Sarebbe facile ironizzare, e preannunciare che il vero responsabile, il mandante di prima istanza dell’attacco hacker subìto qualche giorno fa dai sistemi informatici della Regione Lazio, sarà, con ogni probabilità, alla fine indicato nella persona Vladimir Putin. E qualcuno, anche per alleggerire il generale stato d’ansia, potrebbe anche considerare divertente dire che è quindi al leader russo che dovranno essere dirette le lamentele, le impotenti grida di rabbia e le maledizioni di tutti coloro che da qualche giorno hanno perso la possibilità di prenotare la propria vaccinazione contro il Covid-19.

Ma, purtroppo, ironia e battute di spirito sarebbero crudelmente fuori posto nella drammatica – e potenzialmente mortale – condizione in cui si sono venuti a trovare molti tra i più fragili residenti della capitale e nella sua regione. Condizione che ben si spiega, di fronte all’assenza di ogni strategia, al caos e all’irresponsabilità che obiettivamente regnano – e, per dirla francamente, già davamo segno di regnare ben prima dell’attacco criminale –  nelle strutture che, dovrebbero garantire ai cittadini del Lazio una qualche protezione contro la nuova ondata del morbo.

Non è una novità. Certo! Appena un mese fa, aveva suscitato scalpore la decisione di consentire l’uso del vaccino prodotto da AstraZeneca per i minori di sessant’anni, e ciò nonostante il fatto che il Ministero della Salute avesse raccomandato esattamente il contrario, e cioè di far ricorso alla vaccinazione eterologa con vaccini di nuova generazione, quelli ad acido ribonucleico, Pfizer Moderna.   E a questa “decisione” si era accompagnato, da parte della Regione Laziol’annuncio che, per la categoria di cittadini che erano stati vaccinati tra maggio e giugno scorsi, sarebbe stato ridotto a cinquantasei giorni l’intervallo massimo tra prima e seconda dose.

A questo proposito è stato persino pubblicato un “calendario” con le nuove date dei richiami. E molti ultrasessantenni che rientravano in questa categoria hanno ricevuto al loro indirizzo privato di posta elettronica, una email con l’indicazione della nuova data per il richiamo.

Ma a tutto questo rullar di tamburi propagandistici nulla ha fatto seguito nei fatti, dando così ragione a chi, come il Professore ordinario di Patologia Generale all’Università di Padova, Antonella Viola, aveva immediatamente capito e denunciato. E cioè che la Regione Lazio non stava seguendo alcun piano strategico, ma stava semplicemente cercando  di “bruciare” le scorte di vaccino Vaxzevria, prodotto da AstraZeneca, accumulatesi a seguito dei dubbi e dell’aura di inaffidabilità che si erano manifestati, per una molteplicità di cause peraltro spesso scientificamente irrilevanti, e molto ampliate rispetto ai suoi demeriti, nei confronti del vaccino anglo-svedese.

In altri termini, vaccinando indiscriminatamente, e con un prodotto di cui si cominciava a ipotizzare che rischiasse di procurare effetti di confusione mentale su pazienti dalla psiche già indebolita, stava cercando di porre in atto la strategia del cosiddetto “rispetto delle cifre di controllo”, quella che guarda ai numeri delle vaccinazioni quotidiane, senza darsi soverchia cura di chi riceva quale vaccino e delle “conseguenze avverse” che ne possano derivare per le singole persone. Insomma, la stessa strategia che ha portato al collasso la pianificazione di tipo sovietico, dove la quantità aveva il primato su tutto, dalla qualità del prodotto alle conseguenze ambientali dei processi produttivi.

Quello che più colpisce è che un tale irresponsabile comportamento abbia finito per gettare nell’incertezza, e in definitiva mettere in difficoltà, alcune delle migliori strutture sanitarie del Lazio, che in qualche occasione – come in quella della “Fondazione Santa Lucia” – càpitano essere anche le migliori strutture sanitarie d’Italia. Inevitabile ed immediato è infatti l’interrogativo su quale giudizio si debba dare sul complesso dell’azione anti-covid nella Capitale e dintorni, quando si diffonde la sensazione che persino un vero e proprio fiore all’occhiello del sistema sanitario del Paese si trovi a soffrire del caos creato a livello regionale.

Sembra infatti che, a tutt’oggi, questa formidabile struttura, iper-specializzata nella neuro-riabilitazione, e che suscita l’invidia di mezzo mondo e – letteralmente – l’adorazione di chi ne ha beneficiato, non sia stata ancora messa a conoscenza su quando i suoi ospiti cui in Maggio  è stata inoculata una prima dose di Vaxzevria, potranno ottenere il richiamo, omologo o eteronomo che sia.  Né era mai stata informata da alcuna fonte ufficiale del fatto che molti di coloro che essa ha in cura avevano ricevuto una email che annunciava l’anticipo del richiamo a cinquantasei giorni, con tanto di data prevista per l’inoculazione della seconda dose. Appuntamento che peraltro si è rivelato del tutto fasullo, perché – giunti al fatidico giorno – al “Santa Lucia” non si sono materializzate né i vaccini, né il team della Regione che avrebbe dovuto farne uso. 

A qualcuno verrà in mente l’ipotesi avanzata qualche giorno fa sulla Stampa di Torino, che si sia prossimi al momento in cui Mario Draghi sarà costretto a gestire il paese con un “governo militare”, di quelli che pensano che il miglior modo per condurre qualsiasi battaglia di non prestare soverchia attenzione ai “danni collaterali” che ne possono discendere per la parte più debole della popolazione civile. Accostamento certamente eccessivo, o almeno prematuro, e probabilmente destinato a fini allarmistici. Ma se quello di cui abbiamo sentito dire è il trattamento riservato al meglio di cui il Paese disponga nel campo della riabilitazione neurologica e fisica post-coma, diventa angoscioso immaginare le condizioni in cui si trovano non solo i moltissimi la cui salute e la cui vita dipendono per la loro protezione da parte di istituzioni meno note e prestigiose, ma anche coloro che di tali istituzioni portano il non lieve fardello di essere gestionalmente e moralmente responsabili.

Giuseppe Sacco

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