Il Covid-19 ha percorso il mondo intero lasciando dietro di sé situazioni molto differenziate. C’è chi ne è già praticamente fuori, chi ne regge bene l’impatto e chi si aggira tra le macerie o è ancora nel caos.

Si tratta di un vero stress-test che mostra quali edifici siano solidi, quali richiedano degli aggiustamenti sensibili e quali una vera e propria riedificazione che tocchi ogni componente.

Al momento, la Cina ne esce vincente. Viene considerata responsabile della pandemia, ma nessuno al tempo della “spagnola” (che fece più di 20 milioni di morti) aveva puntato il dito contro l’America dove il morbo si era originato e le cui truppe avevano portato e diffuso in Europa. Sarebbe stato insensato farlo allora, come lo è oggi nei confronti di chiunque. La Cina, viene detto, in origine ha gestito male e in segretezza il Covid-19. Errori sono stati commessi, ma non era certo semplice individuare il nuovo morbo che presenta sintomi sovrapponibili a malattie diffuse come influenza e polmoniti virali. In ogni caso, non possono dar lezioni in materia quegli esponenti politici occidentali che, quando era già ben evidente la minaccia, non hanno fatto nulla per limitarne la diffusione e hanno minimizzato il pericolo (è solo una specie di influenza, dicevano). Può non piacere il modo in cui la Cina ha bloccato la diffusione del morbo nel Paese, ma è insensato nasconderne l’efficacia ricorrendo ad accuse strumentali.

Fra i vincenti, c’è la Corea (un Paese di circa 50 milioni di abitanti, e superficie inferiore alla nostra) che anche nell’affrontare il morbo, come già accade in ambito economico-produttivo, ha mostrato di essere vitale, di avere i mezzi per competere nel mondo con Paesi molto più grandi senza dover cedere sovranità a chicchessia. C’è il Giappone che senza clamori pare esserne uscito. Ci sono altri Paesi del sud est asiatico.

In Europa, la Germania certamente ha fatto meglio di altre nazioni, anche se non è stata esente da errori. Anni fa, si diceva che i tedeschi erano riusciti perfino a far funzionare il comunismo. Per altri, la Germania resta sempre un pericolo, e anche oggi Angela Merkel avrebbe nascosto le molte vittime del virus. In verità, se la Germania ne esce abbastanza bene, dovremmo rallegrarcene perché mostra che non c’è bisogno di un sistema autoritario per superare momenti estremamente critici. Guardando a quanto è accaduto e accade altrove, ci sarebbe da dubitarne. Il risultato del suo successo è il frutto di una organizzazione efficiente dello Stato e della società, di una classe dirigente (politici, imprenditori, sindacalisti, magistrati, burocrati) capace, le cui varie componenti sono in grado di dialogare e collaborare, e infine di cittadini che si riconoscono nelle istituzioni del Paese.

Invece l’Italia, è inutile negarlo, dal test non esce bene. Una valutazione che tocca sia il momento della diffusione e del contenimento del contagio, sia la successiva fase riguardante le misure per far fronte ai danni economici da esso prodotti, e dare inizio alla ripresa delle attività. Certo si possono citare molti esempi positivi: l’ammirevole impegno di chi ha combattuto in prima linea (medici, infermieri, farmacisti, forze dell’ordine) e di quanti hanno assicurato il funzionamento di servizi vitali (dagli autotrasportatori alle commesse dei centri commerciali); positivo è stato, nella prima fase, il comportamento di molta parte dei cittadini che si sono conformati alle regole imposte per arginare il contagio. Malgrado ciò, il giudizio resta sostanzialmente negativo.

C’è stato lo scarso livello qualitativo mostrato da molta parte della classe dirigente, non solo politica. Ci sono stati i molti errori commessi dal governo e dalle autorità delle istituzioni periferiche (Regioni e Comuni), errori per certi aspetti inevitabili, almeno inizialmente (sono stati fatti anche altrove), perché nessuno era preparato ad affrontare un fenomeno nuovo come questa pandemia. Ma è l’insieme di quanto è avvenuto ad essere molto deludente

In un primo tempo, da parte di tutti, si è buttata acqua sul fuoco minimizzando la pericolosità e la dimensione dell’epidemia (nessuna quarantena per chi viene dalla Cina; teniamo aperti gli stadi; non chiudiamo teatri e musei perché il virus si combatte con la cultura; e cose simili). In seguito, non appena il Covid-19 ha manifestato la sua virulenza, abbiamo assistito alla corsa al reciproco rinfacciarsi di aver ignorato la minaccia.

L’arrivo del Covid-19 ha colto il Paese impreparato come del resto è avvenuto, in diversa misura, anche altrove. Mancavano mascherine e altri dispositivi difensivi, mancavano caschi, respiratori, tamponi e relativi reagenti; era difficile procurarseli, mentre i laboratori per fare le analisi dei prelievi erano pochi e non attrezzati per affrontare una tale mole di lavoro. Una classe dirigente responsabile lo avrebbe ammesso e dichiarato pubblicamente. Invece, per settimane. abbiamo sentito dire e ridire che le mascherine servono ai soli operatori sanitari e che i tamponi sono un mezzo diagnostico a cui ricorrere in ospedale per i pazienti con sintomatologia sospetta. Poi, man mano che tali mezzi si sono resi reperibili, se ne è cambiato in senso estensivo il criterio di utilizzazione. Temo che abbia ragione Andrea Purgatori quando sospetta che questa strategia comunicativa sia stata scelta deliberatamente per tenere quieta la gente.

Inoltre, le misure per contrastare la pandemia sono state prese dalle autorità, a cominciare da quelle governative, sempre in ritardo sui tempi, in pratica chiudendo la porta della stalla quando i buoi erano già scappati. Una situazione che si è riproposta per la riapertura, in una continua altalena fra esitazioni non motivate nell’intraprendere passi ragionevoli e pericolose fughe in avanti.

Ma non limitiamoci ai politici, perché altrettanto poco responsabile è stato il comportamento di molta parte del mondo dell’informazione che per giorni ha fatto strumentalmente denunce, inchieste e posto inutili interrogativi sul perché, a partire dalla comparsa dei primi casi, non siano stati forniti a tutti camici idonei, mascherine, e fatti i tamponi per circoscrivere i focolai. In realtà, quel mondo sapeva e sa benissimo che la principale motivazione è stata la mancanza dei mezzi necessari. Inoltre, ha volutamente dimenticato le indicazioni venute dall’alto (Istituto Superiore di Sanità in primis) tese a limitare l’impiego di tali presidi (in quanto carenti), mentre continua ad ignorare che il virus circolava in incognito nel Paese (e in particolare in Lombardia) già da inizio gennaio, molto prima che venisse dato l’allarme e che potessero esser presi provvedimenti.

Tuttavia, in questo frangente, accanto a questo scarso livello qualitativo di molta parte della classe dirigente, si è soprattutto rivelata ancora una volta inadeguata la macchina dello Stato.

La manifestazione più significativa di tale inadeguatezza è rappresentata dalle trafile burocratiche che non hanno consentito di tradurre in fatti concreti le misure decretate dal governo e dai presidenti delle Regioni. In particolare, il governo non è stato in grado di dare corso, in tempi rapidi, all’esecuzione di vitali misure sul terreno economico: fornire quei soldi necessari per le esigenze immediate di persone e imprese. Anche in questa circostanza, la burocrazia è restata sempre se stessa: lenta, attenta solo agli aspetti formali e alle procedure, e indifferente agli esiti della propria azione. A questa piaga, si aggiunge l’eccessiva incertezza giuridica e regolamentare in cui si trovano ad operare politici, funzionari e amministratori della cosa pubblica e le conseguenti mancate decisioni o i rinvii per timore delle possibili ricadute giudiziarie.

Inoltre, mentre si è riconosciuto che il Covid-19 ha fatto strage di anziani nei ricoveri di tutta Europa, solo in Italia la ricerca di colpevoli da parte delle procure ha assunto una rilevanza tale da conquistare le prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi. Questa discrepanza rispetto agli altri Paesi europei (che secondo alcuni sarebbe un titolo di merito di una magistratura realmente indipendente) costituisce anch’essa un segno che qualche cosa di anomalo è presente nel cuore della macchina dello Stato italiano: troppi suoi pezzi sembrano talora viaggiare per conto proprio, fuori dai binari. Manca la volontà di dialogo e di collaborazione tra le varie componenti, non c’è capacità di fare squadra per raggiungere un obiettivo, e prevale il protagonismo.

Ho detto che ancora una volta la macchina dello Stato si è dimostrata inadeguata. Ancora una volta perché ci sono già state molte altre volte. Mi limito a citare il terremoto di tre anni fa nell’Appennino del centro Italia. Le macerie sono ancora in gran parte sul posto e tutto è fermo o quasi.

Dove è finita la Protezione civile di Zamberletti? dove anche quella di Bertolaso? Entrambe avevano dimostrato che le cose necessarie si possono fare, e fare in tempi rapidi. Avevano troppi poteri, poteri straordinari, cosa non accettabile. Ci sentiamo infatti dire da autorevoli esponenti del mondo giuridico che non esistono situazioni eccezionali che possano giustificare poteri eccezionali. Il viadotto di Genova è stato ricostruito in 620 giorni. Cosa normale in un Paese normale, ma i poteri di deroga dalle procedure ordinarie conferiti al sindaco di Genova, in qualità di commissario, (grazie all’emozione che la catastrofe aveva generato) non sono piaciuti a molti, a cominciare dal già presidente dell’ANAC Raffaele Cantone. E oggi importanti forze politiche si dichiarano contrarie a generalizzare una tale metodologia perché elude il codice degli appalti e controlli di varia natura.

Sono proprio cose come il codice degli appalti e la legge anticorruzione, con la complessità e le tempistiche delle procedure previste (che fra l’altro non riescono a bloccare né la corruzione, né infrazioni varie), a fare dell’Italia un Paese che normalmente non funziona neppure nelle situazioni “normali”. E altrettanto lo sono i processi che durano anni, senza altresì giungere sovente a conclusione; lo sono i continui interventi dei TAR che aggiungono lungaggini a lungaggini e complicazioni a complicazioni; lo è il mare di leggi e leggine insieme ai volumi di regolamenti e circolari interpretative che rendono impossibile la vita delle persone e in particolare di chi vuole fare qualche cosa di concreto nel Paese e per il Paese.

Tutto ci mostra che l’Italia non ha superato lo stress-test. È venuto il momento di ricostruire la macchina dello Stato. Ricostruire, non correggere, non registrare con il cacciavite qualche bullone di questo sgangherato edificio. Sento dire da molti che occorre sburocratizzare. Ci hanno provato in tanti, ma senza risultato. Sono troppe le corporazioni che fondano il loro potere sull’inefficienza della macchina e ne impediscono la riforma. Sono le stesse che vogliono una politica debole, timorosa, incapace di agire, come è avvenuto a partire dall’irresponsabile abolizione dell’immunità parlamentare, che ha rotto l’equilibrio tra i poteri consentendo alla magistratura (o a parte di essa) di esondare dagli spazi che in un Paese normale le sarebbero propri.

I necessari interventi non possono riguardare una sola componente della macchina dello Stato o un solo aspetto del suo funzionamento perché tutto è legato, tutto si tiene insieme. Per sburocratizzare il Paese e ridurre la massa di regole e di procedure che lo soffocano, la macchina deve essere revisionata nel profondo in tutte le sue articolazioni, compresa la giustizia che va radicalmente riformata e resa coerente con quanto vige in Europa, secondo le indicazioni che già aveva dato Giovanni Falcone e per le quali ha subito ostracismi.

È indispensabile, prese le misure più urgenti imposte dalla attuale situazione critica, dare vita, quanto prima, ad una vera e propria stagione costituente.

Giuseppe Ladetto

Pubblicato su Rinascita popolare dell’Associazione i Popolari del Piemonte ( CLICCA QUI )

 

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