Il dramma di Kabul, la gioia di Tokyo. In questi giorni le immagini che arrivano dall’Afghanistan si sovrappongono a quelle che arrivano dal Giappone dove sono in corso le Paralimpiadi, ben più importanti per i valori dello sport, anche se hanno meno risonanza mediatica, rispetto alle altre Olimpiadi.

Fiumi di sangue scorrono nella capitale afgana dove la vita è violentemente calpestata; fiumi di sudore scorrono nella capitale giapponese dove la vita si riprende la rivincita. Da un parte, una tragedia mondiale, dall’altra, trionfi universali. A Kabul si alzano i confini per instaurare violenza e morte; a Tokyo si abbattono i confini per gareggiare tutti insieme e far vincere il valore della dignità umana.

C’è una lezione che arriva da Kabul: la democrazia, intesa come sistema politico/istituzionale non si esporta con le armi, anche se, come ammoniva Winston Churchill «la democrazia è il peggiore dei sistemi, eccetto tutti gli altri».

C’è una lezione che arriva da Tokyo: si può stare insieme, competere uno a fianco dell’altro indipendentemente dalla nazionalità, dal colore della pelle, dal credo religioso, da usi, costumi e tradizioni nei quali si è nati e cresciuti.

Eppure Kabul insegna qualcosa: si può esportare quel patrimonio di valori racchiuso nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” approvata dall’Onu nel 1948 e successive modificazioni. Gli afgani che disperatamente tentano di fuggire dal proprio Paese, per necessità non per scelta, molti rischiano seriamente la vita, hanno assaporato il “profumo” di quei valori e sanno benissimo che non possono esserci compromessi e convivenze con chi non riconosce quella Dichiarazione. Diceva Tocqueville che quando si prova “l’ebbrezza della libertà” poi non si torna indietro, non si scorda più, è una piantina che nessuno potrà mai sradicare del tutto. La storia insegna che, sia pure al prezzo di lutti e sofferenze, la restaurazione non è mai un passo avanti e prima o poi, si spera prima che poi, è destinata a diventare un cumulo di macerie. Questa è l’unica timida speranza alla quale possono aggrapparsi gli afgani.

Anche Tokyo, allora, insegna qualcosa, ben oltre il medagliere: Olimpiadi e Paralimpidi devono quanto prima, si spera prima che poi, diventare la festa della fratellanza universale prima ancora dello sport. Un passo importante in questa direzione, un gesto non solo simbolico, sarebbe quello che venissero rimosse la bandiere dei singoli Paesi e ogni atleta, o squadra, gareggiasse sotto un’unica bandiera, quella dell’Onu. Aggiungendo sotto il nome del proprio Paese, così ogni nazione si trova ad avere la stessa bandiera.

Questa scelta, purtroppo, non sarà sufficiente a mandare in pensione le armi, ma sicuramente contribuirà, sia pure ogni quattro anni, a ricordare a tutti che c’è un’unica umanità. Francamente ho provato più tristezza che sollievo nell’apprendere dalle massime autorità governative (la stessa cosa hanno fatto gli altri Paesi nell’identica condizione) che negli attentati di giovedì 26 agosto all’aeroporto di Kabul non sono morti italiani: sono state uccise delle persone. L’umanità, non questo o quel Paese, è stata ferita.

Luigi Ingegneri

 

About Author