Le prossime elezioni comunali a Napoli non sono ancora entrate nel vivo e i giornali, le televisioni, l’informazione in genere già riferiscono dell’attività elettorale dei candidati sindaci al Comune e delle possibili numerose liste di aspiranti.
La questione più spinosa da affrontare è il mostruoso deficit di bilancio maturato nei decenni ultimi, ma si fa finta di niente. Invece, promesse di rilanciare la città nel mondo; di incentivare l’arrivo di capitali finalizzato alla crescita del sistema produttivo; di renderla più attrattiva; di incrementare gli investimenti nel sistema turistico e tante altre ipotesi di sviluppo di Napoli sono all’ordine del giorno. Chi frequenta i vari ambienti associativi cittadini è quotidianamente destinatario di appelli a favore dei poveri, soprattutto da parte di esponenti cattolici. Un richiamo che interpella la coscienza di gente di buona volontà, in particolar modo di chi ha responsabilità di governo nelle istituzioni.
La richiesta di sostegno ai più deboli gridata dai tanti sacerdoti e dall’episcopato partenopeo va raccolta con generosità, si tratta di aiutare fratelli in difficoltà. I pressanti appelli di laici e religiosi dimostrano che i tradizionali canali di assistenza ai poveri stanno per prosciugarsi, a causa delle numerosissime persone che si rivolgono ogni giorno alle organizzazioni cattoliche, per ottenere un piatto caldo, un posto per dormire, o un contributo per pagare qualche bolletta scaduta.
Il quadro fosco che emerge, anche a causa della pandemia da Covid-19 non consente rinvii. I candidati sindaci alle prossime elezioni amministrative a Napoli si preoccupino prima di tutto di emarginazione e esclusione, di una Napoli derelitta che esiste ancora e grida aiuto. Non è sufficiente la sola azione caritatevole di singoli, associazioni, enti vari per risolvere le esigenze più impellenti delle Caritas e dei vari centri di assistenza, c’è bisogno dell’opera convinta delle istituzioni locali e nazionali che devono impegnarsi con iniziative concrete, per affrontare una questione rilevante che riguarda non solo Napoli, ma tanti comuni.
La povertà in questo anno e mezzo di pandemia è cresciuta, secondo le statistiche pubblicate nell’ultimo anno. Esistevano in passato presso i nostri municipi gli ECA, “enti comunali di assistenza”, che intervenivano per sostenere le famiglie più disgraziate. Poi svanirono nel nulla assieme ai famosi enti di beneficenza, e nacquero le cosiddette Ipab. La confusione legislativa che n’è scaturita negli anni successivi ha portato al blocco di concreti aiuti ai più bisognosi. L’evanescente concetto di società dell’opulenza negli anni ’80 fece ritenere che la povertà fosse una condizione del passato.
Invece, oggi ci si domanda come costruire forme di sostegno per chi non è in condizione di mettere un piatto caldo a tavola, per chi deve fare mille salti mortali per trovare un letto dove dormire. Questa è la realtà, nonostante il benessere raggiunto dalla società del nostro del tempo. Non ci sono più gli enti locali di assistenza; non si sa se i vecchi istituti per aiutare i poveri esistono ancora; il welfare state è saltato, e allora? La povera gente abbandonata al proprio triste destino? E chi opera in politica come si pone di fronte a questi drammi dell’umanità ormai ricorrenti?
San Paolo VI diceva che “la politica è la più alta forma di carità”. Allora, condividendo come indicazione di missione civile le parole di Paolo VI, i cattolici che sono nelle pubbliche istituzioni si adoperino per legiferare sulla spinosa questione della povertà. È urgente farsi carico di azioni di governo ad ogni livello, nazionale e locale, perché giustizia sociale, bene comune non siano affermazioni astratte.
A Napoli forse non vi saranno liste comunali “popolari”, ma nascenti partiti democratici di ispirazione cristiana vigileranno sull’azione amministrativa del governo locale, affinché la dignità umana dei deboli e dei bisognosi venga riconosciuta come punto di programma qualificante.
Raffaele Reina