Nella Legislatura in corso dovranno essere affrontate dal Parlamento le necessarie Riforme della Carta Costituzionale, da tempo auspicate da varie parti e che ci auguriamo che trovino attuazione in concreto.

In tale direzione occorre ribadire l’importanza dell’aggiornamento dei meccanismi previsti per l’abolizione delle Leggi che contrastano con i Diritti del Cittadino e come tali sono affette da incostituzionaità.

Per comprendere l’importanza di procedere ad una revisione del dettato normativo che regola attualmente il ricorso alla Corte Costituzionale,quale Giudice delle Leggi, è necessaria una breve esposizione delle procedure tutt’ora esistenti.

Per avviare un giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi o degli atti aventi forza di legge dello Stato,delle leggi delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, vi sono due tipi di ricordo alla Corte costituzionale, diversi nei presupposti soggettivi ed oggettivi:

  • il giudizio in via incidentale (o d’eccezione)
  • il giudizio in via principale (o d’azione)
  1. Il giudizio in via incidentale

Tale giudizio rappresenta il procedimento, in gran parte prevalente, seguito dalla Corte Costituzionale nello svolgimento del controllo sugli atti legislativi.

In questo casp occorre ricorrere ad una “introduttore necessario”,ossia ad un Giudice che, nel corso di un processo (civile, penale o amministrativo che si stia)che si sta svolgendo innanzi a lui,sollevi,d’ufficio oppure su istanza di parte, la questione sulla legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge,mediante un’apposita ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale(cfr. art. 1 Legge Cost. 1/1948).

Tuttavia,in tal caso,il Giudice non può rimettere alla Corte la decisione sulla costituzionalità di una legge qualsiasi ma soltanto se si rispettino due condizioni che diventano, quindi, requisiti essenziali di ammissibilità del giudizio di costituzionalità:

  • requisito della rilevanza
  • requisito della non manifesta infondatezza

Tanto potrà avvenire solo se il giudicante dubiti della legittimità costituzionale di quella legge,oppure ritenga che la questione di costituzionalità non sia manifestamente infondata,,fornendo una sufficiente motivazione.

In attesa della decisione della Corte, lo stesso Magistrato giudicante deve disporre la sospensione del processo, poiché il giudizio finale è condizionata dalla decisone della Corte costituzionale sulla eccezione sollevata.

Risulta, quindi, evidente che il processo pendente rimane sospeso per un tempo del tutto indeterminato ed indeterminabile che provoca un allungamento “sine die” del giudizio civile, penale o amministrativo, come rilevato dalla Dottrina e dall’esperienza delle Aule di Giustizia..

Va aggiunto che anche la Corte costituzionale, in quanto Giudice delle Leggi, può sollevare davanti a se stessa questioni di legittimità costituzionale, quando si trova ad applicare norme di dubbia costituzionalità all’interno dei suoi propri giudizi (cfr. Corte cost.sent. 22/1960).

Invece, non essendo titolare di funzioni giurisdizionali, il Pubblico Ministero ha soltanto la facoltà di presentare al Giudice una propria istanza ma non dispone del potere di rimettere direttamente la questione alla Corte (cfr. art. 23, comma 1 e 3, l. 87/1953).

Nell’Ordinanza di rimessione il Giudice deve indicare i termini ed i motivi della questione, ossia gli elementi che concorrono a determinare l’oggetto che è rappresentato dalle disposizioni della Legge sulle quali sussiste un dubbio di legittimità costituzionale.  (art. 23, comma 1 e 2 Legge. cit.)

Infine,il giudizio di costituzionalità tende a concentrarsi sulle norme desumibili in via interpretativa dalle disposizioni legislative vigenti,norme che, tra l’altro, possono anche rivestire il ruolo di principi e quindi distanziarsi ancor di più dalle disposizioni scritte.

Tanto determina l’emergere di pronunce della Corte costituzionale con le quali vengono annullate solo taluni articoli della Legge impugnata, con la conseguenza che la stessa norma continua a far parte dell’Ordinamento nelle parti residue.

  1. Vizi di legittimità costituzionale

La legge impone alla Corte di escludere dal suo sindacato di legittimità costituzionale “ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”. La Corte,quindi,non può mai sostituire una propria valutazione politica a quella già compiuta dal legislatore.  (cfr. art. 28 l. 87/1953)

Va sottolineato che la Corte è chiamata a pronunciarsi soltanto rispetto all’oggetto ed ha il dovere di rispettare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ovvero, come dice la legge, può decidere soltanto “nei limiti dell’impugnazione” (art. 27 l. cit.)

I vizi di legittimità costituzionale possono essere distinti in vizi formali e vizi sostanziali, a seconda che la violazione riguardi le regole costituzionali relative al procedimento di formazione e l’esternazione dell’atto legislativo, ovvero quelle che impongono un determinato contenuto normativo alla legge.

Tra i vizi della legge, poi, deve farsi cenno al cosiddetto eccesso di potere legislativo, vizio elaborato traendo esempio dalla giurisprudenza amministrativa e dal vizio di eccesso di potere,configurato per valutare la correttezza dell’esercizio della discrezio nalità nell’adozione dei provvedimenti amministrativi, o lo sviamento dell’atto dal fine di interesse pubblico cui tale atto è per legge destinato.

Tuttavia, per ridurre le divergenze interpretative che possono dare luogo a conflitti di non facile soluzione in ordine all’oggetto del suo giudizio,la Corte tende frequentemente a privilegiare il diritto vivente, vale a dire quella più diffusa interpretazione della legge che è stata già elaborata dagli organi deputati all’applicazione di quest’ultima, in specie da quelli giurisdizionali.

Tuttavia,utilizzando una deroga consentita dalla legge al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Corte può giudicare su “altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata” (art. 27, ult. cpv., l. cit.). Una odalità che viene definita in dottrina come illegittimità costituzionale consequenziale,  ricorre quando, nella stessa o in altra legge, si ritrovano disposizioni che riproducono il medesimo contenuto normativo della disposizione dichiarata illegittima o che sono collegate da un nesso di strumentalità o funzionalità con la norma incostituzionale, oppure ancora quando dalla dichiarazione di illegittimità consegua in presenza di altre disposizioni legislative e non sia più costituzionalmente giustificata.

  1. Le Decisioni della Corte

Alla fine del giudizo di costituzionalità, la Corte provvede ad adottare le sue decisioni, contro le quali, per dettato costituzionale, “non è ammessa alcuna impugnazione” come prevede l’art. 137, comma 3, della Cost.

Le decisioni adottate dalla Corte sono di due tipi: sentenze ed ordinanze.

Entrambe debbono essere motivate sebbene le ordinanze soltanto “succintamente” (cfr. art. 18, u.c., l. 87/1953).

Secondo la legge, in via di principio, la Corte “giudica in via definitiva con sentenza”, e viceversa adotta con ordinanza “tutti gli altri provvedimenti di sua competenza” (art. 18, l. 87/1953).

Le Ordinanze vengono utilizzate per tutte le deliberazioni collegiali che non concludono definitivamente il giudizio; ed,inoltre,la stessa legge consente alla Corte di utilizzare lo strumento dell’ordinanza anche al fine di concludere i giudizi di legittimità costituzionale delle leggi,quando si decida nel senso della “manifesta infondatezza” della questione (cfr. art. 29, l. 87/1953).

Le Sentenze della Corte si distinguono in sentenze di inammissibilità, di accoglimento, e di rigetto.

La Corte, con la sentenza di inammissibilità, non si pronuncia sulla questione, ma, come si dice, si ferma in limine litis (come,ad es., per irrilevanza della questione, insufficiente motivazione, etc.).

Con le sentenze di accoglimento e con quelle di rigetto, invece, la Corte si pronuncia sulla questione sottopostale

In particolare, in tali casi la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della legge, perché accoglie la questione di costituzionalità in quanto ritenuta fondata mentre  con la sentenza di rigetto la Corte dichiara la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, che pertanto viene rigettata.

Le sentenze di accoglimento hanno cioè efficacia erga omnes, a prescindere dalla modalità di accesso alla Corte costituzionale.

Pertanto, tutti i soggetti, e non soltanto quelli direttamente coinvolti dal processo principale da cui è sorta la questione, sono tenuti ad osservare le sentenze emesse dalla Corte.

Con le sentenze di accoglimento, viene dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative con effetti giuridici conseguenti e, dunque, tali sentenze sono definite come “pronunce di accertamento con effetti costitutivi”.

Circa gli effetti che ne conseguono, le norme dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte non possano più trovare alcuna applicazione e cessano di avere ogni efficacia,neppure se poste a base di rapporti giuridici sorti prima della sentenza sempre  se siano ancora pendenti.

L’unica eccezione alla predetta regola, è costituita dalle sentenze irrevocabili di condanna penale che sono state già state pronunciate in base di una norma poi dichiarata illegittima dalla Corte (cfr. art. 30, comma 4, l. 87/1953).

Infatti, in applicazione del principio del favor rei (cfr. anche art. 25, comma 2, Cost.), cessa l’esecuzione di tali sentenze e tutti gli effetti penali.

La trattazione dell’argomento potrebbe essere estesa alle altre tipologie di sentenze ma

finiremmo per perdere di vista i termini essenziali della questione di fondo..

  1. Il giudizio in via principale (o d’azione)

Tale procedimento viene utilizzato allorché lo Stato, le Regioni o le Province autonome di Trento e Bolzano, mediante ricorso, adiscono direttamente la Corte costituzionale in ordine alle leggi approvate dagli altri enti (art. 2 l. cost. 1/1948; e art. 97 statuto t.A.A.). In questo caso il giudizio della Corte è innescato da una sorta di “azione” direttamente proposta dall’organo di un ente (Stato o Regione), mediante la presentazione di un ricorso avverso l’atto legislativo adottato dall’organo dell’altro ente, e perciò senza l’intermediazione di un Giudice.

Va aggiunto che, a differenza dei giudizi di costituzionalità in via incidentale, le parti del giudizio (ossia il Governo, la Regione o le Province autonome) mantengono nel corso del procedimento la cd. disponibilità della lite, poichè è ammessa la rinuncia al ricorso che, se accettata dall’altra parte, determina l’estinzione del giudizio.

Il procedimento è stato modificato a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001. Circa i giudizi su ricorso del Governo a nome dello Stato, l’art. 127, comma 1, Cost. consente al Governo di promuovere la questione di legittimità entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge regionale e dunque in via immediata mente successiva all’entrata in vigore della stessa..

Il Governo promuove la predetta questione di legittimità quando ritenga che la legge regionale “ecceda la competenza della Regione”.

Pertanto,in base alla giurisprudenza consolidata, il ricorso proposto può riguardare non soltanto eventuali vizi di competenza della Legge regionale, ma qualsiasi vizio di legittimità costituzionale in quanto il Governo agisce a tutela dell’ordine giuridico complessivo. (cfr. Corte cost. 30/1959 ed ora 94/2003)

Specifiche discipline sono dettate per i giudizi di legittimità costituzionale in via principale relativi alle leggi regionali di approvazione degli statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, e del trentino Alto Adige(v.art. 123 come sostituito con l. cost. 1/1999).

Il ricorso delle Regioni (o delle Province autonome) contro la legge o gli atti aventi valore di legge dello Stato o delle altre Regioni è proposto dal Presidente della Giunta regionale previa deliberazione di quest’ultima  ed è immediatamente successivo alla pubblicazione della legge statale (o regionale) già promulgata e pubblicata, in quanto deve essere notificato al Presidente del Consiglio (o al Presidente della Giunta regionale) entro sessanta giorni dalla pubblicazione dell’atto legislativo statale o regionale (cfr. l’art. 127, comma 2, Cost., come modificato dalla Legge. cost. 3/2001).

Peraltro, anche in questo caso, ed alle medesime condizioni già ricordate per i ricorsi statali avverso la legge e lo statuto regionale,la Corte costituzionale può sospendere l’esecuzione dell’atto legislativo statale impugnato dalla Regione (v. il nuovo art. 32 l. 87/1953 come sostituito dalla l. 131/2003).

Il giudizio di legittimità costituzionale non è preventivo, ma, anche in questo caso, successivo all’entrata in vigore della legge statale (o dell’altra Regione), e la conseguente pronuncia di illegittimità costituzionale produce effetti erga omnes corrispondenti a quelli del giudizio in via incidentale.

A differenza di quanto avviene per il ricorso statale, il ricorso della Regione (o della Provincia autonoma) deve necessariamente riguardare la lesione della sfera di competenza regionale o provinciale (cfr. il nuovo art. 127, comma 2, Cost.), attribuita alla Regione o alla Provincia autonoma (cfr. art. 32, l. 87/1953).

Tuttavia, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso regionale anche quando la presunta menomazione sia stata determinata dalla violazione di norme costituzionali diverse da quelle attributive di sfere di competenza, ma comunque attinenti a diritti o interessi regionali costituzionalmente protetti (Corte cost. 302/1988).

In ogni caso, il ricorso regionale avverso gli atti legislativi dello Stato (o delle altre Regioni) è ammissibile a condizione che si dimostri un interesse a ricorrere concreto ed attuale, ossia allorquando l’impugnazione regionale, se accolta dalla Corte, abbia un qualche effetto pratico a favore della Regione.(cfr. Corte cost. 18/1956 e 28/1976).

5.Le necessarie modifiche della Costituzione

Ciò posto, quello che non si comprende, dal raffronto delle due procedure per l’impugnazione di una Legge viziata di incostituzionalità, è la totale esclusione del diritto del singolo cittadino (o di una collettività di cittadini aventi lo stesso problema) di poter avviare un proprio ricorso che prescinda dalla decisione di un Giudice di merito di rimettere la questione alla Corte sospendendo il giudizio in corso.

L’attuale lentezza dei processi potrebbe, in tal modo, trovare una pronta soluzione attraverso una modifica costituzionale del procedimento dinanzi alla Corte Costituzionale, in conformità al principio del Giusto Processo, introdotto nel 1999 con l’art 111 della Cost. ma che non ha avuto ancora un pieno riconoscimento nelle Aule di Giustizia.

A tal proposito va ricordato che la norma citata ha pure introdotto la facoltà di ricorrere in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze e contro i provvedimenti giurisdizionali sulla libertà personale,omettendo di inserire il diritto di impugnare la legittimità delle leggi sia pure limitandolo a quelle che introducono sanzioni penali o siano limitative delle libertà personali..

Prescindendo dal diritto del cittadino di ricorrere direttamente contro leggi  illegittime e volendo ridurre l’esame alle Leggi introdotte per le Vittime di reato, la proposta di modifica costituzionale sarebbe costituita da un solo articolo, recante una novella del citato Art.111,nel quale sono contenuti i i princìpi costituzionali che presiedono al “giusto processo”..

Più precisamente,occorrerebbe inserire,dopo il quinto comma dell’articolo menzionato, un nuovo comma ai sensi del quale: “La Repubblica garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato”.

Come osserva la dettagliata relazione illustrativa che accompagna la proposta sottoposta all’esame del Parlamento,tra i princìpi introdotti nell’art. 111 Cost. manca,tuttora,una esplicita previsione a tutela della vittima dei reati, nonostante che la revisione costituzionale del 1999 abbia voluto accentuare il contenuto accusatorio del processo penale e dunque la sua natura di processo di parti cui assegnare condizioni di parità.

Lo scopo  perseguito è, pertanto, quello di “colmare questa lacuna, restituendo, in linea con i princìpi costituzionali di solidarietà e di uguaglianza, diritto di cittadinanza processuale alle vittime del reato ed anche quella di avviare, sul piano costituzionale, un percorso che porti alla piena attuazione di princìpi sanciti anche in ambito comunitario relativi alla posizione ed ai principali diritti della vittima sia nell’ambito del procedimento penale in senso stretto, sia con riguardo alle misure di assistenza alle vittime che potrebbero adottarsi prima, durante e dopo il procedimento penale, e che potrebbero attenuare gli effetti del reato.

Mario Pavone

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