“Se mi uccidono vuol dire che siamo fortissimi” aveva detto Alexiei Navalny dopo il tentativo di avvelenamento che aveva subito in Russia, salvato in extremis dopo un drammatico volo dalla Siberia a Berlino, dove era stato curato e salvato con l’intervento personale di Angela Merkel.

Era tornato nella sua terra ben sapendo che sarebbe stato punito con le solite accuse di comodo. Infatti era stato confinato in una colonia penale di massima sicurezza, nella parte più estrema della Siberia di nord-ovest, in un distretto scarsamente popolato sull’oceano Artico. Ed inoltre, pur nelle condizioni estreme del gulag, era soggetto costantemente a punizioni. E sarebbe deceduto per un arresto cardiaco dicono le fonti ufficiali del gulag, quasi condivise dal solito leghista di casa nostra, memore forse della famosa maglietta del capo sulla Piazza Rossa.

La causa della morte dichiarata dalle autorità del penitenziario lacerano il comune buonsenso: è sufficiente la detenzione in un penitenziario siberiano per uccidere. Basta leggere Solzenicy, Sacharov e altri pochi sopravvissuti al gulag per rendersene conto. O magari il più recente romanzo (ma non troppo) di Giuliano da Empoli “Il mago del Cremlino” per capire come vengono prese le decisioni dietro le mura della antica sede degli Zar.

In queste ore dilagano le cronache. Seguiranno commenti e appelli ma pochi ne traggono già le conseguenze: la prepotenza delle autocrazie spazza via il dissenso con il cinismo ben noto dei tempi staliniani; organizza il consenso impedendo candidature alternative per motivi burocratici; arresta chi partecipa a qualsiasi forma di protesta o di semplice ricordo (cento arresti e rimozione dai fiori sulle piazze a Pietroburgo e Mosca il primo giorno dopo la morte di Navalny).

E che fa l’Occidente? E’ incapace di reagire, è dubbioso nel continuare ad aiutare l’Ucraina aggredita, è inascoltato nei tentativi di fermare il conflitto mediorientale, non c’è davanti alle esigenze di costruire una difesa comune europea; è diviso nell’interpretare una politiche comuni.

A Mosca lo hanno capito e perseguono il loro disegno contro le libertà, la civiltà e la democrazia dei paesi occidentali. Per non dire di quello che si muove nelle nostre piazze: inutile sperare di vedere manifestazioni contro il crimine di un dissidente che si batteva per le libertà ed era recluso tra i ghiacci di una colonia penale, come invece avviene per ben altro.

E i cattolici? Siamo portatori di valori universali e capaci di mobilitarci per le marce della pace. Punto. Purtroppo dobbiamo convenire che ci vorrebbe un Pannella, o magari un’altra iniziativa di protesta come quelle organizzate da Giuliano Ferrara quando vengono violentati i nostri valori, altro che le bandiere con i cinque colori.

Leggeremo ben presto analisi e appelli, dopo le notizie di cronaca. Poi silenzio. L’Europa continuerà nel suo benessere rispetto al sud del mondo, eleggerà a breve il suo nuovo Parlamento discutendo della esigenza di creare un esercito comune per la difesa, senza domandarsi che senso ha un esercito europeo senza avere una politica estera comune che non esiste.

Eppure dovrebbe insegnarci qualcosa l’ennesimo delitto di un dissidente che amava il proprio Paese senza paura di ritornarci, anziché fare appelli dal divano di casa. Un dissidente che anche in condizioni estreme denunciava corruzione e frodi e che voleva la libertà e la democrazia per il suo popolo.

  Guido Puccio

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