Nel suo ultimo libro, “Capitalism, Alone”, Branko Milanovic descrive l’imminente scenario globale che vede
opporsi in una sorta di scisma le due forme di capitalismo “liberale” e “autoritario”, i cui modelli culminanti si trovano rispettivamente a occidente e a oriente. Se prima queste due facce della stessa medaglia avevano trovato il modo di convivere in un rapporto di “complementarità”, ora il conflitto è alle porte e le contraddizioni sono pronte a esplodere investendo le vite di tutti noi.

Nel 1921 Walter Benjamin scrisse Capitalismo come religione, intuendo un secolo fa quello che sarebbe avvenuto
poi in futuro, una sorta di rito laico perenne privo di qualsiasi forma di autocoscienza e che, nell’arco dei secoli, ha inibito qualsiasi forma di alternativa e si è imposto come canone unico nell’ordinamento politico-economico. Ma come tutte le grandi religioni monoteiste, dice Branko Milanovic, anche il capitalismo sta andando incontro a un
suo scisma interno.

La Chiesa cristiana si divise tra cattolici e ortodossi nel primo scisma d’oriente del 1054; poi nel medioevo la chiesa cattolica a sua volta si scisse di nuovo con la riforma protestante. E l’islam si divise tra sciiti e sunniti. Ora è la volta del capitalismo che nel XXI secolo si sta scindendo tra liberale e autoritario: il primo di marca occidentale – seppur con molte sfumature al suo interno e un passato dei più totalitari –; e il secondo di stampo asiatico, di cui la Cina del surveillance capitalism rappresenta sicuramente il modello culminante.

Queste due forme hanno vissuto un fortissimo avvicendamento per un lungo periodo storico, fino ad arrivare agli odierni attriti. Nel primo processo di globalizzazione – iniziato nei ’90 – i due sistemi erano assolutamente complementari: il capitalismo autoritario era l’ecosistema perfetto per la fabbrica del mondo, mentre quello liberale garantiva la libertà di circolazione di merci e flussi di capitale. Entrambi sostenevano un mercato in accelerata espansione, mentre la ricerca tecnologica diveniva il saldo architrave del capitalismo cognitivo. Il combinato disposto di queste due facce della stessa medaglia ha garantito un’espansione senza precedenti, alimentata da un costo del lavoro in continuo ribasso, lo sviluppo di nuove tecnologie e una deregulation finanziaria priva di limiti. Gli effetti collaterali di questo sistema hanno portato da una parte all’esplosione delle diseguaglianze nell’emisfero liberale e dall’altra a una progressiva delocalizzazione che a sua volta ha generato uno squilibrio crescente nel rapporto capitale-lavoro e nella conseguente uscita dalla zona di povertà di miliardi di persone nel continente asiatico, trasformatesi in forza lavoro e nuovi consumatori.

Branko Milanovic parte da questo scenario per descrivere – nel suo ultimo libro Capitalism, Alone (2019) – le crescenti contraddizioni e conflitti che si sono generati a partire dall’attrito di queste due forme capitalistiche, in cui la crescita organica e controllata del capitalismo autoritario ha generato una potenza economica ormai antagonista a quello liberale, mutando il loro rapporto da “complementare” a “conflittuale”. E in mezzo a questo conflitto, a farne le spese, ci sono i cittadini dell’intero pianeta. Agli albori della globalizzazione queste due forme erano una
funzionale all’altra, e si poteva ipotizzare la co-esistenza di un unico sistema capitalistico integrato con differenze che, pur fallendo, tentavano di convergere verso un interesse comune. Oggi, quell’epoca, è finita.

Nel libro Milanovic rende omaggio a Giovanni Arrighi che, nel 2007, scrisse il profetico e celebre volume Adam Smith a Pechino in cui sosteneva – in tempi non sospetti e con una tesi a dir poco azzardata – che la crescita cinese nel processo della globalizzazione sarebbe stata molto più ordinata e sostenibile di quella del mondo occidentale e neoliberista. Arrighi spiegava che il modus operandi cinese ricalcasse il credo propugnato da Adam Smith nel suo trattato La ricchezza delle nazioni, in cui l’economista affermava che lo Stato mantiene una sua autonomia rispetto allo sfruttamento del Capitale e ha come scopo primario il benessere collettivo, ossia laddove produzione e sostentamento primario godono di prioritaria importanza rispetto al commercio. Arrighi, secondo Milanovic, ci aveva visto lungo.

L’indirizzamento della crescita nel capitalismo liberale risulta infatti molto più disarticolato e suscettibile di crisi continue, ricalcando a perfezione il modello descritto da Marx nel Capitale, ossia in cui commercio e mercantilismo sono prioritari rispetto a produzione e benessere collettivo che divengono meri termometri dello sviluppo economico e affaristico. In questo ribaltamento di lettura e prassi governativa Arrighi aveva intravisto il dipanarsi della storia futura: da un lato la Cina “comunista” che inseguiva le orme teoriche di Adam Smith; dall’altra il mondo occidentale immerso nelle contraddizioni individuate da Marx. Le due forme arrivano dunque allo scontro inevitabile quando entrano in competizione, cioè quando le crisi periodiche sfiancano il modello liberale ma non scalfiscono quello autoritario. I terreni di conflitto sono molteplici e sfaccettati: dalle offensive a colpi di dazi commerciali
nell’estenuante trade war alla corsa all’intelligenza artificiale, passando per l’accaparramento di materie prime e il tentativo di raggiungere l’egemonia digitale. E infine, last but not least: l’imminente guerra dei brevetti in seguito al
dilagare della pandemia del Covid-19.

È stato proprio il virus, del resto, a portare a galla ulteriormente il conflitto sopito tra queste due forme di capitalismo e le nuove contraddizioni che si apprestano a essere detonate: da una parte lo sfrenato e folle
individualismo del sistema neoliberista, capace di mettere a repentaglio i più pur di mantenere inalterati i ritmi di
produzione e consumo; dall’altra la ferrea volontà di salvaguardare la salute pubblica del modello autoritario, a
costo di apportare brutali restrizioni alle libertà individuali. Tra questi poli opposti si insinua il rischio che il riassetto
sistemico assorba gli estremi peggiori di entrambe le “forme capitalistiche”. Nel profilare i due modelli, infatti, Milanovic insiste anche sul ruolo della corruzione, onnipresente nell’uno e nell’altro ma con diverse sembianze: “opaca” nei meccanismi del modello autoritario; presuntamente “trasparente” nei processi decisionali di quello liberale.

La corruzione è senza dubbio endemica a ogni sistema autoritario, in cui le élite dominanti sono emanazioni degli
stretti circoli che controllano la burocrazia. Nel sistema liberale, invece, la governance è subordinato alla “Rule of Law” che, tuttavia, è influenzata dalla pressione occulta di gruppi lobbistici controllati a loro volta dalle élite economiche. Per restituire questo diverso articolarsi della corruzione, Milanovic ricorre a un’espressione metaforica molto incisiva, affermando che nel neoliberismo (a differenza dei modelli capitalistici autoritari) la “moralità” viene data in outsourcing alla Legge vigente ma, molto spesso, l’ingiustizia è iscritta proprio nelle “leggi amorali” che trovano la loro ragion d’essere nell’interesse dei pochi e a scapito della collettività. E in questo senso, la partita sulla moralità è destinata a tradursi in un “pareggio al ribasso”.

Ben lungi dal fornire risposte definitive, Capitalism, Alone ci bersaglia di quesiti su quelle che potranno essere le sorti e contraddizioni dei sistemi politico-economici futuri, e soprattutto in vista del conflitto in corso tra i due modelli, i cui risvolti si presagiscono inediti ed epocali. Parafrasando ancora dal testo di Milanovic una citazione del
filoso russo Nikolay Berdjaev, si può dire che esistano due grandi leggi a orientare il progresso sociale: quella ateniese e quella di Gerusalemme. La prima prevede un’imperitura ciclicità tra regimi autoritari e democratici, in una sorta di nietzschiano eterno ritorno cadenzato da dittature e rivoluzioni; la seconda invece presagisce un progresso inarrestabile fino all’apice del sistema societario e quindi su un orizzonte di linearità in cui lo sviluppo sociale è continuo nel tempo.

È evidente che la concezione della Storia fin qui auspicata, imbocchi la via di Gerusalemme. Forse, però, la bruciante
realtà che si staglia all’orizzonte continua a procedere sul cammino dell’eterno ritorno.

Pubblicato su Idiavoli.com

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