i bambini. Sono preziose anche nella resistenza.

A distanza di settant’anni dall’ultima grande guerra e di cinquant’anni dalla Conferenza di Helsinki dobbiamo constatare che la logica della contrapposizione delle armi prevale nella soluzione dei conflitti internazionali. E quello che più desta  meraviglia è l’incapacità dell’uomo di cogliere gli insegnamenti della storia. Ancora più doloroso è il riflesso di quanto sta succedendo su donne e bambini/e.

Sono già 8 milioni i profughi usciti dall’Ucraina, donne e bambini/e. Più di 3 milioni sono stati accolti in Polonia. Una catastrofe umanitaria e i numeri fanno rabbrividire. Molta solidarietà è stata messa in moto  in Europa, attorno alla crisi umanitaria in atto per accogliere  donne e  bambini/e ucraini. Tra le tante ong sul campo in Romania e Polonia per monitorare l’accoglienza ci sono, nel dramma della guerra, molte segnalazioni che  denunciano il rischio che donne e ragazze in fuga dalla guerra possano finire vittime della tratta sessuale.

Un vero pericolo che si materializza in Polonia e  in Romania e anche in Italia ci sono le prime segnalazioni di annunci “esca” sui social per alloggi non sicuri e lavori “a rischio”. Oltre a essere presenti  sui  confini con Polonia e Romania, le reti  criminali cercano di attirare le donne attraverso i social media, contattandole su diverse piattaforme, offrendo alloggio, trasporto gratuito e poi un lavoro verso i paesi europei, fra cui l’Italia.

Molte organizzazioni di volontariato hanno raccolto segnalazioni di truffe e tentate violenze su donne sole che hanno accettato passaggi da parte di presunti benefattori. Il non sapere a chi denunciare, non conoscere i numeri di emergenza, non conoscere i propri diritti e come esercitarli, rischia di aggravare la situazione, anche per un evidente paura, il dramma psicologico che stanno vivendo e una difficoltà legata alla lingua. Molte associazioni in Italia, anche gli ordini professionali ad esempio, si sono messi a disposizione per accogliere le donne e i loro bambini e bambine, ascoltarle e orientarle verso i servizi pubblici di welfare e verso un lavoro dignitoso.

Le donne sono per definizione generatrici di pace e di buone relazioni. I recenti avvenimenti dell’agosto scorso in Afghanistan, e il progetto dei Caschi rosa che abbiamo messo in campo per sostenere le giovani donne in fuga da Kabul, dimostrano ancora una volta che non erano i pacifisti a sbagliarsi quando evidenziavano che la “guerra giusta” non avrebbe portato ad una soluzione dei problemi delle popolazioni di quei territori.

Il 25 aprile scorso abbiamo inviato un messaggio per una “Grande Conferenza Internazionale di Pace” per fermare ogni violenza alla Presidente Von dert Leyen e abbiamo consegnato nelle mani della Commissaria Gabriel a Milano il nostro pensiero. Il  nostro pensiero pacifista, spesso tacciato di astrattezza e di non farsi carico della concreta soluzione dei conflitti, evidenzia con forza che a fronte  di somme ingenti nella ricerca della soluzione armata dei conflitti non viene quasi mai messa in campo la soluzione non violenta.

Con Stefano Zamagni, “la pace (…) va costruita, posto che essa non è qualcosa che spontaneamente si realizza a prescindere dalla volontà degli uomini. In un libro di grande rilevanza di Q. Wright (A study of war, 1942) si legge che “mai due democrazie si sono fatte la guerra”. E’ proprio così, come la storia ci conferma. Se dunque si vuole veramente la pace, quanto occorre fare è di operare per estendere ovunque la cultura e la prassi del principio democratico”.

Insieme dobbiamo definire le idee e le politiche per cambiare, a partire dalla necessità di prendersi finalmente cura delle persone, dei loro diritti e dei loro bisogni e della Madre Terra che ci ospita, per andare oltre la continua emergenza e  per ricostruire con fiducia una  speranza di futuro e di presente. Come diceva Virginia Woolf  la guerra non appartiene alla storia delle donne” Non sono le donne a decidere le guerre ma sono le donne a pagarne le conseguenze, umiliate nella loro identità, nei corpi violati dagli stupri come arma di guerra”.

Pensiamo alle afgane ripiombate nel Medioevo dopo il ritiro frettoloso degli Stati Uniti e dell’Occidente. Private di tutti i diritti, senza istruzione, senza libertà di vivere la propria vita, né di scegliere il proprio amore, presente e futuro libero negato. Le madri afgane orgogliose delle loro figlie e della loro istruzione che oggi devono nasconderle, perché non siano rapite dai talebani per farne spose forzate di qualche soldato. Donne che devono nascondere anche il loro viso e quello delle loro figlie  sotto il burqa , pochi giorni fa imposto per legge. E’ di questi giorni la notizia della celebrazione di un matrimonio collettivo con 70 talebani e 70 giovani donne!

Pensiamo anche alle donne siriane diventate invisibili, in milioni hanno abbandonato il paese che vivono o hanno vissuto la tragedia della guerra,  rifugiate nei campi profughi con i loro bambini, lontano dalle loro case distrutte, e corrono in continuazione il rischio di finire negli artigli dei trafficanti di esseri umani.

Donne di oggi, che soffrono in Yemen, in Sudan, in Birmania, in Africa in tante altre zone, le curde che hanno costruito il loro esercito di donne che ha combattuto con successo contro l’ISIS. Donne africane. Donne combattenti quotidiane  in nome della vita e dell’amore. Dobbiamo tutte sentirci impegnate perché il loro strazio finisca. E allora dobbiamo sapere che la battaglia per i diritti e la democrazia e per la libera autodeterminazione dei popoli la dobbiamo fare tutte insieme. Dobbiamo tutte sentirci impegnate su questo fronte.

Perché noi donne siamo costruttrici di pace . Sorellanza è questo, agire perché i diritti delle donne siano rispettati, in tutti i contesti, le guerre finiscano, si affermi una volta per tutte la libertà femminile. Sorellanza è agire unite contro i dittatori per il trionfo della democrazia ovunque, presupposto fondamentale per la libertà femminile. Sorellanza è unirsi contro la violenza sulle donne, gli stupri di guerra e ogni forma di discriminazione.

Noi donne in nome della vita e di tutte le donne che soffrono, e con loro bambini e bambine, uomini, anziani e anziane dobbiamo impegnarci nella battaglia per un mondo nuovo dove più donne siano al comando e le guerre siano bandite dalla storia. La democrazia o è paritaria o non è.

Occorre allora:

– comprendere

– abilitare e accreditare noi donne

– accompagnare, con i territori e con le associazioni, presidiare il percorso

– sperimentare

Le grandi transizioni in atto: ecologico-energetica, digitale, sociale disegnano un nuovo orizzonte entro cui accompagnare la crescita delle nuove generazioni e il cambiamento auspicato. Ciò che la pandemia ci lascia è la consapevolezza di non aver preso finora sufficientemente sul serio, e con responsabilità, i cambiamenti necessari nel prendersi cura di noi e della Madre Terra. La pandemia ha mostrato per le donne, la riduzione dell’occupazione, il ricorso massiccio al PT, maltrattamenti e aumento delle violenze domestiche, difficoltà ad armonizzare la vita famigliare, lo studio, il lavoro quanto permanga un modello di società discriminante per noi donne. Le decisioni a livello locale e globale prese nel contesto del COVID-19 devono essere orientate da principi condivisi che ne riconoscano il valore quale potenziale per rimodellare radicalmente il nostro mondo.

Al centro dunque mettiamo la ‘creatività’ dei giovani e delle giovani donne per “garantire a tutte le studentesse e a tutti gli studenti le competenze chiave per affrontare i cambiamenti e le sfide del presente, per proiettarli al meglio nel futuro, per diventare cittadine e cittadini attivi e consapevoli, capaci di condividere valori comuni e di confrontarsi positivamente con l’altro/a” attraverso un insieme integrato di approcci scientifici, culturali e formativi, di processi e di metodi finalizzate alla costruzione di un sistema di competenze digitali consapevoli, abilitate alla co-creazione e alla sostenibilità, per costruire il “dopo pandemia”, che non sarà più necessariamente un semplice ritorno alla situazione precedente, ma sempre di più o spartiacque netto tra un prima ed un dopo, per offrire un futuro positivo ai nostri giovani e alle nostre donne.

Il futuro che verrà dovrà essere costruito con le competenze, la conoscenza, la creatività e la crescita all’interno di un ambiente di sviluppo più ampio legato alla sostenibilità, dove con il termine “sostenibilità” non s’intende solo quella ambientale, ma anche quella sociale, culturale, economica ed amministrativa. In questo scenario , i temi legati all’ “empowerment” delle donne e al diritto al benessere collettivo sono centrali.

Il modello femminile di fare impresa è un nuovo paradigma d’impresa responsabile, etica e sostenibile che valorizza tutta la tradizione italiana di CSR, di economia civile e dei rispettivi “padri nobili”, tra gli altri Stefano Zamagni, Adriano Olivetti, per trasformare le aziende in soggetti che producono valore per la società, per dar vita a una nuova politica economica. L’imprenditoria femminile contribuisce in maniera significativa al PIL italiano ed europeo ma è ancora inespressa e sottorappresentata e costituisce una risposta importante alla crisi, grazie anche al contributo di competenze e stili imprenditoriali spesso differenti. Occorre favorire la nascita di nuove imprese femminili attraverso il sostegno, la valorizzazione e l’individuazione delle capacità e potenzialità imprenditoriali dei soggetti con maggiore rischio occupazionale favorendone il consolidamento e radicamento sui diversi territori.

Occorre sostenere e valorizzare il capitale umano e le pari opportunità mediante la creazione di nuove leve imprenditoriali all’interno dei diversi settori di attività. Occorre ridurre il tasso di mortalità delle nuove imprese correlato alla carenza dei fattori di conoscenza del tessuto produttivo, di stabilità e di continuità delle nuove iniziative imprenditoriali. Il modello economico di riferimento è quello dell’economia “green” e della digitalizzazione, in una sfida tra tra creatività digitale, arte, umanesimo, nuova imprenditorialità e nuove professioni che pone alla base dell’innovazione la rimozione delle barriere disciplinari, per guidare l’attitudine al cambiamento verso la consapevolezza che il digitale, dopo esserne stato una formidabile leva, può diventarne il motore alimentato da un’energia realmente sostenibile: la conoscenza.

La consultazione che in questi due anni abbiamo messo in atto è stato un momento di formazione, apprendimento continuo, confronto e dialogo su alcuni temi strategici che caratterizzano il “gender mainstreaming” coniugato con la sostenibilità nel contesto territoriale delle Città del futuro, le “Città delle Donne” e la vita di donne, uomini, bambine e bambini ponendo l’attenzione ai cambiamenti climatici, la cultura, il lavoro, le imprese femminili, la biodiversità, l’interconnessione, la mobilità virtuale e fisica, l’innovazione e la ricerca, il rispetto e la cura delle relazioni e della Madre Terra.

Riteniamo che le grandi questioni di conflitto sociale, sicurezza, sostenibilità – ambientale, amministrativa, economica-finanziaria, e culturale – cura, welfare devono avere risposte e traiettorie comuni verso la transizione ecologica e digitale, le politiche di genere, la gestione della cosa pubblica, partendo dalla capacità generatrice e rigeneratrice della donne, dai territori, dagli stili di vita, dall’educazione, dalle Città, dai borghi, da tutti gli insediamenti umani che esprimono relazioni sociali organizzate, da connessioni virtuali e fisiche, incentrate sulla promozione di azioni concrete su temi strategici in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nonché con la cooperazione tra scuole, università e comunità locali.

Alle donne spetta il compito di scrivere il futuro che è presente e lo dobbiamo costruire ogni giorno.Il futuro è di chi lo fa.

Questo lungo ultimo miglio sembra irrealizzabile rispetto all’eccentricità della diversa realtà misurabile almeno nei diversi contesti nazionali e di continenti in cui ancora la soglia di povertà e il dramma della guerra costringe a forme di sopravvivenza milioni di persone. Traiettorie scomposte e trame interrotte da riannodare e tessere.

Un lavoro complesso e sfidante in linea con l’Agenda 2030, ma che va oltre, a causa di una accelerazione alla trasformazione che ci coinvolge tutti e tutte dove tenere in seria considerazione le competenze da costruire fin dalla prima infanzia e determinanti nel futuro dei giovani e degli adulti. Competenze dotate di una nuova visione del mondo, fondate su nuovi valori, con cui leggere, interpretare ed agire nei contesti di vita quotidiana .

La nostra missione è quella di ispirare positività e cambiamento, contaminare il mondo di energia virtuosa, e costruire entusiasmo e speranza per co-progettare e anticipare il futuro, in questo momento storico terribile ma meraviglioso, alba di una nuova era di rinnovamento sostenibile per poter rispondere in modo adeguato ai problemi e per cogliere le opportunità che la transizione verso un modello di società più sostenibile offre.

Adesso poniamoci la domanda COSA FARE PER LA LOMBARDIA?

Occorrerà aprire gli spazi di intervento e cercare di promuovere attività economiche verso l’innovazione, l’internazionalizzazione, per accelerare una riconversione complessiva verso nuovi modelli di sviluppo, favorendo la transizione ecologica e la digitalizzazione.

Nel percorso avviato verso la modernizzazione del nostro Paese e della nostra Regione, una delle quattro Regioni dei Quattro Motori per l’Europa riteniamo centrale rispondere alle sfide della modernità e del post pandemia con un nuovo Modello di sviluppo per una transizione sostenibile che sia sociale, economica, ambientale ed amministrativa, dove al centro c’è la cultura digitale per la promozione della salute e del benessere, la coesione sociale e il superamento dei divari territoriali, cosi visibili anche in Lombardia.

Il ‘sapere’ digitale ha favorito e sta favorendo infatti l’emergere di occasioni strategiche di riorganizzazione dei saperi, di apertura alle entità e ai contenuti, di accesso al mondo delle nuove professioni e di nuove imprese.

In Lombardia l’imprenditoria femminile contribuisce in maniera significativa al PIL italiano e lombardo e pur essendo ancora inespressa e sottorappresentata, costituisce una risposta importante alla crisi, grazie anche al contributo di competenze e stili imprenditoriali spesso differenti.

Occorre quindi in Lombardia, motore del rilancio, un maggiore incoraggiamento per diventare imprenditrici. Occorre favorire la nascita di nuove imprese femminili attraverso il sostegno, la valorizzazione e l’individuazione delle capacità e potenzialità imprenditoriali dei soggetti con maggiore rischio occupazionale favorendone il consolidamento e radicamento sui diversi territori. Occorre sostenere e valorizzare il capitale umano e le pari opportunità mediante la creazione di nuove leve imprenditoriali all’interno dei diversi settori di attività. Occorre ridurre il tasso di mortalità delle nuove imprese correlato alla carenza dei fattori di conoscenza del tessuto produttivo, di stabilità e di continuità delle nuove iniziative imprenditoriali.

La consultazione messa in atto dagli Stati generali delle Donne e dall’Alleanza delle Donne che si è configurata in questi ultimi anni, è un momento di formazione e di apprendimento continuo, confronto e dialogo su alcuni temi strategici che caratterizzano il gender mainstreaming coniugato con la sostenibilità nel contesto delle Città del futuro, le “Città delle Donne” e la vita di donne, uomini, bambine e bambini ponendo l’attenzione ai cambiamenti climatici, la cultura, il lavoro, le imprese femminili, la biodiversità, l’interconnessione, la mobilità virtuale e fisica, l’innovazione e la ricerca, il rispetto e la cura delle relazioni e della Madre Terra.

La “Carta di Dubai” presentata a Dubai lo scorso 8 marzo è uno degli output di questo percorso, insieme ai due Position Paper sull’imprenditoria come leva per il rilancio dell’economia del nostro Paese e dell’Europa e quello sul Futuro delle Città.

La Carta di Dubai, che arriva dalla Carta di Pechino del 1995 e da quella di Milano dell’Expo del 2015, si pone l’obiettivo di sostenere i policy maker e i rappresentanti del mondo delle politiche di sviluppo economico locale, educazione, formazione, pari opportunità e sostenibilità di tutto il mondo per sviluppare politiche e programmi a supporto del lavoro, delle imprese, della formazione, della innovazione e ricerca delle donne, attraverso il protagonismo delle donne stesse, nell’ambito di una sostanziale valorizzazione delle donne.

Questo lungo ultimo miglio sembra irrealizzabile e il dramma della guerra costringe a forme di sopravvivenza milioni di persone. Traiettorie scomposte e trame interrotte da riannodare e tessere. Un lavoro complesso e sfidante in linea con l’Agenda 2030, ma che va oltre, a causa di una accelerazione alla trasformazione che ci coinvolge tutti e tutte. Il lavoro che che abbiamo avviato, anche qui in Lombardia, darà spazio e potere alle donne per ispirare un futuro migliore.

Alle donne spetta il compito di scrivere il futuro che è presente e lo dobbiamo costruire ogni giorno. Il futuro è di chi lo fa. La nostra “mission” è quella di ispirare positività e cambiamento, contaminare il mondo di energia virtuosa, e costruire entusiasmo e speranza per co-progettare e anticipare il futuro, in questo momento storico terribile ma meraviglioso, alba di una nuova era di rinnovamento sostenibile.

Isa Maggi

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