Molti di noi che eravamo ancora bambini quando a Belgirate nasceva la corrente di Base, la sinistra “politica” della Democrazia Cristiana, abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti di amici come Nicola Pistelli e Ciriaco De Mita. Siamo cresciuti leggendo “Politica” di cui conserviamo le raccolte annuali ed ascoltando le loro conferenze.

A quasi settant’anni da quel lontano 1953, siamo ancora qui a raccontarcela ed è giusto che sia così: le buone idee hanno una persistenza nel tempo che gli improvvisati banditori del nuovismo neppure sanno immaginare.n
Soprattutto dopo la prematura scomparsa di Pistelli, De Mita – il suo costante riferimento alla Costituzione, la lettura degli eventi come espressione di un “processo” di cui si può cogliere il senso per orientarne lo sviluppo, il doversi chiedere non solo “che cosa fare”, ma “con chi” per andare oltre la domanda “sociale” che condividevamo con l’altra sinistra interna ed approdare, appunto, al nodo “politico” ed istituzionale della vicenda e del “governare” – è stato per noi l’indispensabile complemento di quella “intelligenza politica delle cose”, in cui, via via, ci andavamo addestrando con le prime esperienze politiche condotte con gli amici raccolti, in Lombardia, attorno ad “Albertino” Marcora e a Luigi Granelli.

Ci accostavamo alla DC, secondo la via canonica di quel tempo, cioè dall’ impegno adolescenziale in Azione Cattolica, nei primi anni del post-Concilio e del dissenso cattolico, quando i “cavalli di razza” guidavano il Paese verso il primo centro-sinistra, il collateralismo entrava in crisi, a mano a mano ci si avvicinava al “fatidico” ‘68, se ne conoscevano i primi fermenti e la Democrazia Cristiana – che non sapeva cogliere il monito di Aldo Moro ad essere alternativa a se stessa – già si avvicinava al giro di boa della sua stagione migliore.

Noi allora non lo sapevamo, ma guardando retrospettivamente a quella stagione di fermenti e di tensioni, quando le università cominciavano a ribollire, alle soglie degli anni della “strategia della tensione” e poi del terrorismo, approdare, a vent’anni, alla politica attiva nelle file della Democrazia Cristiana è stato un po’ un atto di fede e fors’anche un piccolo gesto di coraggio. Né sapevamo che alle nostre generazioni sarebbe toccato, dopo gli anni del fulgore, vivere una ancor lunga stagione di potere, ma accompagnando, nel contempo, la Democrazia Cristiana lungo la lenta, ma inesorabile china di un declino che ha condotto i cattolici-democratici al l’inconsistenza politica degli ultimi trent’anni, alla diaspora ed alla sostanziale sudditanza ora alla destra, ora alla sinistra che molte espressioni di quel nostro mondo soffrono tuttora.

Eppure per molti di noi – ed è il senso dell’ambizione cui “Politica Insieme” cerca di dar corpo – è giunto il tempo, non più procrastinabile, dell’ autonomia e del riscatto della nostra identità originaria. Non ci interessa ricavare, in un supposto “centro”, secondo le liturgie di un’altra stagione, qualche spazio di potere, accomodandoci al meglio, per quel che ancora passa il convento, dentro il sistema politico-istituzionale così com’è.

Pensiamo che la cultura politica del movimento cattolico-democratico e popolare abbia in sé una vitalità inesausta ed un potenziale di creatività che va oltre la durata di fasi storiche di volta in volta contingenti e siano, piuttosto, in grado di accendere i fuochi di quel processo vasto di “trasformazione”’di cui il Paese ha bisogno e del quale cerchiamo di tratteggiare le prime linee di fondo del nostro Manifesto ( CLICCA QUI ).

Ci sembra di cogliere perfino sollecitazioni e voci, via via più insistenti, che da ambienti che pur non condividono la nostra cultura, in qualche modo ci invitano a tornare ad essere noi stessi, come se in quell’ispirazione cristiana che vorremmo riportare, laicamente, nell’esperienza viva del confronto politico, ravvisassero una riserva di valore e di senso della vita cui anch’esse, non meno dei credenti, aspirano.

Senonché, non si cambia il Paese né intruppandosi nelle milizie di De Luca, né recando, nella Puglia di Aldo Moro, il concorso dello Scudo Crociato al candidato di Fratelli d’Italia, né soccorrendo il vincitore, cioè Zaia, il leader designato nel Veneto leghista ante-marcia. Infatti, un altro simbolo importante della nostra storia – almeno di quella più recente, per quanto abbia ormai anche esso un quarto di secolo sulle spalle – ricompare, in vista delle prossime elezioni regionali.

In Campania, la lista a sostegno di De Luca, patrOcinata da Ciriaco De Mita, rimette in campo, appena graficamente rivisto, il gonfalone dei Popolari. Concepito dalla felice intuizione di un grafico intelligente di cui non ricordo il nome – nelle stanze di Piazza del Gesù riservate alla minoranza congressuale, nei giorni dissennati in cui la furia iconoclasta del segretario si abbatteva sul PPI di Mino Martinazzoli – il gonfalone porta a sintesi la gloriosa storia dei Comuni e la grande tradizione che risale a Sturzo ed ai Popolari “liberi e forti”.

E’ un simbolo che a molti di noi che abbiamo vissuto quella storia sta a cuore, non meno dello scudo Crociato, perché’ esprime, in un momento di difficoltà drammatica, la tenace resistenza contro un’usurpazione inaccettabile della nostra storia. Ed anche in quel frangente – per quanto poi le cose abbiano preso l’abbrivio che conosciamo – rappresentava la bandiera della nostra autonomia e segnalava quel crinale tra continuità e discontinuità che tuttora, sia pure in altre forme, si ripropone.

Personalmente fui molto confortato il 6 luglio 2018, quando presi parte, per la prima volta, ad un incontro di Politica Insieme e mi ritrovai seduto accanto a Ciriaco De Mita. Chiacchierammo a lungo; mi permisi di chiedergli perché  avesse aderito al Partito Democratico e Ciriaco mi parlò della Margherita, come incipit di quel percorso. Ma, tornando ad oggi, continuità e discontinuità nella nostra storia si intrecciano in un nodo che va finalmente sciolto.

La discontinuità che è necessario affermare dalle forme precedenti della nostra storia – ciascuna tipica della propria fase temporale, ormai superata – non significa affatto indifferenza o abbandono, bensì riproposizione di quei principi e valori, di quelle categorie interpretative e di quei criteri di giudizio che diano alla cultura politica cattolico-democratica, ispirata alla visione cristiana dell’uomo, della vita e della storia, quella continuità talmente ricca di intensità umana e di valore civile da poter trascendere la particolarità delle contingenze temporali che via via si succedono.

Purché attraverso un nuovo corso di iniziativa e d’azione politica.

Domenico Galbiati

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