È indiscutibile che, quando ci si trova ad esempio in un supermercato, si abbia il diritto (e il piacere) di acquistare il tipo di caffè che più soddisfa il nostro gusto. Per questo i nostri occhi vanno in cerca dell’etichetta della marca preferita: diamo per scontato che in quella confezione ci sia caffè, e che sia quello che ci piace.

Quando invece siamo chiamati a scegliere un’appartenenza politica, e vogliamo farlo da cristiani, dobbiamo – secondo il mio convincimento – esercitare un discernimento. Il primo criterio di tale verifica – che deve essere onesta, razionale e non viscerale – è (sempre a mio avviso) il seguente: questo tal partito propone scelte e prassi in linea (o almeno non gravemente ostative) con gli autentici valori cristiani? Soddisfatto questo requisito, è poi legittima ogni scelta in nome del pluralismo politico che i cattolici rivendicano da dopo la fine della Democrazia Cristiana.

È il “filtro” pregiudiziale sopra accennato che dà legittimità al diritto di scelta: un simile vaglio non può essere né posposto né ignorato. Diversamente, trincerandosi dietro alibi affettivi si compiono scelte che si rendono complici di gravi conseguenze culturali (cfr. Domenico Galbiati: “La responsabilità dei cattolici”, CLICCA QUI ).

Pertanto, non bastano assolutamente il gradimento di questo o quel provvedimento legislativo, di questo o quell’indirizzo di politica europea o internazionale, di questa o quella scelta prioritaria di intervento etc. etc. per tacitare la nostra coscienza di cattolici (se davvero ad essa vogliamo dare ascolto). La domanda prioritaria resta: sto scegliendo in linea con Vangelo, il Magistero della Chiesa e la Tradizione dei Padri?

E qui si tocca un punto critico, incandescente. Qual è l’identità cristiana, cattolica?

È un interrogativo che siamo costretti a porci perché nella attuale polarizzazione fra Sinistra radicale e ultra-Destra “melon-salviniana” quella identità viene rispettivamente attaccata frontalmente oppure strumentalizzata.

Nel primo caso, non occorre troppo sforzo per comprendere: serve solo abbandonare i ricordi della giovinezza quando il vento del ’68, agitato dall’astuta borghesia che in seguito avrebbe occupato i posti di privilegio e di potere, accarezzava le nostre ingenue aspettative di futuro, di cambiamento, di libertà, uguaglianza, “emancipazione” sessuale ed altro. Si cantavano con le chitarre, in gruppo, i canti partigiani e ci si sentiva giovani. Alcuni sono rimasti lì, pervicacemente abbarbicati ad un’adolescenza irrisolta. Ma da molti anni i valori storici della Sinistra sono stati sostituiti da una implacabile nemesi storica: coloro che affermavano di voler difendere le masse oppresse e gli operai sfruttati si sono convertiti ad un individualismo radical-chic che ammette solo diritti e ben pochi doveri. L’antico odio per le oppressioni e le discriminazioni si è mutato nell’autorizzazione a porle in atto verso chiunque non si allinei al “pensiero unico” raggiunto ed imposto. Una simile prassi stalinista (ora putiniana) è l’unica continuità con le “radici” (su cui rifletteva la “zebretta” di Politica Insieme CLICCA QUI).

Alibi, nient’altro che alibi (CLICCA QUI) per potersi illudere di avere ancora venti anni quando altri trenta o cinquanta se ne sono accumulati. E quando di cattolico è rimasto – spesso – solo il certificato di battesimo.

Continuo a stupirmi davanti alla facilità con cui tanti battezzati continuano a schierarsi con gli attuali partiti di Sinistra. Eppure, le posizioni di questi ultimi su temi di bioetica renderebbero la loro irricevibilità assiomatica. Purtroppo, si sa, gli assiomi sono difficilissimi se non impossibili da dimostrare e i laicisti sono produttori seriali di ingannevoli sofismi: “C’è un’astuzia fatta di cavilli, ma ingiusta, c’è chi intriga per prevalere in tribunale, ma il saggio è giusto quando giudica” (Sir 19, 25).

Quando invece si sente affermare “io sono cristiana e credo in Dio” oppure ci si fa fotografare mentre si bacia la corona del rosario, la domanda sull’identità cristiana può sembrare inutile. Cosa si vuole di più? Si pretende forse di sindacare il foro interno delle persone? Ma che razza di integralismo arrogante e presuntuoso è mai questo?!

Questa estate ho avuto fra le mani un libro di Paolo Giuntella, volto televisivo già noto a molti come vaticanista del TG1 ed autore – fra altri – di un libro ora introvabile (“L’aratro, l’IPod e le stelle. Diario di viaggio di un laico cristiano”. Ed. Paoline 2008). A pag. 59 egli scriveva: “Il cristianesimo non genera identità. Almeno non nel senso, comune, che si attribuisce a questa parola. Perché non divide, non separa, non permette addirittura agli uomini di separare la gramigna dal grano, i fetentoni dai giusti (questo spetta solo a Dio; figuriamoci se in suo nome si possono erigere barriere, confini, dogane, espulsioni, identità geopolitiche o culturali). No. Sarebbe in contraddizione con l’universalità del cristianesimo, con il Vangelo, con Gesù che amava le differenze, le diversità, gli esclusi dai consessi riconosciuti, soprattutto, potremmo dire, amava i poco di buono: le prostitute, i samaritani, i pubblicani cioè gli odiosi esattori delle tasse, i piccoli cioè gli ultimi, i poveri, i disarmati, i «pacifisti» cioè gli operatori di pace, gli assetati di giustizia, i miti, i puri di cuore, i malati, i disperati. Il Cristo cosmico, universale, non sopporta riduzioni culturali, filosofiche, figuriamoci geopolitiche. Il Cristo universale non appartiene al suo popolo, appartiene a tutti e tutti e ciascuno trascende. Si «identifica» in ognuno di noi e per questo è universale, ha condiviso la nostra condizione umana non l’identità di un gruppo etnico, di una setta, di una civiltà”.

Alla luce delle parole di Giuntella si possono comprendere nella giusta prospettiva quelle di Papa Francesco quando, intervistato da Eugenio Scalfari, ebbe ad affermare: “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore”. Il Papa intendeva richiamare l’attenzione sulle Persone della SS. Trinità e mettere in guardia dalla esclusività dogmatica, giuridica e moralistica di una malintesa identità cristiana. Se si crede che Gesù sia “cattolico” nel senso che è monopolio dei cattolici e solo con essi si identifica (quasi che si sia incarnato per salvare solo loro, solo quelli che lo accettano) si nega che sia il salvatore di ogni persona umana. Invece, cattolica (universale) è la missione della Chiesa che tutti è disposta ad accogliere e per questo – solo per questo – è cattolica.

Se dunque di una identità si vuole parlare essa è specificamente quella costituita dallo stile di vita di uomini e donne trasformati a misura del Discorso della Montagna: essi, per grazia ricevuta e accolta, possiedono la capacità di amore (anche verso i nemici) il cui frutto è la disponibilità al perdono. Quindi, sono soprattutto le persone, i convertiti, i testimoni a costituire l’identità cristiana. Senza voler assolutamente disdegnare e tantomeno escludere l’immenso patrimonio teologico, filosofico, letterario e artistico cristiano che ha impreziosito la Storia. I cristiani sono un servizio ai pagani, ai lontani, agli indifferenti, agli agnostici, agli avversari politici, al mondo. Essi esistono (cfr. la “Lettera a Diogneto”) affinché il loro modo di vivere interroghi e “inquieti” i non credenti e, senza proselitismo, li attiri a Cristo.

Se da Giuntella saliamo ad Urs von Balthasar e al suo noto e discusso libro “Cordula, ovverosia il caso serio”, Ed. Queriniana) troviamo: “… ogni inviato deve prima essere stato solo dinanzi a Dio. Nessuno può essere inviato se prima non ha rimesso tutto completamente in Dio, in piena libertà, così come un morente, che peraltro lo deve fare per forza. Solo se per principio tutto è offerto e sacrificato, se Dio è libero di scegliere ciò che vuole nel credente, senza riserve da parte sua, può aver luogo una missione cristiana. Solo da questo punto dell’incontro con il Dio che muore, può infatti maturare un frutto cristiano da un’esistenza di fede. Questo è sempre un frutto dell’amore, ma fondato sull’offerta che l’uomo fa di se stesso. È quindi impossibile, nell’incontro con la croce, portare con sé come condizione l’amore del prossimo quale viene concepito sul piano naturale. In quell’incontro non sono possibili condizioni di nessun genere che un uomo possa porre relativamente agli altri uomini. L’amore cristiano del prossimo è piuttosto il risultato del suo sacrificio, così come Dio Padre fa servire alla redenzione dell’umanità il sacrificio del Figlio abbandonato”.

Per quanto sopra, i cristiani, anche in politica, sono tali se – sempre per grazia – sono pronti a soffrire e a perdonare. E c’è molto da soffrire: diffamazioni e calunnie, irrisioni ed emarginazioni, incomprensioni pregiudiziali e silenzi imposti, svalutazioni e ostilità a tutti i livelli. In Italia non si arriva (ancora) al sangue ma non va dimenticato che esiste un martirio “bianco”, lo stesso che fu della Vergine Maria madre di Gesù.

C’è da soffrire anche per accogliere le migliaia di migranti che sbarcano sul nostro suolo: tanti fuggono da guerre e persecuzioni, tanti altri perché su internet hanno visto l’impensabile e l’inimmaginabile rispetto alle loro terre. C’è da rinunciare a qualche nostra comodità perché siano trattati con rispetto ed abbiano da mangiare e da vestirsi; c’è da avere meno soldi per aperitivi, vacanze, acquisti (spesso compulsivi …) on line per dare loro istruzione e possibilità di lavoro. C’è da pagare di più la benzina, il pane, la frutta, la verdura, i libri di scuola e le medicine perché accoglierli costa: tantissimo. C’è da sopportare e respingere l’adagio che strangola i nostri cuori e nega la fratellanza: “Prima gli italiani!”.

Desidero sgombrare il campo da un possibile fraintendimento. Sto forse sognando e promuovendo un partito di “santi”, di perfetti, di impeccabili, di anime tutte candide? Un partito di élite che richieda ben più che il certificato di battesimo e la commendatizia di un vescovo? Un partito di persone tronfie della propria altezza morale e religiosa che spocchiosamente si arrocchino sul loro Aventino politico puntando il dito accusatore su chi non la pensa come loro? NO! Certo che no! NO! Tutti siamo chiamati a riconoscere, con benevola autoironia, i nostri limiti: a maggior ragione, i cristiani non devono scordare mai la differenza che li separa dal loro Maestro alla cui sequela hanno accettato di porsi. Ma altro è fare dopo “spallucce”, come a dire: “Beh, mica posso essere un santo, no?” altro è desiderare e pregare (ad esempio): “Signore, io desidero essere santo perché che io lo sia è quello che Tu desideri e per cui Tu ti sei offerto sulla croce. Se è Tua volontà, fa di me un santo. Compi l’opera che hai iniziato col Battesimo. Fa che la mia scelta politica e le mie prassi concrete siano in linea con la Tua volontà. Dammi pazienza con gli avversari politici e donami l’intelligenza e la serenità di collaborare con quelli che non credono in Te ma che sono miei fratelli, da Te amati. Dammi il gusto del dialogo e della relazione sincera. Consolami nelle prove e nei momenti in cui tutto mi appare nero e doloroso. Amen”.

Ho aderito ad INSIEME proprio perché è un partito aperto a tutti coloro che, da credenti e no, perlomeno ammirano e anelano ad una statura morale e politica non in contrasto con le virtù delle Beatitudini. Quanto sia possibile costruire su queste basi lo dimostrano i primi 12 articoli della nostra Costituzione. Sono i princìpi fondamentali scritti dai padri costituenti: 75 personalità di spicco della politica e della cultura italiana capaci di esprimere un testo meraviglioso pur nella diversità delle loro appartenenze politico-religiose. Un testo laico eppure condivisibilissimo da parte dei cattolici.

Non credo che capiti solo a me ricevere una risentita obiezione: “Ah, non ti piace la Destra? Sei “rosso”? Oppure ti piacciono il voto di testimonianza e l’insignificanza politica? Perché, o di qua o di là: il resto è fuffa!”. Di questi tempi rispondo che non mi piacciono nemmeno Renzi e Calenda, ai quali tuttavia attribuisco l’effimero merito di aver resuscitato politicamente la parola “Centro” senza appendici. Faccio una gran fatica a parlare di INSIEME: pochi lo conoscono ma dopo un po’ qualcuno ha una crisi catartica e si mostra contento di potersi finalmente sfogare delle segrete delusioni e della nausea di dover continuare a votare o “di là” o “di qua”, ignorando l’alternativa possibile.

Non ho attitudini, cultura e competenze politiche: sono ammirato degli articoli che leggo su POLITICA INSIEME.

La politica è l’arte del possibile” ripeteva mio padre che la politica la seguiva e la capiva. Ma è anche l’arte del cercare e perseguire il bene comune. Se un giorno diventerò cristiano, senza usurparne il nome, forse anche io diventerò politicamente-corretto (nell’accezione migliore).

Roberto Leonardi

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