Per la Giornata della Pace 2023 papa Francesco ci invita a considerare la profonda interconnessione che esiste fra le varie crisi: politico-militari, economiche, sociali, sanitarie, ambientali. La presunta inevitabilità della guerra nasce da qui, da strategie e aspirazioni sulle questioni fondamentali, incompatibili con la verità e la giustizia. L’interesse di pochissimi contro il bene comune.

Parlare di pace in tempo di guerra non è semplice. Perché l’informazione è informazione di guerra, un’arma come le altre da usare contro il nemico di turno. Il dibattito politico nazionale deve rispondere innanzitutto ai doveri che derivano dall’appartenenza al sistema di alleanze internazionali in cui l’Italia è inserita. Le decisioni su fino a che punto spingere lo scontro con la Russia, oppure sul momento del cessate il fuoco in Ucraina, non appartengono allo Stato italiano bensì a quei poteri che detengono la sovranità in Occidente.

Tali poteri appaiono profondamente divisi, spaccati in due principali fazioni. Da una parte coloro che non si accontentano dei risultati raggiunti sinora, dopo otto anni di guerra nei territori russofoni dell’Ucraina: aver spezzato i forti legami economici fra la Germania – e il resto dell’UE – e la Russia e aver logorato la Russia, facendola impegnare direttamente in un nuovo fronte militare. Questa fazione non fa mistero di puntare alla disgregazione della Federazione Russa, considerata un enorme ostacolo all’instaurazione di un governo mondiale, retto, in sostanza, dallo 0,1% della popolazione più ricca, dai miliardari globali.

L’altra fazione in seno al potere americano e occidentale è quella che in qualche modo considera inevitabile l’ascesa di altre potenze mondiali, e appare disposta a definire con esse una coesistenza pacifica, cercando di spuntare le migliori condizioni per l’Occidente.

Con realismo va considerato che gli sviluppi della guerra in Ucraina, verso una pace possibile o verso una ulteriore escalation dagli esiti imprevedibili, dipenderanno in misura decisiva non da cosa farà la Russia (che è stata messa con le spalle al muro, o difendersi fino all’ultimo o sparire) bensì da quale fazione prenderà il sopravvento negli equilibri del potere occidentale.

In un secolo caratterizzato dall’emergere di nuove potenze economiche e di alleanze internazionali (come i BRICS o la SCO, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che sta divenendo una sorta di NATO asiatica) diverse e autonome dall’Occidente la parola “pace” ha un senso se la si coniuga con questa mutata realtà.

Un mondo dove i principali blocchi economici e militari collaborano in una logica di reciproco vantaggio, win-win, è possibile. Ma per realizzarlo l’Occidente non solo deve rinunciare all’unipolarismo (anglo-americano o franco-tedesco che sia) ma anche al multilateralismo. Multilateralismo e multipolarismo non sono affatto sinonimi ma esprimono visioni radicalmente diverse. Il concetto di multilateralismo viene perlopiù visto nel resto del mondo come un escamotage con il quale l’Occidente cerca di riproporre la propria supremazia.

Serve invece l’accettazione del concetto di multipolarismo il quale implica il riconoscimento del fatto che il mondo del XXI secolo è un mondo nel quale diversi e autonomi sistemi regionali sovrani concorrono, con pari dignità, alla definizione della politica mondiale.

Questa è anche la vera posta in gioco nella, altrimenti evitabilissima, guerra in Ucraina.

In un mondo in cui stanno aumentando le disuguaglianze come mai in passato, i super-ricchi, usurpando il potere nelle nazioni occidentali e attraverso un uso distorto delle nuove tecnologie, puntano a creare un governo globale contro il resto dell’umanità, a prescindere dal riconoscimento dell’essere umano come persona e dal diritto naturale.

Più dei tre quarti della storia di questo secolo è ancora da scrivere. Solo una tempestiva affermazione del multipolarismo come metodo nelle relazioni internazionali potrà garantire che le tante pagine ancora bianche non verranno tinte dal colore del sangue di conflitti pluridecennali e di una disgregazione economica e sociale che rischia di avere proprio nella nostra Europa, già ora teatro di battaglia, il suo epicentro.

Anche in questo senso credo che i cattolici impegnati in politica, assieme a tutti gli uomini di buona volontà, debbano accogliere l’invito del Pontefice nel suo messaggio per la Giornata della Pace, a far fronte alle sfide del mondo con responsabilità.

Giuseppe Davicino

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)

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