Quando si sostiene – e giustamente più di un amico l’ha fatto, da tempi non sospetti, anche da queste pagine – che la sinistra, dopo la scoppola della caduta del muro di Berlino, abbandonato l’approdo alla cultura marxista, ha assunto una postura radicale, in effetti si lascia la riflessione a metà strada. In sostanza, non si rilevano due profili fondamentali, che appaiono evidenti se appena si approfondisce un attimo.

In primo luogo, si argomenta come se la sinistra, nuda alla meta ed infreddolita dopo la dolorosa spoliazione  ideologica, non abbia fatto altro che rivestirsi in tutta fretta del primo  vestito “pret a porter” che ha trovato nell’armadio più vicino al suo. Insomma, un mero cambio d’abito, suggerito solo dall’opportunità del momento, con una sostanziale, obbligata e drammatica soluzione di continuità da una stagione all’altra. Ma, in effetti, non è andata così e la questione è, ad un tempo, più semplice e più complessa.

In secondo luogo, quella che sopra abbiamo chiamato “postura radicale” in effetti rappresenta un orientamento che, a sua volta, si declina in chiave ideologica, cioè secondo una forma concettuale rigida ed ossificata che pretende di aver individuato, si potrebbe dire, la “sezione aurea” del pensiero politico, cioè quell’arco di volta che, da solo, può dar conto della legge sovrana che orienta l’intero sviluppo del processo storico.

In realtà, il combinato disposto di questi due fattori – la coazione ad un pensiero “ideologico” ed il trapasso da una cultura del “collettivo” ad una cultura dell’ “individuo” – sta ad indicare come non siamo in presenza di un qualunque e semplice trasloco. Siamo, al contrario, nel cuore di un processo evolutivo, cioè sostanzialmente di conservazione, il quale, attraverso un percorso di adattamento ad un nuovo ambiente, tende alla sopravvivenza.

Questa migrazione della sinistra da un dominio culturale, addirittura antropologico, ad un altro, può avvenire nella misura in cui tra “collettivismo” ed “individualismo” vi sono, al di là dell’ apparente contraddizione – non a caso si tratta di termini  che abbiamo a lungo considerato quasi sinonimi di “sinistra” e di “destra” – molti più elementi di consonanza che non di contrasto. Questa collimazione si sostanzia nel fatto che ambedue non conoscono la “persona” e, dunque, non comprendono appieno come si debba intendere la libertà nella vera autenticità del suo valore, che d’incanto supera quello stadio della cosiddetta “autodeterminazione”, oltre il quale l’una e l’altra delle suddette culture non riescono ad avanzare.

E non è forse qui la ragione del fallimento di un  progetto, che, tramite il PD, pretendeva che bastasse un comune e scontato riferimento al metodo del “riformismo” per sostanziare nel merito il reciproco allineamento della cultura di una siffatta sinistra e di quella cattolico-democratica e popolare ? Era davvero necessario passare attraverso la vicenda del “ddl Zan” e lo svelamento del ruolo dominante che la cultura “Lgbt” ha assunto nel PD, soprattutto in certe aree del Paese, ad esempio in Emilia-Romagna, di più forte ed antico insediamento comunista?

Francamente si poteva capire prima, senza attendere l’inoppugnabile prova dei fatti, attorno alla quale, anche dal campo cattolico, pure qualche alfiere del “prodismo” a tutti i costi è oggi costretto a convenire.

Meglio tardi che mai….

Domenico Galbiati

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