Il tema per l’anno 2020 della Giornata mondiale voluta dalle Nazioni Unite per la Giustizia sociale è un impegno imperativo per ciascuno di noi: Colmare il divario delle disuguaglianze per raggiungere la giustizia sociale. Potrebbe però rimanere un pio desiderio, se poniamo attenzione a tutti quei comportamenti che producono le diseguaglianze piuttosto che colmarle.

Certo, la giustizia sociale è uno strumento potentissimo di eradicazione della povertà e promozione dello sviluppo e della dignità umana. Ma siamo capaci di praticarla dopo averla enunciata? Siamo capaci di rinunciare ai piccoli o grandi privilegi che ci sono concessi per garantire ad ogni uomo pari dignità? Non c’è una ragione antropologica che possa far pensare ad una umanità formata da esseri diseguali, non c’è una ragione razionale che possa far ritenere che vi sia una scala dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Questa chiave di lettura della Giustizia sociale è il presupposto della Pace perché, attraverso il rispetto dei diritti umani e le libertà fondamentali di tutti, è in grado di rimuovere le barriere che le persone affrontano nell’accesso al benessere sociale a causa di genere, età, razza, etnia, religione, cultura, disabilità, condizioni di lavoro e giustizia.

Tutto questo ha a che fare con gli incessanti appelli alla Cura del Creato e alla Dignità e Centralità della persona. Tutto questo è in conflitto con le attuali politiche economiche tese alla valorizzazione dei soli risultati finanziari, alla massimizzazione del profitto, in cui l’umanità è sullo sfondo, strumentale e quasi sempre ignorata. Sì, occorre “ri-animare” l’economia… una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda (Papa Francesco). Non c’è più tempo da perdere: le strategie politiche ed imprenditoriali tardano ad attuare le transizioni energetiche necessarie per assicurare la giustizia ambientale e perseverano nello sfruttamento delle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo a vantaggio ed uso dei paesi sviluppati, mentre invece dovrebbero tendere al contenimento del loro divario economico e sociale.

Non c’è più tempo da perdere: nella parte (sempre più grande) povera del mondo si muore di fame e nella parte ricca (sempre più piccola) del mondo non si nasce più. Ed è quella piccola parte del mondo che pretende di sfruttare senza alcun senso o pietà la parte del mondo che già soffre, geme per l’avidità dei ricchi. Anche nella parte ricca del mondo sta iniziando a serpeggiare una nuova inquietudine, una strisciante intolleranza, una insicurezza rispetto al futuro, una necessità di difficili garanzie per il futuro delle giovani generazioni. Si, perché nel “sistema che produce l’ingiustizia”, prima o poi ci si potrebbe trovare dalla parte più debole ed essere “abbandonato sul ciglio della strada” in balia dei briganti.

Abbiamo l’obbligo di curare la Casa comune, di curare le Relazioni con gli altri, di vivere in una logica di reciprocità e di agire la Giustizia sociale. Abbiamo la responsabilità di testimoniare il bene comune, abbiamo il compito di educare i giovani a difendere i propri diritti in modo attivo e consapevole, sensibilizzandoli verso la partecipazione alle attività decisionali del Paese, verso un protagonismo nella società di domani.

Ricordare la Giustizia sociale è dunque un momento emblematico di un percorso quotidiano che esprime la Giustizia che dichiara. È, soprattutto, un cammino culturale che si porta avanti insieme e con le piccole azioni quotidiane contagia tutti coloro che vengono in contatto con esso, umili, tenaci, perseveranti, pronti a dare ragione della speranza che è in noi, in cui ognuno mette il proprio talento a servizio del bene comune, di ognuno e di tutti. Il giusto atteggiamento per raggiungere questo risultato – la giustizia sociale – è la privazione del privilegio…noi cerchiamo di farci poveri dei nostri privilegi, della nostra posizione sociale, della nostra cultura, della nostra posizione economica, del nostro benessere, delle possibilità che la nostra vita avrebbe di riuscita in questo mondo. Ci facciamo poveri di tutte queste cose perché i poveri si arricchiscano di questo nostro impoverimento, ma nello stesso tempo noi ci facciamo ricchi della loro povertà, del loro essere poveri, cioè di tutta la ricchezza che essi, proprio in quanto poveri, portano ancora avanti nell’umanità e nella loro genuinità profonda (don Oreste Benzi).

In questa logica economica, in cui il moltiplicatore di benessere è esponenziale, non più aritmetico ma ritmato, ogni persona diventa una risorsa. È il tempo della “prossimità”, il tempo di investire di nuovo sulle persone, sul vero “capitale sociale” delle Comunità, un investimento che si nutre di conoscenza e di fiducia, un’economia che rimette al centro le persone che da scarti diventano protagonisti di nuova vita. Per fare questo bisogna scegliere di camminare insieme, investire nella relazione e impiantare semi di fiducia.

Edoardo Barbarossa

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