Se mai ce ne fosse ancora bisogno, anche le considerazioni che Silvio Berlusconi ha sviluppato sul “Corriere” di domenica 26 dicembre ( CLICCA QUI ) stanno a dimostrare come la contrapposizione bipolare tra due  schieramenti, oltre a risultare ferale per la rappresentanza democratica e per la governabilità, sia incapace di dar conto dello spettro di culture politiche che hanno attraversato la storia italiana e che, al di là di ogni superficiale apparenza, tuttora la abitano e l’arricchiscono.

Francamente, non si capisce come l’asserita vocazione liberale, cristiana, europeista e garantista che rappresenterebbe la “cifra” propria di Forza Italia, secondo chi l’ha creata e  tuttora la possiede,  possa convivere con il sovranismo e la demagogia “patriottarda” di chi vuole disfare l’Italia, con il populismo, con la sciatteria antieuropeista, con la xenofobia, se non peggio, con la grettezza morale dei respingimenti in mare, con la riduzione della politica a propaganda ed i toni rozzi, a tratti incivili, di Salvini e della stessa Meloni.

Un insieme di fattori che, per molti aspetti, merita anzitutto una sanzione anche di carattere etico da parte di chi si riconosca in una cultura cattolico-liberale e, nel loro complesso, segnalano un pericoloso deficit d’intelligenza politica, la totale incapacità di coltivare una visione di lungo termine per proiettare, così, la propria azione politica appena un palmo oltre il proprio naso.

Del resto, se non lo capiscono i dirigenti,  l’hanno capito gli elettori che hanno largamente abbandonato Forza Italia la quale, nata e fortemente insediata nei territori più produttivi del Paese, ha dovuto cedere alla Lega la guida di tutte le Regioni del Nord.

La pur modesta ripresa di consenso elettorale che Berlusconi segnala e da cui, a quanto pare, si sente incoraggiato a riproporre un ruolo-guida del suo partito – ma pur sempre abbracciato ai due comprimari di cui sopra e, senza spiegare, come ciò potrebbe avvenire – non è forse in relazione a quel po’ di distanziamento da Salvini cui Berlusconi ha, perlomeno, accennato nelle ultime settimane?

Ad ogni modo, qui non si tratta di entrare nel merito dei programmi o dei contenuti avanzati dall’uno o dall’altro dei due schieramenti, bensì di valutare come ambedue concorrano, concordemente, a disegnare un’impalcatura del nostro sistema politico che condanna se stesso ad una sostanziale impotenza, nella misura in cui scivola via sulla realtà del Paese senza aderirvi.

Con l’ aggravante di  una obbligata e reciproca impermeabilità,  tale per cui l’unico linguaggio praticabile, dagli uni e dagli altri, è ispirato ad una incomunicabilità pregiudiziale che diventa addirittura “identitaria” per ciascuno dei due e, pertanto, esclude ogni possibile e sia pure temporanea mitigazione del conflitto perfino quando – ad esempio, in un momento d’emergenza come l’attuale – l’interesse generale del Paese lo imporrebbe.

Ovvio, quindi, che neppure siano ipotizzabili governi di unità nazionale, da chiunque condotti. Del resto, come sosteneva Martinazzoli non ci sono “liberatori”, ma solo uomini che si liberano. Occorrerebbe, dunque, un’azione corale, più vasta, diretta a trasformare un sistema politico involuto ed inceppato. 

La responsabilità è di tutti e di ciascuno e da qualche parte bisognerà pur cominciare. Le differenze di pensiero, di cultura, di impostazione politica tra varie forze sono vitali quando vengono palesate ed affrontate a viso aperto.

Diventano esiziali quando si pretende di incartarle o di nascondere sotto il tappeto, cosicché la politica si condanna da sé e si restringe a mera contesa di potere. A quel punto, a confrontarsi non sono più partiti o sia pure “alleanze”, ma puri e semplici aggregati elettorali.

Scontiamo i danni di una polarizzazione che non rispecchia l’articolata realtà del Paese, a maggior ragione nella misura in cui ciascuno dei due poli, a sua volta, mostra un ulteriore polarizzazione interna, come in un inconcludente  gioco di matriosche che allude ad una reciproca annichilazione di culture politiche, pur consolidate e nobili. E’ successo nel centrosinistra dove la fusione attesa tra la cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare e quella di derivazione marxista è del tutto mancata, come non era difficile prevedere da parte di chi non avesse pregiudizialmente chiuso gli occhi.

Le considerazioni in oggetto, come le abbiamo lette sul quotidiano milanese di Via Solferino,  in fondo, non adombrano, forse, il fatto che Berlusconi stesso avverta come le cose stiano così anche sul suo versante? C’e’ un punto di composizione possibile tra europeismo e sovranismo, tra chi fa conto di rifarsi alla CDU della Merkel e chi va a braccetto con la Le Pen? Tra chi non può negare una sia pur ragionata apertura a sentimenti di accoglienza e di solidarietà che appartengono all’asserita vocazione cristiana e chi, di fatto, salvo brandire rosari, li nega in radice?

Insomma, ambedue gli schieramenti dovrebbero prendere coscienza delle loro intrinseche contraddizioni che, oltre un certa misura, non si possono più scotomizzare. Del resto, i limiti del Governo in carica non sono forse dovuti, anzitutto, alla aleatorietà di un’alleanza impensabile se commisurata alle culture politiche contraenti?

E’ necessario disarticolare un sistema anchilosato e rendergli quella elasticità di rapporti che appartiene strutturalmente al concetto degasperiano di “coalizione”, se vogliamo restituire al Paese il “baricentro” di cui ha bisogno in Parlamento e fuori, nella libera articolazione dialettica delle culture politiche che vivono nella ricchezza plurale del nostro contesto civile.

Domenico Galbiati

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