Sono un amministratore comunale del Comune di Campo Calabro, un paese della provincia di Reggio Calabria, che conta poco meno di 5.000 abitanti. La mia esperienza di rappresentante locale mi sta insegnando quanto sia importante il rapporto tra il territorio e le istituzioni nazionali, e quanto sia fondamentale garantire a tutti i cittadini i diritti e i servizi essenziali per una vita dignitosa.

Per questo motivo, seguo con apprensione e preoccupazione il dibattito sull’Autonomia differenziata, una riforma che potrebbe cambiare radicalmente il volto dell’Italia e delle sue regioni. Si tratta di una riforma che, in base all’articolo 116 della Costituzione, permetterebbe alle regioni a statuto ordinario di chiedere maggiori competenze e risorse in alcune materie, come la sanità, l’istruzione, il lavoro, l’ambiente, la cultura, il turismo, il commercio, la protezione civile e altre ancora.

A oggi, sono sette le regioni che hanno presentato la loro richiesta di Autonomia differenziata: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Toscana e Umbria. Il governo sta esaminando le loro proposte e dovrà trovare un’intesa con ciascuna di esse, prima di approvare una legge che dovrà passare il vaglio del Parlamento.

Quali sono le motivazioni di queste regioni? Sostengono di voler migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi offerti ai loro cittadini, di voler valorizzare le specificità e le potenzialità dei loro territori, di voler ridurre gli sprechi e le inefficienze della burocrazia centrale, di voler avere maggiore autonomia fiscale e finanziaria.

Queste sono tutte ragioni legittime e condivisibili, ma bisogna anche chiedersi quali saranno le conseguenze di questa riforma per il resto del Paese, e in particolare per le regioni del Sud, che già oggi soffrono di gravi ritardi e disparità rispetto al Nord.

La Chiesa, attraverso le parole dei vescovi calabresi e del cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Cei, ha espresso la sua preoccupazione per i rischi di una riforma che potrebbe accentuare le disuguaglianze e le divisioni tra le regioni, compromettendo il principio di solidarietà e di coesione nazionale che è alla base della nostra Costituzione. La Chiesa ha ricordato che l’Italia è una e indivisibile, e che ogni regione ha il dovere di contribuire al bene comune e al progresso di tutto il Paese, senza egoismi né privilegi. Ha anche sottolineato che l’autonomia differenziata non deve mettere in discussione i livelli essenziali delle prestazioni, ovvero i diritti fondamentali che devono essere garantiti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione in cui vivono. La Chiesa ha infine invitato i fedeli e i cittadini a non restare indifferenti e passivi di fronte a questa riforma, ma a informarsi, a partecipare, a far sentire la loro voce, a esercitare il loro ruolo di protagonisti della vita pubblica e della democrazia.

Come amministratore e come cittadino, condivido appieno la posizione della Chiesa e mi sento chiamato a fare per quanto possibile la mia parte per difendere i valori e gli interessi della mia comunità e della mia regione. Non voglio che il mio territorio sia penalizzato e isolato da una riforma che potrebbe creare una frattura insanabile tra le regioni italiane.

Per fare alcuni esempi concreti, penso a cosa significherebbe per la mia gente se la Sanità fosse gestita in modo diverso e disomogeneo tra le regioni. Penso ai problemi di accesso alle cure, alle liste d’attesa, alla carenza di personale e di strutture, alla fuga di medici e pazienti verso il Nord. Penso alla qualità dell’istruzione, alla formazione dei giovani, alle opportunità di lavoro, alla mobilità sociale, alla ricerca e all’innovazione. Penso all’ambiente, alla tutela del paesaggio, alla valorizzazione delle risorse naturali e culturali, alla prevenzione dei rischi e alla gestione delle emergenze. Penso alla fiscalità, alla spesa pubblica, alla redistribuzione delle risorse, alla lotta all’evasione e alla corruzione.

In tutti questi ambiti, temo che l’Autonomia differenziata possa accentuare le differenze e le disuguaglianze tra le regioni, creando una situazione di svantaggio e di arretratezza per il Sud, che già oggi subisce gli effetti di una crisi economica e sociale senza precedenti.

Non voglio che il mio territorio sia lasciato indietro, ma voglio che sia parte integrante e attiva di un progetto di sviluppo sostenibile e inclusivo per tutta l’Italia. Un progetto che si basi sulla collaborazione e non sulla competizione tra le regioni, che valorizzi le diversità e non le contrapposizioni, che promuova la solidarietà e non l’egoismo, che rafforzi la coesione e non la divisione.

Per questo motivo, mi unisco all’appello della Chiesa e chiedo al governo e al Parlamento di rivedere e correggere la riforma dell’autonomia differenziata, affinché sia rispettosa dei principi costituzionali e dei diritti dei cittadini, e tenga conto delle esigenze e delle aspettative di tutte le regioni, senza creare disparità e discriminazioni.

Chiederò anche a tutti i miei concittadini di non restare in silenzio e inerti, ma di informarsi, di confrontarsi, di esprimere le loro opinioni, di partecipare al dibattito pubblico, di far sentire la loro voce. Solo così potremo difendere il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno. Solo così potremo essere artefici del nostro destino. Solo così potremo essere una comunità unita e solidale.

Rocco Messineo

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