Nell’arco degli ultimi dieci anni conflitti, attentati e scontri a fuoco di natura politico – militare hanno provocato la morte o il grave ferimento di  357,370 persone di cui 230 mila, pari ad oltre il 90 % del totale,  vittime di azioni di guerra o di terrorismo condotte in zone abitate da civili a causa di conflitti  tra stati, popoli o etnie.

E’ questo il risultato di una ricerca condotta da Action on Armed Violence ( CLICCA QUI )  un’organizzazione indipendente basata a Londra che segue tutti i casi scontri armati o di violenza politica di massa registrati al mondo. Negli ultimi cinque anni, nel solo Afghanistan, il 41 % dei civili uccisi sono stati bambini con circa 1600 vittime ( CLICCA QUI ).

Cosa significano questi dati? Che oggi al contrario di ciò che accadeva fino alla Seconda guerra mondiale, vi è un numero impressionante di morti, per non parlare poi dei feriti, dei mutilati e degli sfollati, registrati tra la popolazione non belligerante rispetto a quelli provocati tra militari o altri gruppi di uomini in armi.

Se alcuni resoconti delle battaglie settecentesche o del secolo dopo parlavano delle popolazioni civili che assistevano da spettatrici allo scontro armato tra eserciti contrapposti schierati sui numerosi e frequenti campi di battaglia, quasi si trattasse di un’opera teatrale drammaticamente e sanguinosamente messa in scena, dalla metà del secolo scorso sono cambiate completamente la qualità e la sostanza dei conflitti in cui sempre più sono coinvolte popolazioni inermi e indifese.

Il paese più colpito è stato la Siria, dove vi è stata una guerra civile che ha provocato 92.831 vittime registrate, di cui per l’84% tra civili. I militari del governo di Damasco avrebbero causato sette vittime su 10, mentre l’Isis, altri gruppi terroristici o altre milizie armate sarebbero stati responsabile del resto. L’Iraq viene subito dopo con 73.471 morti o feriti registrati, in gran parte a causa della guerra condotta contro l’Isis, seguito da Afghanistan (49.107), Pakistan (29.666) e Yemen (24.498). Gaza è stato il nono territorio più colpito, con 5.700 vittime civili registrate su 764 incidenti.

In effetti, da poco si è concluso lo scontro israelo- palestinese di Gaza proprio caratterizzato dall’uso continuo di bombe o  dal lancio di missili contro zone residenziali con un bilancio catastrofico per la vita di un ristretto lembo di terra dove si registra una delle più alte densità abitative al mondo( CLICCA QUI ). Anche Hamas, al contrario, non ha esitato a bombardare zone di Israele senza mirare esclusivamente a colpire impianti militari dello Stato ebraico, ma lanciando missili in maniera indiscriminata.

La ricerca di Action on Armed Violence è stata condotta prendendo in esame 29.000 casi registrati in 123 paesi. Tra questi è indicato quello che è considerato l’attentato che ha colpito più persone in una sola volta, qual è stato il caso dell’esplosione organizzata a Mogadiscio, la capitale della Somalia, di un camion imbottito di esplosivi che, nel 2017 ha coinvolto ben 828 persone, di cui oltre 500 hanno perso la vita, per mano del gruppo terroristico islamista al-Shabaab.

L’Irlanda in particolare si sta operando affinché le Nazioni Unite comincino a limitare l’uso di armi esplosive ai danni delle popolazioni civili, ma molti altri paesi si sono rivelati molto tiepidi al riguardo nonostante anche la Croce Rossa internazionale si stia impegnando in tutti i modi perché sia vietato almeno l’uso di ordigni militari nelle zone urbane.

In una dichiarazione rilasciata al The Guardian ( CLICCA QUI ) anche Laura Boillot, coordinatrice dell’International Network on Explosive Weapons, ente di beneficenza che si batte contro l’ uso indiscriminato delle armi da guerra, ha sostenuto che proprio lo scontro su Gaza ha evidenziato la necessità di giungere ad un accordo internazionale che preveda un divieto esplicito e sanzionabile al riguardo: “Questi danni inferti alle popolazioni sono  inaccettabili e questo stato di cose deve cessare, altrimenti rischiamo un altro decennio di sofferenza e devastazione civile”

 

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