Si discute affannosamente sulla manovra di bilancio ma, nelle prossime settimane,  tornerà di attualità un argomento altrettanto importante: la ratifica dell’adesione italiana al MES (“Meccanismo Europeo di Stabilità”) uno strumento detto anche “salva stati” che tutti i Parlamenti dell’Unione hanno già approvato e ratificato, ad eccezione dell’Italia.

Si tratta di un accordo, affiancato ai Trattati comunitari, che prevede prestiti ai paesi in difficoltà condizionato ad impegni da assumere, alla riduzione della spesa pubblica, al rientro graduale del debito eccessivo e ad alcune riforme.

In pratica: se un paese dell’Unione non riesce a pagare i titoli del proprio debito pubblico, il MES ne valuta la sostenibilità e li acquista ad un prezzo inferiore al valore, decurtando così il debito, previa severe e  ulteriori misure di controllo della spesa pubblica.

E’ già accaduto per Grecia, Spagna e Cipro (cento miliardi) e per attenuarne il rigore lo strumento è stato riformato con una nuova versione che, appunto, dev’essere ora ratificata. Manchiamo solo noi che in un primo tempo eravamo stati i promotori della riforma del MES. Dopo di che i partiti di centrodestra si sono opposti e Salvini è giunto a definire il fondo, pure riformato, come “ammazza stati”. La solita finezza.

Fino ad oggi la stessa presidente Meloni aveva rinviato il problema della ratifica in attesa di conoscere l’esito di un ricorso di alcuni parlamentari tedeschi, i soliti falchi, alla Corte di Karlsruhe in quanto ritenevano lo strumento riformato in modo “troppo poco vincolante” (!).

Nei giorni scorsi La Corte ha respinto il ricorso che il Parlamento tedesco aveva già ratificato e, di conseguenza, oggi l’Italia è l’unico Paese dell’Unione a non averlo ancora fatto.

Il rischio dell’isolamento non è di poco conto. Tanto più che la presidente Meloni ha appena dichiarato in Parlamento, a proposito di Ucraina, “che l’Italia rispetta gli impegni europei ed atlantici”. Una presa di posizione importante che si misurerà sui fatti concreti e non certo sulle parole.

Ecco allora che si presenta l’alternativa del diavolo per il governo e la maggioranza: se procedono alla ratifica smentiscono le promesse elettorali gridate sulle piazze; se non procedono saremo considerati tra quelli che non mantengono gli impegni, con quanto ne potrà conseguire, comprese le erogazioni dei finanziamenti europei.

Senza tener conto che prima o poi tornerà da attualità anche il Patto di Stabilità, sospeso per il Covid, e che prevede il limite del tre per cento e l’obbiettivo del sessanta per cento rispettivamente per i rapporti tra deficit e debito pubblico e PIL per preservarci dalle tempeste finanziarie.

La strada insomma è in salita per il Governo e a quanto pare turba i sonni del ministro Giorgetti.  Rispettare entro marzo gli impegni presi sarà decisivo, considerato anche che nello stesso mese scadranno 65 miliardi di titoli del debito pubblico e la Banca Centrale Europea non solo ha alzato i tassi ma non compererà più titoli italiani e i mercati hanno già alzato le antenne.

Ancora una volta la politica si rivela un dato di realtà troppe volte rifiutato.

Guido Puccio

 

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