1. Introduzione

La Corte di Cassazione italiana (sez. III civ.) ha emanato il 3 settembre 2019 le sentenze nn. 21995 e 21996 (Deutsche Bahn Ag contro Regione Sterea’ Ellada) pronunciandosi sulla questione della immunità giurisdizionale degli Stati Esteri e dei loro beni. Un anno prima i giudici di legittimità avevano affrontato il tema nella sentenza su Villa Vigoni; trattasi di un immobile appartenente alla Germania e sito sul lago di Como sul quale era stata intrapresa un’azione esecutiva dalla “Autogestione prefettizia di Voiotia” (Grecia) cui si era opposta la Germania.

L’autorità greca azionava una sentenza passata in giudicato del Tribunale di Livadia che condannava al risarcimento dei danni la Repubblica federale di Germania per le stragi di civili operate dall’Esercito tedesco a Distomo durante la seconda guerra mondiale. Nella sentenza del 2018 (Cass. Sez. civ. III del 8 giugno 2018 n. 14885 Regione Sterea’ Ellada contro Presidenza del Consiglio dei Ministri e Repubblica federale di Germania), si era disposta la cancellazione dell’ipoteca iscritta sull’immobile e confermato solo parzialmente la decisione assunta dalla Corte di Appello di Milano.

Se da un lato si era ritenuto che i giudici milanesi avessero correttamente applicato la norma consuetudinaria che sancisce l’esenzione da misure coercitive per i beni di stati esteri destinati a finalità pubblicistiche, dall’altro la Corte di legittimità aveva affermato che la Corte d’Appello aveva erroneamente confermato  nel dispositivo della sua sentenza, la statuizione del giudice di primo grado (Tribunale di Como) che aveva dichiarato l’inefficacia del titolo esecutivo, per sopravvenuto difetto di giurisdizione del giudice che lo aveva pronunciato, facendo dipendere l’impignorabilità dei beni dall’ inefficacia del titolo esecutivo, confondendo così due piani del tutto distinti quello dell’efficacia del titolo e quello della immunità dalle misure esecutive dei beni degli stati esteri.[1]

  1. Le recenti sentenze della Corte di Cassazione rese nel 2019 (nr.21995 e 21996)

Nelle nuove sentenze di cui si diceva all’inizio del paragrafo precedente, l’autonomia tra i due profili è stata ben tenuta presente e mantenuta. E’ corretto apporre al nostro ragionamento una breve premessa; la questione dell’immunità dei beni tedeschi in Italia come oggetto di esecuzione a seguito di sentenze di condanna in sede civile, ha costituito oggetto di una lunga diatriba giurisdizionale che si è sviluppata in svariate sedi  culminando nel pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio  2012 (sul quale si tornerà in seguito), che ha sancito in generale l’immunità giurisdizionale della Repubblica Federale di Germania, quale successore giuridico “del c.d. Terzo Reich” per il risarcimento dei danni per le gravi stragi di civili concretanti crimini contro l’umanità, commessi da quest’ultimo nel territorio italiano e/o all’estero durante la seconda guerra mondiale.

Anche il legislatore italiano ha fatto la sua parte con la legge 14 gennaio 2013 nr. 5   per assicurare l’operatività delle sentenze del massimo organo di tutela giurisdizionale delle Nazioni Unite (la Corte Internazionale di Giustizia) è inoltre intervenuta una importante sentenza della Corte costituzionale Italiana (nr. 238 del 2014).

Nei pronunciamenti in commento a rivolgersi alla Cassazione erano state le Ferrovie tedesche che avevano impugnato una decisione del Tribunale di Roma con la quale accogliendo la richiesta della Autogestione regionale di Voiotia, era stato ammesso il pignoramento sui beni delle ferrovie tedesche a seguito della delibazione della medesima sentenza del Tribunale di Livadia che aveva condannato la Germania a risarcire i familiari di 218 vittime della strage di Distomo commessa dalla Wermatch nel 1944. In buona sostanza la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso delle Ferrovie tedesche permettendo così l’esecuzione sui beni delle stesse in Italia, anche mediante pignoramento presso terzi (in questo caso le Ferrovie Italiane debitrici nei confronti di quelle tedesche).[2]

La decisione di legittimità affermava che nessuna procedura esecutiva poteva mai essere dichiarata improcedibile (conseguenza prevista per le sentenze cognitorie dalla citata legge nr. 5 del 2013) per poter dare esecuzione alla sentenza della Corte internazionale di Giustizia del 2012 che aveva dichiarato “l’immunità giurisdizionale” della Germania per difetto di giurisdizione del giudice che aveva pronunciato il titolo esecutivo giudiziale, su cui il procedimento esecutivo si fondava, in costanza della validità di quest’ultimo. Neppure pertanto nel contesto particolare di una esecuzione forzata in base a statuizione di condanna al risarcimento dei danni da crimini di guerra e nonostante una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che invece affermava l’illegittimità degli atti per violazione “dell’Immunità giurisdizionale” dello Stato estero.

Quest’ultima decisione e la sua norma di ricezione, non potevano avere efficacia diretta nel procedimento esecutivo svolto in Italia, in forza di provvedimento legittimamente dichiarato esecutivo nel nostro paese, che non fosse stato inficiato da censura nelle sedi sue proprie. Il difetto di giurisdizione non poteva dunque essere dichiarato dal giudice dell’esecuzione (come riconosceva del resto l’art. 3 della legge nr. 5 del 2013) che da un lato imponeva la declinatoria di giurisdizione ma solo da parte del giudice della controversia in sede cognitoria, mentre il processo esecutivo non era una controversia in senso proprio e quindi in esso non poteva venire ad evidenza una questione che atteneva alla giurisdizione. Esisteva infatti, una istituzionale separazione tra giudizio di cognizione e processo esecutivo e se quest’ultimo, per sua natura, non accettava questioni di giurisdizione, le contestazioni del titolo in sede esecutiva, non attenevano alla giurisdizione, ma alla legittimità dell’azione esecutiva.

Queste questioni e quelle relative alla necessità del recepimento della decisione della Corte Internazionale di Giustizia, avrebbero dovuto essere fatte valere nella sede opportuna cognitoria. Quello che vincolava il Giudice esecutivo era soltanto il titolo esecutivo, ritualmente reso in forza di provvedimento giurisdizionale e nel caso di specie, quest’ultimo non era stato ancora aggredito. Tanto più che nella materia era intervenuto il pronunciamento della Corte Costituzionale 238/2014 che pur riconoscendo che l’immunità dalla giurisdizione per gli stati stranieri per atti iure imperii era riconosciuta da norme consuetudinarie di diritto internazionale, tuttavia aggiungeva che essa era preclusa per quelli agiti in violazione di norme cogenti di diritto internazionale o con gravi violazioni dei diritti delle persone, concretantisi in crimini contro l’umanità.

La Corte si esprimeva sulla pignorabilità dei beni di uno Stato estero specificando che la pignorabilità o meno di un bene fosse questione che riguardava la “legittimità ai sensi dell’art. 615 c.p.c., non la giurisdizione del giudice dell’esecuzione, la quale è attribuita sempre e comunque a quest’ultimo nell’esecuzione forzata” (par. 19). Nel caso in cui i beni di uno Stato estero, aggrediti dall’azione esecutiva, avessero avuto una destinazione pubblicistica, l’immunità poteva essere fatta valere non attraverso il regolamento preventivo di giurisdizione con cui si sarebbe lamentato il difetto di giurisdizione del giudice dell’esecuzione, ma tramite l’opposizione per impignorabilità ex art. 615, 2 comma Cod. proc. civ.

La questione veniva considerata di merito, logicamente e giuridicamente posteriore a quella sulla giurisdizione.[3] Secondo alcuni autori la sentenza in oggetto si distingueva dalle precedenti del 2018 su Villa Vigoni, perché estendeva l’applicabilità della sentenza 238/2014, non solo al processo cognitivo ma anche a quello esecutivo. Alcuni autori hanno affermato che se la limitazione dell’immunità degli Stati fosse stata riferita alla sola cognizione a fronte di lesioni dei diritti inviolabili delle vittime, sarebbe stato come se si fosse riconosciuto a quest’ultime la possibilità di vedersi attribuito il diritto al risarcimento dei danni senza poterlo concretamente azionare per ottenere il pagamento.

A parere di altri commentatori invece la Cassazione ha voluto e inteso  fare  un ragionamento per assurdo, senza auspicare di estendere all’azione esecutiva l’esenzione dall’immunità, ma solo sottolineare l’importanza del ragionamento rafforzativo della sua decisione, insito nel riferimento alla sentenza della Consulta del 2014 e pertanto (testuale) “anche qualora, erroneamente, in sede di esecuzione forzata si fosse lamentato il sopravvenuto difetto di giurisdizione del giudice che ha pronunciato il titolo su cui l’azione si fonda (senza che sia stato, previamente, per tale motivo, inficiato il titulus nelle sedi cognitive a ciò deputate) il giudice incaricato dell’esecuzione avrebbe il dovere istituzionale, in ottemperanza alla sentenza n. 238/2014, di non dichiarare l’azione improcedibile in ragione delle condotte – delicta iure imperii – per le quali lo Stato estero, esecutato, sia stato condannato in sede cognitiva, così come rappresentato dal titolo”.[4]

 3.La sentenza Ferrini della Cassazione e sezioni unite (nr. 5044 del 2004)

La sentenza Ferrini ha segnato un’evoluzione giurisprudenziale nella tormentata vicenda delle immunità giurisdizionali degli Stati dei loro organi e dei loro beni. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno negato allo Stato convenuto l’immunità dalla giurisdizione italiana in un’azione di risarcimento dei danni subiti da un cittadino italiano deportato in Germania e ivi sottoposto a lavori forzati. La Corte ha introdotto una limitazione, alla tesi dell’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile per tutti gli atti iure imperii.[5] Si riscontrava una “antinomia” tra le norme imperative in tema di tutela dei diritti fondamentali e quelle sull’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione.

La regola dell’immunità ristretta era allora seguita in via generale e gran parte degli ordinamenti avevano riconosciuto tale impostazione nelle legislazioni adottate e partire dagli anni settanta, stabilendo alcune eccezioni a quella che era considerata la regola generale ossia l’immunità dello Stato. Tra queste la c.d. “commercial exception” con riguardo ad attività di tipo privatistico esercitate dagli Stati stranieri. Tra le altre deroghe era prevista la giurisdizione sullo Stato straniero per danni a persone o cose se il fatto lesivo e/o i suoi effetti si erano verificati in tutto o in parte nello stato del foro (tort exception). Questa trovava applicazione a fatti seri come l’uccisione di individui.

Alcuni paesi che inoltre che seguivano la distinzione tra atti iure gestionis ed atti iure imperii, sulla base della adesione ad alcune convenzioni internazionali, tendevano ad ammettere la giurisdizione per fatti illeciti extra contrattuali solo quando questi non erano originate “da attività di governo”. La Corte di Cassazione nella sentenza in commento rivedeva le sue posizioni precedenti e affermava che la riconduzione dei fatti ad attività di governo non fosse sufficiente per escludere l’esercizio della giurisdizione, quando si erano verificate violazioni di obblighi posti a tutela dei diritti fondamentali previsti da norme internazionali imperative. Il comportamento della Germania durante la seconda guerra mondiale in relazione ai fatti di cui si chiedeva il risarcimento, era qualificato come di estrema gravità integrando un “crimine internazionale” (punto 7) anche rispetto ad altri comportamenti analizzati in decisioni della suprema istanza di legittimità italiana e nella giurisprudenza straniera, in cui invece l’immunità era stata riconosciuta.

Nella sentenza in esame la Cassazione sosteneva che affermare l’insindacabilità degli atti di “suprema direzione della cosa pubblica” non equivalesse alla luce del nostro ordinamento, a negare la responsabilità personale civile e penale degli individui organi, che avevano commesso quanto oggetto di censura (punto 7.1) La sentenza apriva una breccia significativa nella distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis, per la quale si ricollegava   l’immunità agli atti iure imperii.

Il punto centrale dell’argomentazione era costituito dalla ricostruzione della norma applicabile sul piano del diritto internazionale generale per stabilire se essa dovesse essere o meno riconosciuta. La Corte di legittimità riscontrava un conflitto tra norme internazionali e la necessità della sua risoluzione in base alla qualificazione di alcune di esse come imperative. Nella decisione della Cassazione il contrasto veniva individuato nel fatto che riconoscere l’immunità “ostacola la tutela di valori, la cui protezione è da considerare invece, alla stregua di tali norme essenziale per l’intera Comunità internazionale. (punto 9.1). Quelle rilevanti che avrebbero dovuto essere    oggetto di applicazione   tutelavano i diritti fondamentali della persona umana come le norme che ponevano il divieto di deportazione o di lavoro forzato e la cui violazione costituiva un crimine di guerra.

La Corte suprema di legittimità dava a volte l’impressione di esaminare sia la responsabilità dell’individuo organo che quella dello Stato altre volte sembrava riferirsi alla responsabilità dello Stato (vedi punto 9.1). Le Sezioni Unite in ogni caso intravedevano uno stretto nesso tra il crimine individuale e il crimine dello stato e affermavano che esigenze di coerenza del sistema imponevano di negare l’immunità dello Stato, nei casi in cui non era riconosciuta l’immunità dell’organo rinvenendo in quest’ultima una “specificazione di quella che compete agli stati” (punto 11) Un autore ha sostenuto[6] che la sentenza Ferrini parlava di ius cogens in senso “promozionale” e dovesse collocarsi, anziché nella statica della gerarchia formale tra fonti, più propriamente nella dinamica del diritto internazionale e cioè nel tentativo dei giudici di un singolo Stato di trasformare il diritto internazionale vigente in  una direzione più conforme a certi valori sentiti a torto o a ragione come fondamentali e indefettibili.

Criticando la ordinanza nr. 14201 della Corte di legittimità, data per un caso analogo, Focarelli scriveva che nella predetta ordinanza nr. 14201, si sarebbe affermato che la Cassazione sarebbe stata consapevole, nella sentenza Ferrini, della inesistenza della norma internazionale che deroga all’immunità degli Stati per atti iure imperii, che fossero di gravità tale da configurarsi come crimini contro l’umanità. In realtà nella decisione capostipite, aggiunge l’autore, si stabiliva che la Corte sapeva che la giurisprudenza anteriore dei giudici di altri Stati fosse nel senso dell’immunità e che pertanto adesso neppure potesse rinvenirsi con sicurezza una norma che ne dichiarasse il diniego, ma che purtuttavia questo fosse in via di affermazione, mentre quella contraria in via di abbandono. Secondo questa ricostruzione ci si trovava davanti a due norme consuetudinarie (opposte) che non esistevano in modo sicuro ed esplicito. La circostanza contraddittoria era costituita dal fatto che una norma inizialmente inesistente diveniva esistente e poi addirittura “di rango superiore” al punto di mettere “fuori gioco” ogni altra, a partire da quella che imponeva di accordare l’immunità.

  1. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012

Sulla questione dell’immunità degli Stati un punto fermo, era rappresentato dalla decisione della Corte Internazionale di Giustizia del 2012 ; la Germania citava in giudizio l’Italia avanti all’organo dell’ONU che regolava le controversie di diritto internazionale tra gli Stati, a fronte delle ormai numerose sentenze di organi giurisdizionali Italiani, che si pronunciavano sulla sua responsabilità per i crimini commessi dalle forze armate tedesche sul territorio italiano o all’estero, negando l’immunità.[7]

Ma quali erano le domande di cui era investita la CIG? La prima se il diniego dell’immunità dello Stato tedesco dalla giurisdizione cognitiva dello Stato italiano, per violazioni del diritto internazionale umanitario, era conforme al diritto internazionale. La seconda se il diniego dell’immunità dello Stato tedesco dalla giurisdizione esecutiva dello Stato italiano derivante dal riconoscimento in Italia di sentenze straniere, rectius greche, a loro volta caratterizzate dal mancato rispetto dell’immunità dello Stato tedesco, fosse conforme al diritto internazionale. L’Italia introduceva una domanda riconvenzionale, se cioè con gli accordi di Bonn del 1961 si fosse o meno rinunciato ad ogni altra richiesta di risarcimento per conto dei cittadini italiani o invece mantenuto, insieme alle vittime, un diritto alla riparazione. La domanda riconvenzionale veniva dichiarata inammissibile con ordinanza dei Giudici della CIG del 6 luglio 2010, per mancanza di giurisdizione ratione temporis.

Nella sentenza la CIG chiariva di dover verificare l’esistenza di un conflitto nell’applicazione di due norme di diritto internazionale, ossia tra il mancato rispetto dell’obbligo di riparazione (duty of reparation) posto in capo allo Stato e il diritto di quest’ultimo a vedersi riconosciuta l’immunità giurisdizionale. Qualora avesse effettivamente ravvisato l’esistenza di una tale contraddizione, la Corte avrebbe dovuto chiarire in base a quali altre norme del diritto internazionale (i c.d.sufficient grounds) esso andasse risolto con un bilanciamento a favore dell’obbligo di riparazione. Si ricostruivano le basi normative che definivano l’immunità statale attraverso un’indagine della consuetudine internazionale che analizzava la prassi degli Stati e il diritto pattizio, che in materia comunitaria annoverava  tra le sue fonti la Convenzione Europea sull’Immunità degli Stati (CEIS), la Convenzione di Basilea del 1972 e la Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e sulla loro proprietà (CIGSPI) del 2004, ricostruendo diuturnitas ed opinio iuris in materia, a partire dalle conclusioni dell’indagine svolta dalla International Law Commission nel 1980.

La Corte giungeva alla conclusione che l’immunità, non era un semplice impedimento procedurale (procedural bar) ma il corollario di un principio che era posto alla base della società internazionale. Funzione dell’immunità era quella di tutelare la sovrana eguaglianza tra enti “pari” quali sono gli Stati soggetti solo al diritto internazionale. Esso discendeva dal noto brocardo “par in parem non habet imperium”, per cui l’esercizio della giurisdizione da parte dello Stato del foro, nei confronti dello Stato straniero collideva di per sé col principio della uguaglianza tra gli Stati. Nella controversia Italia e Germania pur riconoscendo entrambe che gli atti posti in essere dagli individui-organi dello Stato tedesco, fossero da qualificarsi come acta iure imperii, non concordavano sull’ambito di applicazione della regola immunitaria.

Lo Stato italiano si sforzava di dimostrare l’esistenza, nella consuetudine internazionale a favore dell’immunità, di un’eccezione, nel caso in cui gli atti integrassero “torts or delicts occasioning death, personal injury or damage to property committed on the territory of the forum State”. Questo perchè solo in tal caso lo Stato del foro sarebbe stato autorizzato ad esercitare la giurisdizione, senza dover riconoscere l’immunità dello Stato straniero.

Inoltre la Repubblica Italiana chiedeva che venisse accertato che atti contrari al rispetto di norme imperative o di ius cogens dell’ordinamento internazionale fossero tout court suscettibili di produrre un bilanciamento favorevole all’esercizio della giurisdizione nei confronti dello Stato, a prescindere dal fatto che lo Stato del foro fosse anche lo Stato in cui gli atti erano stati commessi.

– Il primo argomento italiano si fondava sulla lettera dell’art. 11 CEIS e sull’art. 12 della CIGSPI che stabilivano un nesso territoriale tra il tortious act e lo Stato del foro, nonché sulle analoghe norme di legge adottate in nove ordinamenti di common law. La Corte non esaminava la questione dei confini della tort exception e si limitava ad analizzare il problema se atti commessi nell’ambito di un conflitto armato da forze armate di uno Stato estero nel territorio dello Stato del foro, fossero suscettibili di derogare al diritto dello Stato estero in materia di immunità giurisdizionale.

Si giungeva alla conclusione, dopo aver esaminato la prassi rappresentata dalle sentenze degli Stati che vedevano coinvolta soprattutto la Germania, che non esisteva alcuna eccezione all’immunità per torts, posti in essere dalle forze armate di uno Stato sul territorio dello Stato del foro nel corso di un conflitto armato. Esisteva qualche deviazione nelle prassi, tra cui quella rappresentata dalla decisione della Corte Suprema dell’Areopago Greco, che aveva fondato il diniego dell’immunità, nell’art. 11 CEIS che secondo questa sentenza aveva costituito una consuetudine internazionale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Inoltre  anche le legislazioni di alcuni Stati europei  espressamente, prevedevano un’eccezione, nel caso di danni derivanti dallo stazionamento delle forze armate di uno Stato estero sul territorio dello Stato del foro. A questo proposito Gaja aveva parlato di una norma consuetudinaria in fieri o di una lex specialis avente carattere regionale.

Secondo la Repubblica Italiana, la Germania aveva commesso crimini di guerra e contro l’umanità e ciò integrava una violazione di norme imperative o di ius cogens, atteso che sino al momento della proposizione delle domande avanti ai Tribunali Italiani “all the claimants (had) been denied all other forms of redress” pertanto i Tribunali Italiani sarebbero stati costretti a dichiarare il diniego dell’immunità “as matter of last resort”. La Corte esaminava le questioni poste dall’Italia e passava al vaglio il diniego dell’immunità per gravi violazioni del diritto internazionale; inoltre analizzava il diniego dell’immunità per violazioni di norme di ius cogens, derivanti da tali violazioni.

In entrambe i casi l’Italia (come si diceva) aveva postulato una antinomia tra l’immunità giurisdizionale degli Stati e norme di diritto sostanziale poste a tutela dell’individuo in tempo di guerra e in tempo di pace.

– La Corte escludeva l’esistenza di una tale antinomia poiché  il diritto all’immunità aveva natura processuale ed   non poteva essere bilanciato con norme di carattere sostanziale. La Corte cercava poi di identificare la norma di ius cogens applicabile al caso concreto, tentando di rinvenire anche quella consuetudinaria che permettesse di risolvere il conflitto. Anche sotto questo profilo si giungeva alla conclusione che norme di ius cogens e norme sull’immunità stavano su piani diversi e “state immunity only concerns the enfedorcement, not the material content of the ius cogens. In ultima analisi non esisteva sia per motivi logici che di riscontro della prassi, alcuna norma dotata di superiorità gerarchica che permettesse di affermare il diniego dell’immunità degli Stati.

– Veniva infine confutata la tesi italiana secondo cui negare l’immunità costituiva una extrema ratio di fronte al mancato adempimento ai propri doveri “riparatori” da parte della Germania o meglio in assenza di altre possibili vie per giungere al risarcimento. La teoria del “last resort” è vicina a quella che identificava il diniego della immunità alla “rappresaglia”. Si concludeva che questa teoria era di difficile applicazione perché la rappresaglia costituiva uno strumento tipico del potere esecutivo e non giurisdizionale ed ammessa nel diritto internazionale se aveva l’effetto di far ottenere la cessazione della violazione. Invece il diniego dell’Immunità dello Stato dalla giurisdizione cognitiva e esecutiva non determinava automaticamente l’adempimento degli obblighi e l’esatta riparazione del danno.

  1. La sentenza della Corte Costituzionale 238 del 2014: immunità e controlimiti.                

In questa decisione originata da ordinanze di rimessione del Tribunale di Firenze, veniva innanzitutto sottoposta al giudizio del giudice delle leggi, la norma prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10 primo comma Cost., della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, così come interpretrata dalla Corte internazionale di Giustizia (CIG) nella sentenza Germania c/ Italia del 3 febbraio 2012 nella parte in cui comprendeva, tra gli atti iure imperii sottratti alla giurisdizione di cognizione, anche i crimini di guerra e contro l’umanità lesivi di diritti inviolabili della persona commessi in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani nel periodo 1943-1945 dalle truppe del terzo Reich.[8].

Nel testo della decisione in punto di diritto (3.1) si leggeva che “resta da verificare e risolvere il prospettato conflitto tra la norma internazionale da immettere ed applicare nell’ordinamento interno, così come interpretrata nell’ordinamento internazionale, norma che ha rango equivalente a quello costituzionale, in virtù del rinvio di cui all’art. 10 primo comma Cost. e norme e principi della Costituzione che con essa presentino elementi di contrasto tali da non essere superabili con gli strumenti ermeneutici”. La sentenza sembrava effettuare una valutazione su una norma non ancora prodotta ma da immettere nell’ordinamento, non trasformata ancora in diritto interno. La questione riguardava il meccanismo di adattamento al diritto internazionale insito nel rinvio operato dall’art. 10 Cost.

Si evidenziava comunque che una siffatta norma tenuto conto del contrasto coi principi costituzionali non era mai entrata nell’ordinamento e non vi spiegava alcun effetto. Competeva dunque alla suprema istanza di legittimità delle leggi, investita della questione ed a posteriori, lo stabilire se la norma sull’immunità aveva avuto ingresso nel diritto statale. Il giudice rimettente non poteva, che presumere l’adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale. Le norme antinomiche prodotte, quella sull’immunità e quella sul diniego dell’immunità, da un punto di vista teorico e preliminare, avevano entrambe valenza costituzionale, applicandosi il meccanismo ex art. 10. Per cui esse dovevano essere oggetto di bilanciamento; da un lato il principio di tutela giurisdizionale (art. 24 e 2 Cost.) dall’altro il principio di sovranità degli Stati (ex art. 10 Cost.).  Contraddittoriamente si faceva anche riferimento alla teoria dei “controlimiti” che evidentemente avrebbe escluso ogni  comparazione.

La conclusione su questo primo punto era il rigetto non essendo fondata la questione in quanto la norma consuetudinaria, alla quale il nostro ordinamento si era conformato non era quella ritenuta dal giudice interno che prevedeva l’immunità in ottemperanza alla sentenza della CIG, ma quella che non contemplava l’esenzione dalla giurisdizione.

–  La Corte poi assumeva una sentenza di accoglimento parziale in relazione all’art. 1 della legge di adattamento alla carta delle Nazioni Unite (legge 17 agosto 1957 n. 848 recante “esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite firmato a San Francisco il 26 giugno 1945”) nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della CIG, anche quando essa ha stabilito l’obbligo dello stesso di negare la propria giurisdizione nella causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi dal Terzo Reich nel territorio Italiano”. La dichiarazione di illegittimità costituzionale investiva l’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle sentenza della CIG del 3 febbraio  2012 “esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di Giustizia  (CIG) del 3 febbraio 2012 che gli impone di negare la propria giurisdizione in relazione ad atti di uno stato straniero che consistono in crimini di guerra e contro l’umanità lesivi di diritti inviolabili della persona”. Le decisioni della CIG, erano da considerare vincolanti per gli stati membri, ma “tale vincolo” diceva la Corte “ costituisce una delle ipotesi di limitazione di sovranità alle quali lo Stato Italiano ha consentito in favore di quelle organizzazioni internazionali, come l’ONU, volte ad assicurare pace e giustizia fra le Nazioni ai sensi dell’art. 11 cost.” ma esso poteva trovare applicazione solo “nel limite del rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili tutelati dalla Costituzione.”[9]

 Infine veniva data una sentenza di accoglimento quella con la quale la Corte dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 1 (recte art. 3) della legge 14 gennaio 2013 nr. 5 (adesione della Repubblica Italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno) che imponevano al giudice italiano di adeguarsi alla sentenza della CIG e perciò stesso di negare la propria giurisdizione in futuro per tutti gli atti iure imperii dello Stato straniero anche quando  consistevano in violazioni gravi del diritto internazionale umanitario e dei diritti fondamentali, quali crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo Reich, nonché prevedendo la revocazione delle sentenze già passate in giudicato che non avessero riconosciuto l’immunità.

Con questa parte della sentenza la Corte intendeva porre un limite “al sacrificio che si richiede ad uno dei principi supremi dell’ordinamento italiano, quale senza dubbio è il diritto al giudice”. La sentenza affermava altresì che “l’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione italiana, non può giustificarsi ed essere tollerato quando ciò che si protegge è l’esercizio illegittimo della potestà di governo dello Stato straniero quale è in particolare quello espresso attraverso atti ritenuti crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona”.

 Conclusioni

La lunga vicenda giurisdizionale descritta, che si articola in decisioni nazionali e internazionali, dimostra che la questione dell’immunità civile e penale sia cruciale nelle relazioni tra gli Stati. Questi necessitano che la potestà decisoria dei loro organi costituzionali sia mantenuta integra e la loro sovrana eguaglianza non sia soggetta a limitazione alcuna. Pertanto era stato difficile per gli interpreti identificare una norma basata sulla prassi degli Stati, che con certezza rinvenisse un limite alla immunità, anzi si riscontravano a questo proposito zone grigie e incertezze. Sembra però che la situazione giuridica si sia evoluta, nel senso che sempre più trattati internazionali e sentenze di singoli Stati, vadano affermando la necessità che finalmente la tutela dei diritti umani, anche davanti all’azione di organi di governo sia assicurata e garantita. In questo senso l’istituzione della Corte Penale Internazionale, le norme di singoli trattati come quelli sul genocidio e la tortura, l’affermarsi in via sempre più ampia di ipotesi di giurisdizione universale, confortano per questa inversione di tendenza e rappresentano la sensibilità che la comunità internazionale sempre più  riconosce perché atti di gross violations dei diritti dell’uomo siano repressi e puniti rappresentando ciò la garanzia oltre che dell’immagine internazionale del singolo stato anche della sua adesione a principi di legalità internazionale generalmente riconosciuti.

Cesare Augusto Placanica 

[1] GIORGIA BERRINO in La Corte di Cassazione torna sul tema delle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni in Rivista di diritto Internazionale 2020 fasc. 3 pag. 844.

[2] MARINA CASTELLANETA in Pignoramento sui beni tedeschi in Italia per le vittime di crimini delle stragi nazisti : uno spiraglio dalla cassazione – The Italian Supreme Court on the Distomo case end measures of costraints against Deutsch Bahn in htpp://www.marinacastellaneta.it/blog/, notizie e commenti sul diritto internazionale e dell’Unione Europea di  Giovedì 5 settembre 2019

[3] Vedi GIORGIA BERRINO in op. cit. pag. 854

[4] Vedi GIORGIA BERRINO in op. cit. pag. 857

[5] ALESSANDRA GIANELLI in Crimini Internazionali ed immunità degli Stati dalla giurisdizione nella sentenza Ferrini in Rivista di diritto Internazionale 2004, p. 463 e segg.

[6] CARLO FOCARELLI in Diniego dell’immunità giurisdizionale degli Stati stranieri per crimini, ius cogens e dinamica del diritto internazionale in Rivista di diritto internazionale 2008 pag. 738 e ss

[7] GIOVANNI BOGGERO in Senza Immunità (dello Stato) niente responsabilità dell’Individuo in DPCE on-line maggio 2013, Funzione Giudiziaria- pagg. 384 e segg., vedi anche ANNALISA CIAMPI in The International Court of Justice between “reason of state” and demands for Justice by victims of serious International crimes in Rivista Diritto Internazionale 2012, pag. 374 e segg.

[8] SARA LIETO in Il diritto al giudice e l’immunità giurisdizionale degli Stati nella sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014 in www.forumcostituzionale.it 2014/11 Rivista on-line

[9] TOBIA CANTELMO e VALENTINA CAPUOZZO in Tra immunità e contro-limiti: un nuovo traguardo della giurisprudenza italiana in Corte Costituzionale sentenza n. 238/2014  e ordinanza n. 30/2015 in Federalismi.it Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo del 13 gennaio 2016, Rivista on-line

    

        

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