E ci sforzassimo poi di capire quello che i cattolici democratici possono schiettamente offrire, secondo la specificità della loro cultura politica, al Paese in questa fase complessa della sua vicenda storica, senza indulgere alla suggestione di parole che il tempo e l’uso, ancor più l’abuso, che ne abbiamo fatto hanno, per più aspetti, appesantito e corroso?
Dove sta scritto che le posizioni espresse da chi cerca di assumere il riferimento al valore umano, inalienabile e trascendente, della persona, come timone della propria azione politica, debbano essere “moderate” a prescindere?
Se così – per forza di cose, per un supposto ruolo di conciliazione che volessimo far nostro ad ogni costo per quanto non ci competa più essere il baricentro del Paese – dovesse essere, la “moderazione”, assunta come norma necessaria ed inossidabile del nostro “pensare politicamente”, anziché l’oraziana giusta “via di mezzo”, non scivolerebbe, invece, sì verso un’ “aurea mediocritas”, ma nel senso grigio, banale e spregiativo del termine ?
E’ difficile – per quanto comunemente lo si voglia negare – sottrarsi al pregiudizio che il “centro” sia, ad ogni modo, una sorta di luogo geometrico interposto tra due polarità, cosicché non abbia, di fatto, una sua consistenza effettiva, nella misura in cui la sua posizione e’, almeno teoricamente, incerta e malsicura in quanto sostanzialmente indotta dalla dislocazione che, di volta in volta, assumono le ali estreme dello schieramento.
Peraltro, se aveva senso parlare di centro e di polarità’ opposte quando il nostro sistema politico era sostanzialmente stabile ed esattamente definibile secondo la figura dell’arco parlamentare, oggi – per quanto “destra” e “sinistra” continuino, beninteso, ad esistere, eccome…- non assomiglia piuttosto ad una “rete”, cioè un costrutto in cui il centro sta dappertutto e, nel contempo, da nessuna parte?
Un conto è la continuità di un pensiero politico consolidato nel tempo eppure da sviluppare costantemente, altra cosa la cristallizzazione di abiti mentali desunti dalle contingenze di una particolare e specifica fase politica.
Di questi dobbiamo liberarci se vogliamo sprigionare una creatività nuova.
Preoccupiamoci, piuttosto, di affermare e rivendicare la nostra originalità e la nostra autonomia di giudizio.
Preoccupiamoci di accompagnarla con le competenze necessarie a dar concretamente corpo, in termini di proposta politica, alle opinioni che esprimiamo.
Ed infine di sollecitare la formazione di una nuova classe politica di giovani, senza intralciare il loro cammino con sussulti di revanscismo di chi la sua parte l’ha già fatta.
Domenico Galbiati