La pandemia Covid – 19 mette in risalto l’esistenza di una Italia che non vuole vivere di sussidi, bensì desidera lavorare, produrre, crescere. E’ un dato confortante che vi siano, in questa lunga fase di difficoltà (dalla crisi del 2007/8 al Covid – 19) forze sociali che sanno affrontare il disagio economico e sociale cercando di dare una valida risposta all’attuale crisi. L’”Italia green” è, infatti, una realtà (anche se è agli inizi), come dimostra l’indagine giornalistica, molto bene svolta di Marco Frittella e pubblicata da “Rai Libri”. L’indagine, tra l’altro, ci ricorda che, per la prima volta al mondo, a Novara, nel 1995, sono state prodotte bottiglie green di acqua minerale con l’impiego della bioplastica.

Ad Arco, in provincia di Trento, è localizzato il nono produttore al mondo di fibre sintetiche di nylon. A Pescara sanno smaltire annualmente dieci milioni di pannolini da bambino e altri assorbenti per l’igiene intima, riciclandoli. Nelle Marche ha sede il leader mondiale nei sistemi di misurazione e controllo degli elettrodomestici. Gli esempi sono tanti. Marco Frittella ha svolto un’indagine minuziosa, dimostrando che i punti innovativi, nel nostro sistema produttivo, sono molto interessanti per la crescita del sistema delle imprese.

Il sistema produttivo italiano garantisce uno dei più interessanti interscambi commerciali dell’area occidentale, incrementando, nonostante la complessità di questi anni, le quote dell’export coperte nel commercio mondiale. Va evidenziato che il modello di business che governa il processo descritto nell’indagine di Marco Frittella è quello di un’avanguardia imprenditoriale, con le “multinazionali tascabili” in prima linea. Tuttavia, queste eccellenze di imprese non sono ancora in grado di riempiere il vuoto lasciato dall’uscita di scena degli imprenditori protagonisti del miracolo economico, e dalla riduzione del numero delle imprese di grandi dimensioni.

Il punto fondamentale, che sta alla base delle nuove dinamiche, è che l’impresa sta cambiando. Infatti com’è noto, l’impresa, oggi, ha una visione manageriale e organizzativa proiettata all’innovazione continua. L’ambiente di lavoro, nei casi di eccellenza, è animato dal cambiamento e dalla internazionalizzazione. Si opera cioè, in tempo reale su scala mondiale. E’ una nuova frontiera di lavoro che produce opportunità per creare nuovo valore aggiunto. E’ importante evidenziare, per gli effetti innovativi che può avere su tutte le società, che va scomparendo la concezione piramidale dell’organizzazione per lasciare il campo ad una rete di manager, cioè, ad un gruppo di persone che sa essere, esso stesso, un leader, mediante un efficace coordinamento decisionale.

Questo cambiamento è promosso dal “digitale”, che valorizza l’intelligenza, la creatività, la professionalità. Cambiano i rapporti tra i fattori; il capitale umano riacquista centralità. Superata la vecchia logica dello scontro sociale, la nuova impresa incentiva, invece, la condivisione; e questa condivisione forma un capitale umano molto competitivo a livello internazionale. Va detto che la logica della collaborazione si diffonde in tutte le imprese che cambiano. Francesco e Enzo Rullani, nel testo “Dentro la rivoluzione digitale”, sottolineano che addirittura il rapporto tra le macchine ed il lavoratore diventa un rapporto collaborativo; cioè, un rapporto tra intelligenze diverse ma complementari. Si crea un ambiente “ibrido” tra fattori immateriali e immobilizzazione fisse. Questo mix tra il fattore capitale e quello del lavoro è sempre più influenzato da variabili esterne all’azienda, come è la R&S pubblica, sempre più strategica, perché contribuisce allo sviluppo di un’intelligenza tecnologica che rende competitive e
profittevoli le imprese a livello globale. Ne consegue che l’impresa che cambia abbandona l’organizzazione fordista, che prevede, come è noto, lavori ripetitivi e impersonali che trovano nella catena di montaggio la loro attuazione più efficace. Ora sono i robot a svolgere queste mansioni. Per cui, cambia la struttura della catena della creazione del valore ad alto valore aggiunto, nonché la qualità stessa del lavoro. L’uomo è sostituito in molte mansioni dagli automatismi digitali da lui stesso progettati.

Nell’impresa digitale, gli investimenti in impianti e attrezzature consentono di cambiare le modalità operative delle aziende, introducendo processi produttivi che si autoregolano, mediante macchine che, entro certi limiti, sono in grado di modificare in autonomia il proprio funzionamento “on line”. In altri termini, il nuovo dominio tecnologico trasforma le strategie manageriali degli anni 2000. La base della nuova strategia d’impresa è l’innovazione continua, che consiste prima di tutto nell’esaurimento del classico ruolo delle economie di scala a vantaggio dell’intelligenza creativa e della conseguente flessibilità ed elasticità organizzativa.

L’impresa sta vivendo una significativa fase di transizione che è governata da una nuova borghesia produttiva, che
sa mixare la produzione di valore economico con la creazione di valore sociale; sapendo valorizzare il territorio locale ed essere, al tempo stesso, internazionale; che sappia partecipare alla reti globali di imprese apportando la propria originale identità.

Oggi, i nuovi imprenditori possono gestire, in competizione, la qualità e la flessibilità del prodotto per fare dell’impresa italiana un competitor internazionale, che è apprezzato sul mercato per la qualità del suo prodotto e non più per la quantità a basso prezzo della produzione fordista. Questa dimensione competitiva si ottiene con la consapevolezza dell’indissolubile legame tra la competitività del prodotto e la qualità del personale: diviene centrale il capitale umano; non esiste, infatti, azienda innovativa se non ha un personale pensante innovativo. Quindi, la nuova borghesia è l’espressione di imprenditori aperti all’innovazione, all’internazionalizzazione, al territorio locale come alla collaborazione in rete, sovente globale.

Non c’è solo creazione di valore economico, ma anche valore sociale. Vi è, cioè, l’assunzione di responsabilità sociale e ambientale, nell’ambito di un processo collettivo di produzione di lavoro, finalizzato al benessere della Comunità. Il riferimento dei nuovi processi produttivi è una borghesia produttiva che sa rendersi di nuovo protagonista nella scena sociale.

Si può ritenere, ormai, sostanzialmente concluso il periodo della lotta di classe. Prevalgono, ora, la passione per l’innovazione ed il rispetto per il talento e per il lavoro. Al centro della nuova imprenditorialità c’è la coscienza della bellezza dell’ambiente e dell’indispensabile benessere della comunità al cui interno vive l’impresa. Ne consegue un modello imprenditoriale che, con al centro l’innovazione, ha alla base il lavoro ed il lavoratore. A differenza del passato, la nuova borghesia produttiva è ben consapevole che la qualità del lavoro è un passaggio fondamentale per ottenere sviluppo economico e consenso sociale, perché il lavoro è il risultato di generazioni di lavoratori. Infatti, il legame con le tradizioni del territorio (scuola, famiglia, educazione, vita comunitaria) garantisce le specializzazioni dei lavoratori e le loro abilità, sempre più competitive.

L’impresa può essere di nuovo, come negli anni della ricostruzione post-bellica, l’attore di una stagione del cambiamento e del rinnovamento. Può essere realizzata una idea di impresa, come una comunità di imprenditori, manager, tecnici, lavoratori, che è sintesi di interessi diversi, finalizzata al benessere territoriale. Grazie a queste nuove forze sociali, si può rincorrere l’utopia di competere a livello internazionale con i maggiori operatori globali, facendo rete per innovare e creare insieme una maggiore creatività e competitività. A questo proposito, Adriano Olivetti scrisse “gli aspetti etici ed economici di ogni impresa non debbono essere disgiunti da quelli estetici, in cui si rivelano nuove dimensioni dell’uomo” (Discorso di Natale, ed.Comunità 2017).

Dunque, l’impresa come luogo denso di valori. L’impresa dell’innovazione digitale significa, in conclusione, formazione e territorialità, lievito di nuovi equilibri sociali. A questi nuovi protagonisti della produzione non può non corrispondere un nuovo soggetto politico, che sappia riconoscere il talento ed il merito della nuova imprenditorialità, che sappia cooperare per l’assunzione reciproca di responsabilità sociale. Può nascere, cioè, un neo-umanesimo, dove si affermi il benessere della comunità e il rispetto della bellezza della natura. Tutto ciò si traduce in una
domanda di una nuova politica capace di coniugare Stato, Mercato, Comunità.

La nuova imprenditorialità merita una risposta politica nell’immediato. Va sollecitato, cioè, il Governo per conoscere, innanzitutto le procedure con cui verranno realizzati i progetti del piano nazionale di Ripresa, in particolare quelli finanziati dai fondi UE. E’ nota, infatti, l’insufficiente capacità di spesa della P.A. e degli Enti Locali (un numero elevato di miliardi di euro restano inutilizzati nelle casse di Bruxelles). La proposta politica è di operare per vie di straordinaria amministrazione, sull’esempio del ponte di Genova, con un chiaro coinvolgimento degli imprenditori privati meritevoli e con un efficace decentramento territoriale (laddove è possibile) che consenta immediati controlli. Sicuramente gli investimenti previsti, soprattutto quelli che prevedono l’impiego di tecnologie innovative, sono un imprescindibile strumento di crescita per l’imprenditorialità più avanzata. Quindi, è motore di sviluppo una politica che sappia rispondere alla domanda di crescita dei segmenti più evoluti della nostra società.

Serve una politica industriale creativa e responsabile. In altri termini, i soggetti politici siano promotori di un piano di investimenti a medio termine, che dia spazio alle forze imprenditoriali innovative secondo una logica di qualità e
competitività dell’impresa e di decentramento territoriale per il benessere della comunità.

Roberto Pertile

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