Le dotte, pensose analisi sul “centro” – alias “terzo polo” – che, secondo taluni, almeno potenzialmente ci sarebbe, eppure stenta a nascere – come fosse trattenuto da un grembo atonico ed inerte, che prolunga il travaglio fino a soffocarlo, prima del parto – non portano lontano. Assistiamo all’ esibizione di voli pindarici che l’ approssimarsi del voto europeo ripropone ed incrementa. Per non dire degli aruspici che, giorno per giorno, scrutano le viscere delle loro dichiarazioni per darci quotidianamente il “borsino” della possibile alleanza o meno tra Renzi e Calenda.

In realtà, la questione è di tutt’altro genere e concerne la struttura, in quanto tale, del sistema politico maggioritario e bipolare. Autentica “camicia di forza” che, da almeno trent’anni, comprime il naturale, fisiologico pluralismo di un Paese ricco di mille articolazioni qual’è l’ Italia ed, in tal modo, soffoca il discorso pubblico. Con gli esiti che osserviamo.

Si potrebbe dire – e non e’ un gioco di parole – che “il terzo polo” non c’è in quanto si pensa come “centro” ed il “centro” non esiste nella misura in cui si concepisce come “terzo polo”. In altri termini, che la si chiami “centro” e “terzo polo” non si fa altro che evocare una forza di interposizione – come fossero i “caschi blu” della politica – che, in definitiva, immaginandosi non altrimenti, se non in quanto collocata tra destra e sinistra, non fa che asseverare l’obbligata polarizzazione dell’ attuale sistema.  Insomma, classico caso di “eterogenesi dei fini”.

Su queste pagine, è stata proposta , da anni, una bonifica del lessico politico, tale per cui, abolendo parole come “centro” o “moderati” ( nell’ accezione impropria con la quale, per lo più, si ricorre a tale termine) si favorisca un abito mentale nuovo, aggiornate categorie interpretative per pensare e dire la politica di cui abbiamo bisogno oggi.
Finché restiamo nel perimetro dello schema bipolare non ne veniamo a capo.

E’ tale da imprigionare i suoi stessi attori, nella misura in cui, per forza di cose, polarizzazione via via più marcata e radicalità dello scontro sono le posture obbligate e necessarie della loro dialettica. Il Manifesto di INSIEME (CLICCA QUI) ha indicato da tempo un’ alternativa, cioè l’ urgenza di una “trasformazione” del sistema. La quale nulla ha a che vedere con il gioco dei “quattro cantoni” cui assistiamo.

E’ necessario ripartire dal Paese, rianimare e riscoprire quel sentimento “popolare”, quella domanda di senso, di convivenza civile, di orizzonte comune e di reciproca appartenenza, di speranze e di attese condivise, di mutua solidarietà che la politica, così com’è oggi concepita, non sa più interpretare, eppure non è spento. Non a caso, si moltiplicano iniziative e liste “civiche” che sembrano risorgive, che sgorgano spontaneamente dal suolo ed attestano la vitalità di una falda profonda di passione civile che non trova altrimenti espressione. Presenze locali che segnalano un disincanto ed il ritorno della politica alla motivazione originaria della sua funzione.

Non c’è’ “campo” che tenga. E’ necessario, piuttosto, lavorare ad una vasta “coalizione popolare” che sia differente ed alternativa all’ attuale sistema.

Domenico Galbiati

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