Recensione di un autore anonimo

Per avere una idea di come si formano le leggi in Italia, di come funzionano gli smisurati apparati centrali dello Stato, dei compromessi tra politici e burocrati, degli accomodamenti, dei ripieghi, degli opportunismi ed anche delle deviazioni, ecco un  libro che svela tutto ciò che sta sotto la punta dell’iceberg delle leggi, dei decreti, dei regolamenti dei quali veniamo a conoscenza.

Non solo, ma per capire chi muove i fili del potere, quanto contano parlamento, ministri e segretari di partito (che passano) e quanto invece l’alta burocrazia dello Stato (che resta) così come per conoscere i luoghi dove si prendono  le decisioni, il libro svela una realtà quasi sconosciuta dove la potenza del comando si esprime con una supremazia intaccabile.

“Io sono il potere” con il sottotitolo intrigante “Confessioni di un capo gabinetto” ovviamente ministeriale, è un saggio con autore anonimo, edito da Feltrinelli (2020)

Lettura agevole, quasi alla maniera di un romanzo, che si snoda in capitoli sempre più rivelativi di scoperte non da gossip ma di sostanza. Tra questi, si segnala, tra i più significativi, quello che svela il filo conduttore del libro. “Le leggi sono uno strumento-scrive l’autore- il più delle volte al servizio della politica, il che non va bene.” Piuttosto le leggi sono al servizio del pluralismo istituzionale che è solo un concetto evanescente, “ una formula alchemica degli interessi in gioco” sia palesi che occulti, sia organizzati che molecolari in nome dei quali può essere persino giusto scrivere male una legge per renderla inapplicabile, “ in modo da evitare gli effetti nefasti”. Vero, ma agghiacciante.

Protagonisti di questo luogo quasi sconosciuto del potere effettivo sono naturalmente i capi-gabinetto dei ministeri scelti nel Consiglio di Stato, nella Corte dei Conti, nei Tribunali Amministrativi Regionali come pure tra i professori universitari, i direttori generali dei dicasteri, gli alti funzionari dello Stato sempre per chiamata dal presidente del consiglio e dei ministri. A loro è richiesta competenza giuridica, amministrativa ed economica ma soprattutto grande capacità di relazioni, abilità nel raggiungere compromessi, mestiere nel tessere alleanze, determinazione talvolta brutale per difendere, o per cassare, un provvedimento.  Il loro compito istituzionale è quello di assistere e dare supporto al ministro in carica, di seguire l’attività degli uffici legislativi, di mantenere rapporti con il Quirinale e le più alte cariche dello Stato, di intervenire sui meccanismi palesi ed occulti del governo.

Altro capitolo particolarmente brillante è quello dedicato al grande rito della legge finanziaria, “la legge delle leggi” che si snoda nei palazzi romani in tre mesi di passione: la lotta spietata sugli articoli, i commi, le riformulazioni, gli emendamenti, gli ordini del giorno, i codicilli e si svolge tra parlamentari,  porta borse dei partiti, lobbisti di ogni specie, avvocati d’affari, agenzie internazionali. Una battaglia campale più che un assalto alla diligenza.

I personaggi coinvolti nel racconto sono millanta, accuratamente elencati nell’indice dei nomi. Tutti emergono naturalmente con nomi e cognomi, dai presidenti del consiglio che si sono succeduti nella seconda e terza repubblica fino ai figli, mogli, amanti, nipoti e parenti dei potenti  “sistemati” in parlamento, negli enti di Stato o in lucrose carriere.

Su tutti, uno emerge come il vero e unico erede di Giulio Andreotti, l’insuperabile conoscitore profondo della macchina dello Stato. E’ il potente e raffinato Gianni Letta, che non è né presidente, né direttore, né avvocato ma  per il quale non vi è vicenda pubblica o privata, da un certo livello in su, che non sia passata dal suo ufficio e che lavora dalle 15 alle 16 ore al giorno ricevendo dalle sei di mattina alle ventuno. Particolarmente attraente è il suo profilo come pure il racconto del periodo berlusconiano, quando Gianni Letta presiedeva personalmente i pre-consigli dei ministri.

Il libro è arricchito da un piccolo glossario sulle più importanti istituzioni dove di fatto si esercita il potere. Non è un elenco noioso, ma piuttosto una presentazione a volte sconsolata, come quando l’autore descrive il ruolo e le funzioni della Corte dei Conti confidando “che non si è mai capito come si sia formato un così immenso debito pubblico pur essendoci  dal 1862 un organo dello Stato che vigila sulla spesa” oppure quando in poche righe descrive la Corte Suprema di Cassazione  che “dovrebbe garantire la osservanza della legge decidendo su qualcosa come cinquantamila sentenze all’anno”.

Lettura piacevolissima, introdotta da un arguto epigramma di Eugenio Montale: “ La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive”

Guido Puccio

 

 

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