La pochezza politica di Giuseppe Conte è nota, largamente dimostrata e ribadita anche ieri in occasione della manifestazione romana per la pace. Non a caso, del resto, guida il Movimento 5 Stelle. Il quale, così oggi commenta la stampa, si sarebbe impadronito della piazza, grazie, appunto, alla repentina destrezza con cui il suo “capo politico” – si dice ancora in questo modo? – ha rovesciato di 180 gradi l’originaria posizione favorevole al sostegno militare all’Ucraina. Beffando – sogghignano alcuni – il Partito Democratico, cui, invece, va riconosciuto il merito di una coerenza che Letta ha fatto bene ad attestare, sia pure in un contesto in cui posizioni contraddittorie ed ambigue – spesso strabiche e dettate da preoccupazioni di politica interna, se pure ammantate da proclami ideali – si sono mischiate come in una mostarda.

Scorrendo la stampa non risulta che dal corteo e dalla piazza si sia alzata una voce o uno striscione che, anzitutto, chiedesse a Putin di riportare a casa i suoi militari e così rientrare nel rispetto del diritto internazionale, come necessaria premessa ad aprire un tavolo di confronto che si faccia seriamente carico anche delle domande di sicurezza che la Russia intende porre nel quadro continentale europeo e nel più ampio consesso internazionale.

La tanto invocata iniziativa dell’Europa potrebbe prendere avvio, a quel punto, da qui, dall’assunzione di un ruolo di interposizione tra Russia, Stati Uniti e la stessa Cina che, da un lato, rassicuri Putin, dall’altro, dimostri che l’Europa entra nella sua maggiore età e si concepisce, sia pure nel quadro atlantico, come attore che recita in prima persona.
E’, in sostanza, quanto propone il documento approvato, giovedì scorso dalla Direzione Nazionale di INSIEME che, espressamente, sostiene l’opportunità, se appena fosse possibile, di riportare la Federazione Russa entro un equilibrato quadro europeo (CLICCA QUI). Il che, ovviamente, non può avvenire a scapito del popolo ucraino e della stessa integrità territoriale del Paese.

L’empasse nasce dall’ asimmetria che corre, circa l’effettiva motivazione dell’ aggressione all’Ucraina, tra Putin e lo stesso blocco occidentale. Putin voleva la testa di Zelenskj, voleva Kiev e voleva l’intera Ucraina ai suoi piedi, nelle mani dei suoi amici “per bene” e nel quadro di un disegno di “reconquista” dell’impero sovietico. Il Donbass sarebbe un modesto premio di consolazione che, forse, neppure vale la pena riscuotere, anche perché le micro fratture che – come ieri a Roma – cominciano ad attraversare il campo occidentale, incoraggiano una strategia diretta a mantenere aperta una partita che è, anzitutto, giocata contro l’Europa e, protratta nel tempo, l’Europa potrebbe finire per perdere da sola.

La Russia, ancora una volta, ricorre al Generale Inverno, alla vastità di un territorio che le permette una dilazione temporale delle operazioni che ad altri non è consentita e soprattutto si fa forte di un regime dispotico che non ammette alcuna facoltà di critica o di dissenso interno. Peraltro, se le elezioni di “midterm” dovessero incoraggiare l’ala “trumpiana” del Partito Repubblicano, perché, a maggior ragione, non tirarla per le lunghe e sperare, se mai Trump dovesse davvero riemergere, di chiudere l’ Europa in una tenaglia e, concordemente, servirla di barba e capelli?

E’ chiaro come Putin abbia un disegno che non contempla affatto la pace, ma, piuttosto, il mantenimento di uno stato tellurico dei rapporti internazionali che fa comodo anche al suo compagno di merende di Pechino ed allude ad una possibile profonda riconfigurazione dell’assetto internazionale. Continua a martellare le centrali termiche ed elettriche per fiaccare il popolo ucraino. E’ il popolo che gli resiste. A nulla potrebbero le armi più sofisticate senza la fierezza del popolo ucraino.

Putin sa bene che il popolo ucraino non è ostaggio di una guerra che è costretto a combattere per procura, bensì il protagonista, fin qui irriducibile, di una lotta di resistenza e di liberazione. E coloro che lo negano o addirittura alludono ad un suo compiacimento per una guerra che, in definitiva, non lo riguarderebbe se non per le distruzioni che subisce, ma concernerebbe piuttosto interessi altrui, si rendono responsabili di una viltà nei suoi confronti che il popolo ucraino non merita. Perché i 100.000 di Roma non si sono assiepati attorno all’Ambasciata russa, non hanno chiesto di incontrare, con una loro delegazione, l’ambasciatore per consegnargli, anzitutto, un accorato appello a Putin perché tolga le tende da un territorio che non gli appartiene?

Ma per tornare all’Europa cosa manca al nostro continente, in un frangente che richiederebbe una capacità d’iniziativa di alto livello? Le manca quello spirito unitario che si è via via smarrito e le manca uno statista, una figura – come, ad esempio, fu Churchill per la Gran Bretagna nel secondo conflitto mondiale – che abbia una forte autorevolezza politica e, nel contempo, una straordinaria tempra morale, che gli consenta di “guidare” un popolo, di chiedere sacrifici, nella misura in cui sa finalizzarli verso valori di giustizia e di libertà.

Domenico Galbiati

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