Che la classe politica abbia le sue colpe e le sue responsabilità nessuno lo mette in dubbio.

Senonché , quando un’opinione o una certa tesi è così generalizzata ed inossidabile da non esigere alcun approfondimento, tale da non ammettere nessuna obiezione, merita di essere osservata criticamente e, se non altro, contestualizzata in un quadro più vasto. Soprattutto, nel nostro caso, non bisogna insistervi oltre la legittima e doverosa denuncia, fino al punto che diventi un alibi e, cioè, ci autorizzi a scordare che c’è un compito, in ordine ai valori fondativi della nostra convivenza democratica che sta in capo anche alla società civile, alle sue mille articolazioni e soprattutto al cittadino, visto nella sua irripetibile singolarità.

Succede, peraltro, che siamo entrati nell’era della cosiddetta “disintermediazione”. Fatta propria anche dalle forze politiche che s’illudono di trarne un vantaggio e l’adottano come chiave di volta di una “personalizzazione” spinta della loro struttura. Assumendolo in forma diretta, si illudono di semplificare il rapporto con gli elettori, fidelizzandoli alla figura del “capo”, ma in questo modo, spesso, si cade nella spirale di un leaderismo narcisistico, dal cui incantesimo ci si riprende solo una volta constatati i danni.

Il guaio è che su questa strada si va incontro a quel fenomeno che taluni hanno chiamato “solitudine di massa”. La quale affligge non solo il campo della politica, ma anche tanti ambiti della società civile che hanno dismesso quei momenti e quei luoghi, anche fisicamente abbandonati, dove avveniva un’interlocuzione diretta, quel confronto argomentato e critico, ricco di contrasti e di suggestioni che costringono ad approfondire in prima persona temi e questioni, altrimenti rimesse all’ indottrinamento televisivo. Non sono solo le sezioni di partito ad essere sparite.
Erano un luogo straordinario dove le disparità sociali si cancellavano o, addirittura, si rovesciavano sul piano della capacità di analisi e di giudizio politico.

Siamo andati incontro alla progressiva rarefazione di quella fitta trama di relazioni e di reciprocità che, nelle professioni come nel campo della comunicazione, nelle attività economiche e commerciali, come nell’ambito della cultura o dello sport, davano consistenza ai cosiddetti “corpi intermedi” della società. E scivoliamo verso una atomizzazione del contesto civile in cui ognuno è solo con sé stesso. Viene compromessa la coesione sociale, smarrito il sentimento di appartenenza ad un comune orizzonte di destino, impoverito il valore della solidarietà.

Eppure la politica, la riflessione che dovrebbe implicare, l’obbligo che le incombe di confrontarsi a viso aperto con i fenomeni sociali che via via emergono, dovrebbe essere l’attore privilegiato, capace di mettere a dimora e far crescere, custodire, valorizzare i nuclei attorno a cui condensare e cristallizzare una nuova coscienza civile. Ad ogni modo, se la “solitudine di massa” è, anche sul piano politico ed elettorale, ciò che oggi passa il convento, bisogna pur fare di necessita virtù e, dunque, vivere questo momento, cercando di comprendere se e dove nasconda una chance ed una risorsa da non lasciar cadere.

Ogni medaglia ha il suo rovescio e se la solitudine consegna, in un certo senso, ognuno a sé stesso, è nella personale capacità critica, nell’autonomia di giudizio di ciascuno che va trovata la risposta. Senza escludere che vi sia una misteriosa saggezza della storia e del tempo che ci mette esattamente alla prova di una responsabilità che non può essere mediata sul piano collettivo, ma assunta nella personale consapevolezza di ciascuno.

Un motivo in più per partecipare al voto, rifuggire dalla tentazione della disaffezione e dell’indifferenza, rifiutare l’invettiva come facile approdo del proprio colpevole disimpegno. In fondo, al di là del rumore di una campagna elettorale tanto chiassosa quanto povera di temi e di argomenti, lontana da ogni visione strategica del nostro domani, il dato che dovremmo osservare con maggiore attenzione è quello della percentuale dei votanti.

L’ Italia ha bisogno, anzitutto, degli italiani, di un “popolo” che riscopra la propria naturale vocazione alla responsabilità personale, alla libertà , alla giustizia sociale.

Domenico Galbiati

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