Sono in molti a ribadire che occorre una “nuova Europa”, ma ben pochi articolano questo auspicio con proposte concrete. Desideriamo qui aprire un dibattito su vari fronti, iniziando dalla dimensione sociale. Premesso che l’Europa è anche così l’area al mondo con il miglior sistema sociale, per migliorare si potrebbe agire su due fronti:

  1. Interventi di manutenzione dell’esistente.
  2. a) Ogni nazione ha un welfare state più o meno avanzato, lasciato però nel suo disegno ai singoli stati, con pronunciate differenze, non sempre accettabili. Si potrebbe concordare uno schema di welfare di base per tutti i cittadini europei, da complementare con misure aggiuntive da parte di stati e regioni
  3. b) Esiste in ogni nazione un largo ammontare di imprese cooperative, sociali, non profit. Solo in un caso la UE ha proposto uno statuto di cooperativa europea (2003), ma anche qui si potrebbe fare meglio, per esempio varando uno statuto delle società benefit e delle imprese sociali.
  4. c) La solidarietà inter-governativa sta già oggi alla base dei fondi strutturali, volti ad impedire il peggioramento di regioni europee in difficoltà. Si potrebbero legare questi fondi al rispetto dei diritti umani e all’effettivo utilizzo “sociale” dei risultati, penalizzando chi spreca risorse e non collabora con gli altri membri.
  5. d) L’Europa è già oggi l’area al mondo che maggiormente si adopera per controllare i perversi effetti ambientali dei nostri stili di produzione e di consumo, ma anche qui si potrebbero sistematizzare meglio le varie politiche in atto, con importanti effetti sinergici.
  6. Interventi innovativi. Le aree del sociale in cui innovare sono tantissime. Mi concentro qui su quattro, che considero prioritarie:
  7. Un piano anti-povertà, contro disoccupazione e degrado delle periferie. Si può aprire una consultazione (come la UE ha fatto in altri campi) su come realizzarlo, includendovi l’istruzione professionale e l’upgrading del capitale umano a fronte dell’attuale necessità di elevare il capitale umano dei cittadini europei, per poter fronteggiare la quarta rivoluzione industriale
  8. Un piano di armonizzazione vita-lavoro. Ormai il lavoro delle donne è un’acquisizione di giustizia e dignità irreversibile, ma non deve andare contro lo sviluppo demografico. Si impari dalle “best practices” esistenti, che vanno estese, per rendere la vita delle donne meno infelice e contrastare l’inverno demografico dell’Europa.

III. Un codice di condotta obbligatorio per le corporations che agiscono all’interno della UE, che rispetti i diritti fondamentali dei lavoratori e il pagamento delle tasse ai governi, chiudendo i paradisi fiscali e limitando la competizione fiscale fra stati della UE. La competizione si deve basare sulla tecnologia e sulla creatività, che sono in grado di aumentare il benessere di tutti. All’interno dell’Europa si devono evitare invece i “giochi a somma zero”, ossia le politiche che tolgono ad alcuni per dare ad altri. Già l’euro è andato in questa direzione, evitando le svalutazioni competitive; ora occorre agire anche sulla finanza e sul fisco.

  1. Il consolidamento di Frontex per i confini della UE, con una nuova legislazione nei confronti delle migrazioni. L’Unione Europea ha i suoi confini esterni, che devono essere difesi dall’intera Unione, ma si deve prendere atto che alcuni confini sono facili da presidiare (quelli a ovest e a nord), mentre altri non sono così facilmente controllabili (quelli a est e soprattutto a sud), un problema che deve essere congiuntamente affrontato, con adeguati mezzi.

In conclusione, va messo in solaio il liberismo estremo che ha imperversato in questi ultimi decenni e le politiche economiche devono tornare a far sentire la loro voce per il bene dei cittadini, a patto che anche la politica si rinnovi ed esca dai circoli viziosi dei provvedimenti tampone e della distribuzione di sussidi. L’UE deve ridiventare capace di progettare il futuro, come lo è stata in passato, promuovendo il bene di tutti i membri in un “gioco a somma positiva” che ci riporterà su un sentiero economico sostenibile. Non dobbiamo dimenticare che l’Europa politica ha cominciato ad esistere solo con la CECA nel 1951 e da allora è stata capace di grandi passi in avanti e di grandi riforme. Perché mai abbassare ora gli sguardi solo sul presente, disperdendo le forze nel vano tentativo di tirare dalla propria parte una coperta troppo corta?

Vera Negri Zamagni

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