Il decreto cosiddetto “Semplificazioni” ha riacceso in questi giorni la questione riguardante la liceità e l’opportunità delle gare d’appalto al massimo ribasso. Il tema è antico e la letteratura in argomento è ampia e consolidata. Quel che si fa fatica a comprendere è perché stia passando l’equazione gare al massimo ribasso uguale a semplificazione. Il che non solo non è vero, ma pure pericoloso. Vedo di chiarire.

Primo, questa procedura di assegnazione degli appalti finisce con il “premiare” quei soggetti di offerta che, per spuntare prezzi stracciati si adoperano per sfruttare il lavoro, evadere le tasse, inquinare in modo irriguardoso nei confronti della sostenibilità. Una delle più antiche leggi economiche è quella di Grisham, che recita: “La moneta cattiva scaccia quella buona”. Alla lunga, procedure del genere finiscono, al di là delle intenzioni di chi le pone in essere, col favorire le imprese meno meritorie. Proprio il contrario di quanto la filosofia del mercato ben temperato, da Antonio Genovesi e Adam Smith in poi, ha sempre difeso. Piuttosto, abbiamo bisogno di gare d’appalto al “massimo rialzo” della qualità del prodotto (o servizio), definita rispetto ad indicatori quali la tutela del lavoro e della sua dignità e la salvaguardia ambientale. Da qualche tempo, in Gran Bretagna l’ente pubblico appaltatore concede semplificazioni, anche sostanziose, in cambio dell’accettazione da parte del soggetto aggiudicatario di più elevati standard qualitativi, previamente definiti.

Secondo. Il principio del prezzo minimo non soddisfa affatto il criterio dell’efficienza, perchè, come l’esperienza insegna, troppo spesso l’impresa vincitrice della gara si avvale del trucco delle varianti in corso d’opera per accrescere i costi e quindi i rimborsi, ritardando così i tempi di consegna dell’opera, vera e propria piaga della realtà italiana. Si badi che è proprio tale pratica a costituire un potente incentivo alla diffusione della corruzione. Bel paradosso davvero: si vuol combattere la corruzione col metodo delle gare d’asta al massimo ribasso e invece così facendo la si alimenta.

Terzo. La sfida della semplificazione, da tutti desiderata, va vinta sul fronte della qualità e della sostenibilità. A tale riguardo, l’errore confusivo che purtroppo continua a serpeggiare è quello di identificare la categoria di valore con quella di prezzo. È questa nozione riduzionistica di valore economico che fa sì che beni relazionali, beni di cultura, beni di cura, beni comuni non vengano contabilizzati nella metrica del PIL. Eppure, i valori pubblici – quelli creati da una pluralità di attori – non sono la stessa cosa dei beni pubblici.

Come recenti acquisizioni scientifiche in materia di governance indicano a tutto tondo, ben altre sono le vie da battere per rendere le gare d’appalto all’altezza delle sfide odierne. Si veda, a tale proposito, il Rapporto OCSE (2020), “Shaping the future of regulations” e il pregevole lavoro di A. Taeihagh et Al., Regulation and Governance, 2021 ( CLICCA QUI ) , dove viene introdotto il concetto di “smart regulation”. Le gare al massimo ribasso sono tutto eccetto che smart! Ma perché mai gli italiani devono autoinfliggersi modelli e procedure che, anziché migliorare il benessere possibile, lo inibiscono? Solamente una perversa mentalità estrattivista, cioè non generativa, e burocratica ce lo impedisce.

Non posso terminare senza richiamare alla memoria quanto l’architetto francese Marchese di Vauban ebbe il coraggio di scrivere al suo Ministro della Guerra il 17 luglio 1693 a proposito delle gare d’appalto al massimo ribasso. Si tratta di un brano un po’ lungo, ma è troppo “bello” e “alto” perché valga la pena di tagliarne qualche pezzo:

“Eccellenza, abbiamo opere in costruzione che trasciniamo da anni mai terminate e che forse terminate non saranno mai. Questo succede per la confusione dei frequenti ribassi che si apportano nelle opere, perché è certo che tutte le rotture di contratti non servono che ad attirare tutti i miserabili che non sanno dove battere il capo e i bricconi e gli ignoranti, facendo al tempo stesso fuggire quanti hanno i mezzi e le capacità per condurre un’impresa.

E dirò, inoltre, che tali ribassi ritardano o rincarano i lavori, i quali diverranno ognora più scadenti. E dirò pure che le economie realizzate con tali ribassi e sconti con tanto accanimento ricercati, saranno immaginarie, perché l’impresario s’attacca a tutto ciò che può, il che significa non pagare i mercanti che forniscono i materiali, compensare malamente i propri operai, imbrogliare quanta più gente si può, avere la mano d’opera più scadente, come quella che a minor prezzo si offre, adoperare i materiali peggiori.

Ecco dunque quanto basta perché vediate l’errore di questo Vostro sistema: abbandonatelo in nome di Dio; ristabilite la fiducia, pagate il giusto prezzo dei lavori, non rifiutate un onesto compenso a un impresario che compirà il suo dovere. Sarà sempre questo l’affare migliore che Voi potete fare”.

Non esiste in letteratura un pensiero più lucido e profondo di questo sul tema qui affrontato. Le idee quando sono tali, cioè visioni, non tramontano mai; sono come il vino, che invecchiando migliora.

Stefano Zamagni

 

Pubblicato a Paradoxa

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