Le elezioni politiche del marzo del 2018  non solo hanno sconvolto il panorama politico, ma hanno anche messo in luce la difficoltà della Chiesa a orientare i comportamenti sociali nei confronti di tale ambito. Si è trattato di un brusco risveglio ad una realtà che peraltro era già ben visibile.

Ne è nato e si è sviluppato un vivace dibattito, che  ha visto l’intervento autorevole del presidente della Cei card. Bassetti e di altri  esponenti della gerarchia ecclesiastica. Si sono moltiplicati gli appelli, gli auspici, le chiamate a raccolta. Accanto al riconoscimento che non è più possibile rieditare formule di un passato più o meno rimpianto, si sono auspicate forme nuove, inedite di presenza tutte da inventare.

L’impressione che se ne ricava è quella di un mondo cattolico disorientato, ma soprattutto frammentato, alla ricerca di qualcosa di fortemente auspicato, ma a cui non riesce a dare forma e ragionevole concretezza.

Tale spaesamento ha conosciuto un’ulteriore botta dalle recenti elezioni europee, che hanno confermato lo scarto fra gli autorevoli richiami di papa Francesco,di vescovi  e di importanti esponenti delle associazioni cattoliche da un lato, e dall’altra la scelta elettorale di una parte consistente di cittadini.

A fronte di tale realtà non sembrano sufficienti l’intensificazione dei richiami ai valori e  le denunce dei mali,pur necessari. Occorre,  da un lato, acquisire piena consapevolezza delle profonde trasformazioni intervenute nelle coscienze e nei valori condivisi del popolo italiano, anche di coloro che si dichiarano cattolici, negli ultimi decenni; dall’altro, effettuare un esame critico ed onesto delle strategie e dei percorsi tentati dal mondo cattolico nelle recenti stagioni.

Quanto alla prima questione, è fin ovvio constatare che anche  il nostro Paese, pur con proprie specificità, ha conosciuto e conosce il dispiegarsi del processo di secolarizzazione, anche se tale categoria appare troppo generica e insufficiente per spiegare una situazione ben più complessa. In ogni caso è per lo meno problematico oggi parlare dell’Italia come di un paese cattolico.

Da parte di tanti,anche con buone ragioni, si ammette che i cattolici oggi sono una minoranza,seppur importante e consistente. Certo la realtà è più articolata. La presenza della Chiesa e dei cattolici nella società italiana appare ancora radicata sia con strutture capillari che con iniziative e attività ecclesiali, culturali, caritative: basti pensare alle tante sigle di associazioni diffuse  a livello nazionale e sul territorio, anche se per alcune di esse si tratta ormai di gusci quasi vuoti. L’Italia non è certo paragonabile al quasi deserto di paesi come l’Olanda o la stessa Francia.

Si può però chiedersi se( o in che misura) esiste ancora un ethos cattolico, un costume etico diffuso e condiviso da una larga parte della popolazione(in particolare dalle classi giovanili), coerente con i valori del cattolicesimo,soprattutto su temi come la famiglia ,la bioetica, l’ospitalità.

Al riguardo,  risulta importante comprendere il processo di trasformazione della coscienza religiosa di una parte non  indifferente della popolazione che peraltro continua a definirsi credente. Partecipazione ai riti, complesso di credenze, valori di orientamento della prassi, senso di appartenenza all’istituzione erano dimensioni vissute come intimamente connesse e coerenti dell’esperienza religiosa.

Tale connessione sembra essersi notevolmente affievolita .Gli studiosi del fenomeno parlano di religione a bassa intensità,  di religione fai da te o a la carte. Parlare semplicemente di incoerenza fra credenze e  prassi con i relativi appelli appare riduttivo.

Secondo un’altra ottica di lettura,  può risultare illuminante la categoria dell’”io multiplo e malleabile”utilizzato da alcuni studiosi: un individuo che vive “un’identità frammentata e alterna l’una o l’altra versione di sé” a seconda dei contesti di vita. Di qui il paradosso: devoti e praticanti fedeli in chiesa, altruisti nel volontariato,tendenzialmente razzisti o menefreghisti in politica.

Tutto ciò rappresenta certo  una radicale sfida per la Chiesa ed il Cattolicesimo in primo luogo; non è altresì irrilevante per la dimensione politica. In tale contesto quali forme e modi può assumere la risposta all’appello per una presenza dei cattolici nel dibattito pubblico e nell’azione politica, una presenza che non si riduca semplicemente a minoritaria e residua testimonianza, ma incida concretamente nelle dinamiche sociali e politiche?

Un secondo ordine di considerazioni riguarda le vicende del cattolicesimo politico degli ultimi decenni, rispetto alle quali manca ancora una onesta e spassionata riflessione, stretti come siamo  fra l’esigenza di giustificare in qualche modo le scelte compiute da un lato, dall’altro il rimpianto  più o meno velato di una stagione idealizzata.

La fine della DC all’inizio degli anni novanta non ha costituito semplicemente la fine di un partito, ma la liquidazione di un modello di presenza dei cattolici in politica che ha inciso profondamente nella realtà italiana. In quella stagione ai cattolici veniva impartita, in maniera più o meno stringente, una direttiva e si assisteva ad una mobilitazione , più o meno diretta, delle strutture ecclesiali e delle organizzazioni del laicato cattolico.

Tramontato tale modello, per molte e profonde ragioni di carattere religioso, culturale e politico, sulla base dell’assunto circa la legittimità della pluralità delle scelte politiche dei cattolici, si sonno percorse due strade, in ambiti diversi ma complementari, l’una a livello ecclesiale, l’altra a livello politico.

Da parte della chiesa italiana si puntò sul rilancio di una presenza a livello culturale con il Progetto  Culturale e sulla proposizione di alcuni valori “non negoziabili” attorno ai quali  realizzare unità di azione dei cattolici a fronte delle derive libertarie in termini di diritti.

Ma il progetto culturale è rimasto un auspicio e la battaglia  sui “valori non negoziabili” non ha certo  bloccato  il processo di secolarizzazione dell’ethos comune e, anziché   favorire la convergenza dei cattolici su posizioni condivise, ne ha consolidato le divergenze, in quanto di tali valori si sono espresse declinazioni differenti, per non dire contrapposte .

Quanto ai segmenti rimasti della DC, dopo la liquidazione, forse  incauta e prematura, del PPI di Martinazzoli, essi sono stati subito risucchiati nella dinamica bipolare, inseguendo l’illusione di poter incidere e fecondare il terreno dell’uno o l’altro schieramento, ma in realtà hanno finito per essere subalterni rispetto alle logiche interne dell’uno o l’altro polo, riuscendo , al più, a mettere virgole o incisi ininfluenti  su ordini del giorno e provvedimenti dettati da altre visioni.

Le stagioni di Prodi e dell’Ulivo da una parte e di Berlusconi dall’altra, pur tanto diverse e contrapposte, non  hanno prodotto un vero e proprio protagonismo dei cattolici. Forse non appare troppo ingeneroso, al di là del valore , delle intenzioni e dell’impegno di singole persone, parlare di vicende di semplici epigoni.

Non solo , ma la subalternità  rispetto alla logica bipolare  ha finito per cristallizzare le differenti sensibilità da sempre presenti all’interno del mondo cattolico, producendo la semplicistica divaricazione fra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale” al cui superamento  continua a sollecitare il card. Bassetti.

Non sono mancati tentativi di ricomposizione, come l’incontro di Todi, ma sono rimasti episodi senza seguito, non hanno generato processi.

Il dibattito che si è sviluppato in quest’ultimo anno ha visto emergere sollecitazioni, auspici, proposte e tentativi diversi.

Occorre al riguardo partire dal pieno riconoscimento dei dati di fatto indiscutibili, pena il restar prigionieri di progetti velleitari.

Alcuni sono già stati ricordati: quanto all’ethos condiviso, ai valori,modi fondamentali del vivere, il paese è profondamente cambiato; la stessa coscienza di tanti che continuano a dichiararsi cattolici vive dimensioni che non trovano più stretta relazione e coerenza fra loro.

A ciò si aggiunge la realtà di un mondo cattolico ben lontano da un’unità monolitica, ma  caratterizzato da una pluralità di orientamenti  e di scelte non tanto e solo sulle questioni strettamente politiche.  Questo potrebbe far pensare che le uniche forme di presenza dei cattolici siano quelle, da un lato, di un’azione a livello molecolare di modalità di vita alternative, dall’altra , di una testimonianza  di  minoranza creativa.

Al tempo stesso però occorre registrare i chiari segni di presenza e di vitalità del cattolicesimo italiano non solo nella dimensione strettamente ecclesiale, ma anche civile e sociale, che costituisce una risorsa preziosa e indispensabile per il paese, come viene riconosciuto  anche da esponenti laici. Congiuntamente diffuso è il malessere, fra cattolici praticanti  e non, i quali non si riconoscono nelle formazioni politiche oggi sul mercato e soprattutto soffrono la divaricazione di cui parla il card. Bassetti nei suoi interventi recenti.

Ci si interroga anche sul senso e sul valore di una lunga stagione dell’impegno politico del cattolicesimo italiano.

La questione che ci interpella direttamente, oggi come e più di ieri, è: ha ancora un senso, un ruolo, una missione di servizio la presenza visibile e organizzata, nello spazio pubblico, della tradizione dei cattolici democratici, del popolarismo? E in quale forma? Questa storia è stata, come si sente spesso dire, una parentesi importante sì ma conclusa? Una storia ed un lascito da consegnare alle singole coscienze, non più spendibile in un contesto radicalmente mutato? Bastano, per garantire che sopravvive, le biografie individuali più o meno esibite?

In una stagione in cui sembrano riscuotere applausi parole d’ordine come “contaminazione”, “ meticciato”, in cui la storia è avvertita come un peso ed una zavorra che impedisce di vedere il presente e di camminare in avanti, il richiamarsi ad una tradizione culturale e politica da impegnare ancora nell’oggi è un’intrapresa puramente nostalgica e di retroguardia?

Non ci si deve nascondere che, a monte di queste domande, ci stanno complesse questioni e interrogativi di ben più vasta portata circa la presenza ed il ruolo dei laici cattolici nella costruzione della città dell’uomo

Non si tratta di difendere gelosamente identità separate, ma di continuare a svolgere un servizio e portare un contributo alla crescita della comunità nazionale. Ci si misura, ci si confronta, ci si incontra  e si percorre assieme una strada solo se si è qualcosa, se si ha qualcosa da impegnare e da spendere.

Certo, vale anche oggi più che mai quanto Sturzo diceva all’inizio del secolo scorso, in un tornante decisivo della storia del movimento cattolico: “ E’ questo il momento di incominciare da capo e di indovinare la via: altrimenti bisogna rinunciare per un altro mezzo secolo alla nostra vita civile”.

Il dibattito ed il confronto che si stanno sviluppando sembrano delineare strade differenti fra loro. C’è chi vede come unica via praticabile, nell’attuale contesto secolarizzato, quello  dell’educazione delle coscienze, della testimonianza di prassi di vita alternative.

Si tratta di una strada importante e necessaria da percorrere, ma occorre chiedersi se sia da sé sola sufficiente. Nello spazio del dibattito pubblico ci sarebbe posto solamente per richiami anche forti ai valori, per le denunce dei mali. Ma quale  il ruolo assegnato al laicato cattolico, nel migliore dei casi alacremente impegnato a fecondare terreni diversi ma  gregge disperso senza voce? Una onesta riflessione  sulla recente stagione risulta illuminante al riguardo. Il cattolicesimo nel dibattito pubblico in Italia: protagonismo del Papa, sovraesposizione della gerarchia, afonia del laicato.

Diverse voci, anche autorevoli, auspicano una qualche forma, più o meno strutturata, di collegamento fra i tanti segmenti di presenza dei laici cattolici(rete, fondazione), anche se non ben delineate appaiono natura, finalità ed interlocutori ed approdi. Se l’intento appare condivisibile, non poche appaiono le difficoltà a far incontrare e dialogare realtà che finora si sono rivelate troppo autoreferenziali e, almeno alcune, troppo elitarie e senza grande seguito di base.

Due appaiono  le questioni cruciali. La prima concerne gli obiettivi: dar voce unitaria su che cosa, non riducendosi ad una specie di lobby o gruppo di pressione su single tematiche? La seconda riguarda il radicamento: tentativi sperimentati nel passato, fallimentari, si sono rivelati operazioni di vertice senza massa critica.

Eppure oggi più che mai appare indispensabile il contributo dei cattolici e della loro migliore tradizione di fronte  alle tante e gravi emergenze che sfidano le coscienze di tutti. Ritorni al passato risultano improponibili in presenza una società sempre più secolarizzata, politeista sul piano dei valori e di un mondo cattolico non più monolitico sia in senso verticale che orizzontale, ma che assume la forma di un variegato arcipelago. D’altra parte limitare l’impegno alla formazione delle singole coscienze, azione peraltro indispensabile, non appare sufficiente: non sono mancati né mancano tuttora tante presenze di cattolici a livello amministrativo e politico; attribuire la scarsa incidenza sulle dinamiche politiche solo alla inadeguata formazione appare semplicistico oltreché ingeneroso. Il problema sta anche nella forma e nel modo della loro presenza, assimilabile a quella di un volgo disperso, subalterno a logiche determinate da altri.

Superare  una diaspora inconcludente, costruendo una presenza ed una voce significativa che, intercettando le emergenze ed i bisogni profondi del paese e mettendoli in tensione con i valori espressi dalla tradizione cristiana, sappia parlare laicamente e coinvolgere in un progetto comune uomini di buona volontà: questa è la sfida e la scommessa cruciale per il laicato cattolico: senza coperture, né presunzione di primogeniture o pretese di rappresentare l’intero. Questa sfida ha bisogno di un laicato cattolico veramente maturo, che non si limiti a fare la parafrasi  dei discorsi papali e delle omelie, ma, orgoglioso al tempo stesso del proprio riferimento di valori e della propria laicità, sia capace di indicare prospettive condivise oltre le emergenze del presente. Si tratta della capacità di leggere e farsi carico del vissuto concreto della gente non tanto per assecondarne le paure, ma per offrire ad esso sentieri concreti di speranza.

E’ la faticosa e impervia strada della mediazione alta fra valori e interessi percorsa da Sturzo, De Gasperi e Moro e tanti altri protagonisti della storia del cattolicesimo politico italiano.

Le sfide e i temi cruciali su cui coagulare riflessioni, proposte e consensi  sono  molteplici, attingendo anche alle grandi intuizioni  della tradizione del cattolicesimo politico che vogliamo impegnare nell’oggi.

1 Il primo riguarda la tenuta e la qualità della nostra democrazia. E’ un tema all’ordine del giorno sotto tanti aspetti, dibattuto a livello culturale e politico non solo in Italia ma anche negli altri paesi. Che la democrazia sia un compito e un impegno perenne, più che un dato definitivamente acquisito è consapevolezza non di oggi. Di oggi però sono nuove le sfide,i condizionamenti, i limiti e i pericoli.

La democrazia è fatta di consenso e partecipazione, capacità e forza di decisione per il bene comune, corpi intermedi, regole e controllo del potere. Tutte queste dimensioni sono oggi soggette ad erosione. Il risultato è la sensazione diffusa, che  non è  solo tale ma anche realtà, di estraneità del cittadino rispetto alle scelte che lo riguardano, del cittadino rispetto alla decisione politica, della politica rispetto alle dinamiche dei grandi interessi economici.

A fronte della crisi delle tradizionali forme di rappresentanza e di canalizzazione degli interessi,  tendono ad affermarsi   modelli di tipo plebiscitario  e di pseudo democrazia diretta .L’attenzione di questi ultimi decenni sembra  essersi concentrata soprattutto sulle forme ed i modi per garantire capacità di decisione e di governo, alla quale vengono funzionalizzati forme e modi di raccolta e canalizzazione del consenso.

Di qui i dibattiti senza fine ed il susseguirsi di riforme di legge elettorale, quasi che solo qui stesse la soluzione dei problemi della nostra democrazia. Ma i problemi non sono solo qui. Il consenso può essere, oggi di gran lunga più di ieri, mimato, distorto, manipolato e compresso; la deliberazione politica  determinata da decisioni e a priori assunti altrove; i processi decisionali, persa la trasparenza, sottratti ad ogni controllo.

La rappresentazione sempre più spesso prevale sulla realtà. Le logiche della spettacolarizzazione e della mediatizzazione determinano gli ordini del giorno, configurano i problemi, cristallizzano i rapporti e le posizioni, favoriscono soluzioni illusorie.

Una delle grandi conquiste della modernità è stata certamente l’affermarsi di quella che è chiamata “sfera pubblica”, intesa come spazio comune in cui attraverso il libero dibattito critico i cittadini si formano un’opinione sulle questioni di interesse comune e si realizza il controllo del potere. Quanto questo spazio oggi sia indebolito, fragile, colonizzato, al limite ininfluente: lo si vede ogni giorno. Contare e ricontare i voti per la democrazia è momento fondamentale ed indispensabile. Ma la sua qualità dipende dalla consapevolezza, dai convincimenti maturati, dai valori civici che nel voto trovano la loro espressione.

Che dire poi della strutturale miopia cui sembra condannata la democrazia attuale che ,per ricercare il consenso, si vede quasi costretta a rincorrere i mutevoli umori di corto respiro del corpo elettorale e dell’opinione pubblica,con conseguente incapacità di pensare ed operare in prospettiva?  La   miopia del pensiero e dell’azione politica attuali  si riscontra in maniera significativa nel modo di corto respiro con cui vengono affrontate due questioni di portata epocale: l’emergenza ecologica e una politica estera che sia all’altezza delle sfide dell’oggi e del futuro.

A tutto questo si connette l’esigenza di un recupero congiunto, da un lato, del senso e del  valore della statualità e dall’altro della salvaguardia della libera articolazione delle varie forme della società civile, che non è semplicemente questione di libero mercato. Su questo la rivisitazione delle lezioni di Sturzo, di Moro e di altri sarebbe particolarmente stimolante.

Certo è che non bastano più i collaudati meccanismi tradizionali. Occorrono sempre più coscienze informate, vigili, libere e critiche, alla formazione delle quali  possiamo anche noi in qualche misura contribuire. Montesquieu, interrogandosi su  quale forza tenga unita la società,affermava che( tirannide-paura, monarchia-onore) nella repubblica deve dominare la “virtù”, intesa come quel sentimento e valore che porta i cittadini ad anteporre il bene comune al proprio particolare interesse. La repubblica, in sé, è più debole, più instabile rispetto ad altri regimi; la sua vera e unica forza sta nel senso civile dei suoi cittadini.

La nuova rivoluzione tecnologica, la globalizzazione e i flussi migratori sono tre processi epocali che  ,agendo congiuntamente, incidono ed incideranno sempre più sulle forme delle nostre società e sul vissuto delle persone.

Si tratta di processi inarrestabili, che determinano radicali mutamenti non solo  a livello sociale, ma anche nella coscienza delle singole persone. Non si tratta infatti solo  della carenza di lavoro, questione peraltro  centrale nel prossimo futuro.

Se non governati, producono  destabilizzazione e spaesamento, almeno nell’immediato e nel medio e breve termine. Insicurezza,crisi di identità e di appartenenza, spaesamento segnano nel profondo l’esperienza di notevoli fasce di popolazione, che si sentono tradite, abbandonate dalle èlites, non solo quelle politiche. Delle paure ad essa collegate si alimentano, amplificandole, i vari populismi che propongono soluzioni semplicistiche e illusorie, generando  da un lato  demiurghi inconsistenti a cui affidarsi da un lato, dall’altro capri espiatori .

Tale realtà non può essere sottovalutata né esorcizzata.  Non è possibile ridurre tutto ciò  a questione di paure irrazionali,  di egoismi piccolo- borghesi . Tanto meno la risposta sta nella riedizione, magari sofisticata, del mito delle “magnifiche sorti progressive”. In gioco c’è la tenuta delle nostre società e delle democrazie.

Occorre cambiare la narrazione. Intercettare tale vissuto, farsene carico, tentare risposte concrete e credibili è parte fondamentale di una nuova impresa di” liberi e forti”.

Il terzo tema ha ancora a che fare con le problematiche  appena accennate. C’è un concetto cardine, presente nella nostra tradizione, che meriterebbe di essere ripreso, approfondito e sviluppato, proprio alla luce delle questioni di oggi: è il concetto di persona, che è altra cosa rispetto al concetto di individuo atomisticamente inteso che stipula semplicemente un contratto utilitaristico di convivenza.

Persona per noi vuol dire certo soggetto di libertà, ma anche intrinseca relazionalità e socialità. E dunque la rivendicazione fondamentale della propria libertà si sposa con “il valore decisivo” dei rapporti con gli altri e quindi con la responsabilità, che non è semplicemente o solamente rispondere alla propria coscienza, ma anche ad una istanza esterna riconosciuta. Si lamenta giustamente la mancanza di progetti condivisi di un idea di futuro condiviso capace di mobilitare energie e azioni condivise, di una identità riconosciuta.

Ci si può chiedere se tutto ciò  non abbia a che fare con il prevalere, sempre più diffuso ad ogni livello, di una visione e di una pratica puramente mercantile, contrattualistica del rapporto sociale: non più legami, appartenenze, destini comuni, ma accordi e transazioni provvisorie di utilità.  Di qui il venir meno  della percezione di un bene comune  da riconoscere, promuovere,e custodire, del valore primario della legalità. Di qui  pure il venir meno del riconoscimento del ruolo  fondamentale delle formazioni sociali intermedie nelle quali si esprime l’intrinseca socialità della persona. Si tratta di un tessuto etico e culturale che è andato progressivamente sfaldandosi: ricostruirlo è impegno inderogabile prioritario.

Al riguardo non si può non registrare una certa contraddizione fra l’esaltazione di una certa logica individualistica e l’appello alla solidarietà. Fa riflettere non poco una singolare e tacita metamorfosi,che sembra interessare forze che hanno costruito la loro storia sul valore centrale della solidarietà: diventate paladine di una rivendicazione esasperata di un’astratta libertà individuale, finiscono per minare in prospettiva radici e motivazioni della solidarietà. Solo una compiuta visione della persona può impedire che la irrinunciabile conquista e coscienza dei diritti soggettivi si traduca in allentamento dei legami della società. Diritti-doveri -legami è  la triade che attende di essere ricostituita.

Un altro tema, oggi forse presente più in sottotraccia a differenza di ieri, ma non meno importante, che si impone alla riflessione è quello della laicità, che incrocia molteplici questioni e scatena sempre più passioni e polemiche e concerne anche la nostra dignità e capacità di cittadini con coscienza religiosa di partecipare al dibattito pubblico.

Sappiamo tutti che l’attuale stato democratico secolarizzato è il frutto di un travaglio lungo e complesso e di conflitti. La pace e la convivenza civile sono risultate garantite con la distinzione delle due sfere, religiosa e civile, con la congiunta affermazione della libertà religiosa e della laicità dello stato. Senonché il problema si ripropone oggi in termini ancor più complessi e radicali, di fronte al venir meno di quel tessuto di valori condivisi che avevano resistito anche alla prima secolarizzazione illuministica. Ci chiediamo: come coniugare valori, libertà e laicità?

La neutralità dello stato, in coerenza con la sua radicale laicità, deve essere intesa “come assenza di contenuti e mero insieme di procedure?”. La questione dei valori deve allora essere bandita dal dibattito pubblico e venir relegata al livello delle preferenze individuali? Ma può uno stato, una comunità sussistere e reggersi semplicemente sulla base di semplici regole di procedura?

La questione non è astratta, ma si pone nella concretezza dell’attuale dibattito politico. Certo è che alla sfida di questo laicismo radicale non si può rispondere con astratti appelli ai valori o con forme di fondamentalismo, ma impegnandosi in un confronto civile, fornendo ragioni convincenti per la costruzione di un bene comune.

Anche su questo la lezione sturziana può avere ancora qualcosa da dire.

Di Sturzo in particolare attuale rimane la sua lezione di metodo. Il suo famoso appello suonava: “A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.

Non un appello ad un rinserrare le fila di tipo confessionale, fuori tempo allora e ancor più oggi, ma una chiamata a tutti gli spiriti liberi e pensosi sulla sorte del paese.

Gianclaudio Tagliaferri

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