Dell’ Italia, per carità di patria, è meglio non dire. La baldanza di Giorgia Meloni si è trasformata in lamento e l’immaturità di una intera classe dirigente la si evince da quel piagnisteo, intriso di vittimismo e complottismo, cui, quasi quotidianamente, affida la speranza di mascherare, agli occhi degli italiani, la propria impotenza. Ma è la stessa Europa – cominciando da dove meno te lo aspetti, dalla Francia di Macron – ad assumere, quasi nella generalità degli Stati membri, secondo differenti posture, una intonazione globalmente “sovranista”, diffidente ed impaurita di fronte ai migranti, che fa a pugni con quella che dovrebbe essere una lettura intelligente e prospettica del momento storico e del significato che vi assumono i fenomeni migratori.

Per la verità, molti Paesi europei accolgono più migranti di quanti non giungano in Italia, ma non è qui il punto che possa giustificare il sistematico sottrarsi ad una strategia comune. La militarizzazione del confine a Ventimiglia da parte della “Republique” va perfino oltre quella nuance di sciovinismo che è pur sempre legittimo attendersi dai nostri cugini d’ Oltralpe. In effetti, Macron e Le Pen sono impegnati in una rincorsa securitaria, tale per cui ambedue – ma soprattutto il primo – assumono le sembianze di generali che, anziché guidarla, rincorrono la truppa. E questo è vero un po’ per tutti, pure negli altri Paesi dell’ Unione, anche per chi, pur non soffiando, in modo espressamente strumentale, sul fuoco delle paure, come succede da noi, di fatto ad esse si piega ed, in larga misura, non sapendo correggerne la china, le asseconda.

Si dirà che è la forza delle “opinioni pubbliche” ad imporre il ritmo e la direzione di marcia. Senonché, il dato critico sta, appunto, qui. Gli europei appaiono stanchi, sfiduciati, si direbbe disamorati di sé stessi, appesantiti da quella loro imponente storia che, al contrario, dovrebbe tonificarne la vitalità, oberati da timori e sentimenti di precarietà che rischiano di compromettere la fiducia negli stessi ordinamenti democratici. Non vedono un orizzonte comune, una ragione condivisa per cui valga la pena compromettersi e combattere. Li irrita e li scompone il “diverso” che – qualunque esso sia, ad esempio il disabile o il malato psichico, non solo il migrante – rompe quella nicchia di certezze in cui riposa la loro coscienza.

Manca un leader – di capi e capetti ce n’è ad iosa – un vero “statista” che sappia indicare la strada verso un domani che rischia di vederci affondare nelle sabbie mobili. Oggi l’Africa ha bisogno di noi, eppure di questo passo, se continueremo a mostrarci incapaci di avviare una integrazione profonda tra i due continenti che si affacciano sul Mediterraneo, quasi fosse un grande lago intercluso in un “continuum” territoriale inestricabile, non tarderà il giorno in cui il vettore cambierà segno e direzione. E l’Europa finirà per diventare un gigantesco “parco delle rimembranze” o tutt’ al più un magnifico museo a cielo aperto che altri popoli visiteranno ammirati.

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