“La salute non è più un processo, ma una condizione/oggetto da possedere come diritto: esami, visite, medicine, terapie, di tutti i tipi: tanti oggetti nel luccicante market che promette non solo salute, ma addirittura ‘ben-essere’”. È quanto osserva Massimo Molteni, neuropsichiatra infantile, direttore sanitario dell’Associazione La Nostra Famiglia.

Nella pratica contemporanea “curare” è diventato “un verbo transitivo: curo la malattia, il sintomo, il ‘mal-essere’, attraverso una tecnicalità ardita ai limiti del transumano e con oggetti (le terapie) sempre più numerosi, da possedere compulsivamente”. Ma “l’officina di produzione” – ossia il Servizio sanitario – “non riesce a soddisfare tutta la domanda: e così si generano le liste d’attesa” e “bisogni di salute sempre nuovi si affacciano sul mercato aggiungendosi ai vecchi, peggiorando la situazione”. In questo turbinio di richieste, “diventa una sfida davvero improba per un servizio sanitario universale riuscire a produrre tempestivamente tutti gli ‘oggetti di cura’ richiesti: il tempo è un fattore spesso decisivo, nei bambini in maniera specifica”.

Quando un bene non è disponibile nella quantità richiesta, “fioriscono i mercati paralleli: chi può si getta nel privato per trovare le risposte che cerca”. Ma “per chi non ha risorse, per chi è più fragile o marginale, quando la malattia non ha cura e ci costringe ad un lungo e faticoso processo di accompagnamento – di immediata evidenza nella condizione di disabilità specie nel bambino – rimane solo il servizio sanitario pubblico: sempre più stremato, disegnato per ‘produrre prestazioni’ in risposta a una domanda orientata mercantilmente in tal senso, è surclassato dalle dovizie e dalla rapidità del mercato privato; quando la risposta è ‘occuparsi dell’altro che ha bisogno’, dove il mercato privato furbescamente si eclissa, non ha più nemmeno le coordinate e il passo per saperlo fare. Incapace di capire che il ‘non-profit’, anche se ormai marginale, può essere un aiuto: pubblico non vuol dire statale; mentre rincorrere la sanità profit e peggio ancora chiamarla a sussidiarlo importandone anche le sue logiche di mercato, può solo portarlo al completo disfacimento: se è ‘pubblico’, cioè per tutti, non può essere mercato, se è mercato, non può essere ‘per tutti’”.

Per  Molteni, “è necessario cambiare radicalmente la logica della risposta sanitaria, specie per le condizioni di fragilità e nelle fasi dello sviluppo: è urgente passare dal curare al prendersi cura, investire sulle professioni di aiuto, ridando dignità anche economica al loro ruolo”, non perché “produttori di oggetti che aumentano la catena del valore”, ma perché “stanno accanto” nel divenire del tempo, “con competenza specifica e tecnicalità adeguata, dalla parte dei bambini, affiancando i genitori, intervenendo anche con la tecnologia quando serve, sapendo che la crescita di un bambino è un processo che si srotola nel tempo aprendoci al futuro, e che ha bisogno di accudimento, e anche di coccole, fin da subito, specie nella malattia”.

Pubblicato su www.agensir.it

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