L’istruzione cambia, in apparenza. Il nuovo nome del Ministero in questione sta suscitando diverse reazioni, tra cui scalpore, soddisfazione, curiosità, diffidenza, repulsione… se ne potrebbero elencare altre, ma la sostanza rimane la stessa. Accanto al titolo “Istruzione” il nuovo governo rende infatti esplicito il richiamo al “Merito”.

Ora chiediamoci, in tutta onestà: non è forse vero che tutti noi, almeno una volta nella vita, tornando da scuola, oppure in classe confidandoci con i compagni più cari, o a casa sfogandoci con i genitori, o ancora interiormente, con noi stessi, ci siamo detti di “non meritare” un certo voto in una verifica o in un compito in classe, di “meritare” più di altri studenti eppure di aver preso meno di loro alle interrogazioni?

Ciò che porta le persone a porsi questo tipo di domande (dalla risposta scontata) è proprio l’idea di merito radicata nella società, che si avvicina a quella di un giudizio scaturito da una valutazione, corretta o errata che sia. Tale pre-concezione sul merito può prendere forma non solo in ambito scolastico, ma anche in ambito familiare, e si estende quindi nell’ambito relazionale e lavorativo.

Il merito, così concepito, ci pone inevitabilmente di fronte a dei risultati attesi o disattesi, ci spinge volenti o nolenti ad un’analisi: sia di tipo oggettivo che soggettivo sulle azioni compiute in quanto tali, sia di tipo singolare che plurale sul comportamento tenuto nell’applicarsi in determinate discipline, da soli o in gruppo. Questa analisi, se mossa in qualità di critica costruttiva, dovrebbe essere accolta come un momento di crescita individuale o collettiva, a seconda dei casi. Diversamente, sfocerebbe in un oceano di malesseri emotivi (ad esempio invidie, rancori), o in un mare di atteggiamenti fuorvianti (quali servilismo e favoritismo, per citarne un paio).

Il merito esiste, inutile nasconderlo, ma andrebbe sempre trattato con estrema cura, mai con superficialità, partendo dal profondo della sua natura, per farlo riaffiorare quale effettivamente è: una pratica di umiltà. Se si sradicasse l’umiltà che giace alla base del merito questo perderebbe appunto le sue radici e degenererebbe in sterile arroganza, in arida competizione fine a sé stessa, stimolerebbe chiusure egoistiche, anziché portare al dialogo, al confronto e ad aperture mentali.

Sarebbe quindi bello cogliere insieme questa occasione per apprezzare e promuovere un merito che c’è sempre stato, anche prima del nuovo Ministero, e che vale la pena riscoprire: allontanandosi da tutto ciò che lo vuole forzosamente causa di avvilimento, ancorandosi ad una visione che lo rivela stimolo serenamente inquieto, proteso a farci imparare e migliorare continuamente, facendo tesoro degli errori e dei successi propri e altrui.

Erminio Zanenga

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