Le polemiche su come Giorgia Meloni riconosce o meno l’antifascismo e l’entrata nel vivo della in campagna elettorale per le prossime europee hanno fatto finire come la polvere sotto il tappeto una serie di valutazioni indispensabili da avviare dopo alcuni degli ultimi appuntamenti elettorali.
Le “novità” della Sardegna sono durate lo spazio di pochi giorni. In Abruzzo e in Basilicata non è andata come nella seconda isola nazionale. In Sardegna, lo abbiamo ampiamente documentato avendo in qualche modo vissuto la cosa (CLICCA QUI), si è trattato di un confronto che entrava nel vivo dei problemi dei territori. E la nascita dal basso di una candidatura, quella della neo Presidente Todde, è da considerarsi soprattutto il frutto di un lavorio proprio delle realtà locali. Forse, già la forza con cui il Pd e i 5 Stelle avevano immediatamente enfatizzato quel successo e, ovviamente, provato a metterci sopra il cappello, oltre che ad ipotecarlo come una tendenza nazionale, avrebbe dovuto far suonare un campanello d’allarme.
Le conseguenze le si sono viste nel modo in cui sono state successivamente formate le liste in Abruzzo e in Basilicata. La lezione subito dimenticata. A conferma di come basti un niente per gettare all’ortiche un qualcosa che voglia rappresentare un altro modo di fare politica. La cosa è destinata a non restare come polvere finita, o nascosta, sotto il tappeto. E riguarda tutti. Anche quei popolari che cercano di rappresentare un qualcosa di alternativo ai metodi e alla sostanza sia della destra, sia della sinistra
Dalla Basilicata è venuta la definitiva conferma delle reticenze a prendere atto di come la politica sia soprattutto relazione con la società civile e del modo, e della qualità, con cui qualunque forza politica si rapporti con il tessuto reale civico. Là, Angelo Chiorazzo, l’animatore di una lista profondamente radicata nel territorio, quella di Basilicata Casa Comune, l’ha detto chiaro e tondo: il centrosinistra lucano ha dato “uno spettacolo indecente di veti incrociati, discussioni sul nulla, esercizi di pseudopotere finalizzati solo a distruggere, invece che a costruire”.
Chiorazzo nel corso degli anni si è particolarmente distinto nell’avviare progetti sociali di ampio respiro regionale e, non a caso, è stato il candidato consigliere più votato. Una sua candidatura alla Presidenza regionale era stata lanciata per la guida di una lista che, come per quanto era stato in Sardegna, mettesse in particolare l’accento sull’autonomia decisionale e la piena responsabilità lasciata ai territori. La conclusione è stata, invece, il far prevalere le logiche esclusivamente nazionali. Il risultato è stato quel che è stato.
Lo stesso avvenne già in occasione delle elezioni regionali dell’ottobre del 2019 in Umbria dove non si volle puntare su una lista civica capeggiata da Stefania Proietti (CLICCA QUI), Sindaca di Assisi, oggi anche Presidente della Provincia di Perugia. Con quella decisione il centrosinistra cominciò ad infilare una serie di cocenti sconfitte e a ridurre davvero a poco il numero delle regioni non lasciate alla destra. Un malessere che viene da lontano, dunque, e che, a parte la fiammata sarda, non ha portato ad alcuna salutare inversione di tendenza nel campo che pure continua a chiamarsi riformatore.
Di converso, la destra ha dimostrato in Sardegna che il collante costituito dalla esclusiva scelta del potere non sempre basta. Perché, quando s’incrinano gli equilibri locali, la sconfitta è certa. A maggior ragione se talune vicende confermano che questa alleanza della destra non esiste più quando si vanno a toccare temi fondamentali che riguardano le prospettive del Paese di lungo periodo. Come sono quelle, ad esempio, che tirano in ballo l’Europa.