A mano a mano che si attenua il clima acceso del momento elettorale, è opportuno riflettere piu’ a freddo e chiedersi, ad esempio, perché Salvini negli ultimi giorni della campagna – e poi subito dopo – abbia mostrato tanto interesse nei confronti del voto cattolico, salvo ricorrere a modalità francamente irricevibili per chi abbia un elementare rispetto della propria fede e non accetti quindi di vederla banalizzata e ridotta ad “instrumentum regni”.
Non si può rispondere solo con lo sdegno e l’invettiva perché, a nostra volta, banalizzeremmo e quindi faremmo velo ad una comprensione meno epidermica di questo atteggiamento che non è affatto da sottovalutare.
La fede personale di Salvini merita rispetto e su questo “nulla quaestio”.
Qui si discute piuttosto della sua esibizione plateale e del tutto impropria nel contesto di un comizio elettorale, il che autorizza ovviamente a ritenere che la finalità fosse, anzitutto, di carattere propagandistico.
E già così non ci siamo.
Ma la reiterazione delle invocazioni a Maria, le critiche a Papa Francesco, la presunzione di distinguere tra un Pontefice e l’altro, l’affermare come il “prima gli italiani” non faccia una grinza con carità cristiana e solidarietà, per non ricordare Verona, sembra suggerire che ci sia dell’altro, come se Salvini si sentisse depositario di un alto magistero che lo autorizza ad usare la religione in chiave identitaria ed i cattolici come nucleo attorno cui aggregare un blocco d’ordine.
Si rivolge ai cattolici, ma mostra di non sapere nulla in ordine al percorso che li ha addestrati a distinguere il piano della fede da quello della politica, superando sul campo, nell’esercizio concreto dello loro responsabilità civile, quel “clericalismo” che oggi appartiene, se mai, a vecchie e nuove ideologie.
Vorrebbe sospingerci indietro, farci percorrere a ritroso quel cammino che ha reso possibile lo straordinario contributo che la cultura del cattolicesimo democratico ha dato alla libertà ed alla democrazia del nostro Paese.
Vorrebbe turlupinarli e, secondo la più classica posizione laicista, vorrebbe che i cattolici tornassero a vivere la loro fede nello spazio interiore della loro coscienza, senza disturbare i Capitani che guidano impavidi il corso della Storia.
La Lega sovranista sta cercando di modificare il carattere morale di fondo degli italiani.
Soffiare sul fuoco delle paure, seminare inquietudine, enfatizzare minacce d’invasione, di inquinamento etnico, di attentato allo storico patrimonio religioso e culturale del Paese diventa funzionale a delineare una sorta di “italiano nuovo”, armato di diffidenza, guardingo, circospetto, sospettoso, sempre all’erta ed ostile, arroccato nei suoi timori, ingessato sulla difensiva, proiettato alla ricerca di un capro espiatorio.
Un italiano incattivito e duro, ma di fatto insicuro e scosso, bifronte senza saperlo perche’ camuffa sotto una scorza metallica quella sostanziale debolezza interiore che lo espone al ricatto emotivo dell’uomo forte di turno.
Sembra riemergere, in altra forma, la “mistica” pagana delle ampolle colme di acqua sorgiva attinta alla fonte del dio Po. Una “mistica” scivolosa come tutto ciò che confonde sacro e profano e che non si accontenta del voto, ma vuole occupare il cuore e la mente degli italiani, magari a cominciare dai credenti.
Senonche’ questi “facitori” di un uomo nuovo che compaiono sulla scena nelle fasi storiche di crisi e di transizione nascondono il pericolo di una deriva autoritaria di cui loro stessi forse non sono del tutto consapevoli.
Recitano una parte che via via li conquista e li cattura, li trasforma nel monumento di se stessi e si crea, nel rapporto senza mediazioni tra capo e popolo, uno scambio biunivoco in cui e’ difficile dire quale dei due flussi prevalga sull’altro.
Infatti, se per un verso il carisma rassicurante del Capo plasma la massa, per altro verso, il belato accondiscendente del gregge alimenta il suo “Io” già di per sé ipertrofica e lo manda del tutto fuori misura.
Fortunatamente, per lo più – ma non è detto che sia sempre così – queste parabole, nella società globale della comunicazione, evolvono come un bubbone che giunge presto a maturazione e poi implode.
Resta il fatto che i cattolici devono sottrarsi alla suggestione di scambiare una difesa “secolare” dei valori in cui credono con il venire arruolati ed inquadrati come manipoli in un informe e grigio blocco d’ordine.
Ritenuti persone pacate e prudenti, di buon senso e moderate, inclini al rispetto dell’autorità, tendenzialmente conservatrici, non devono dimenticare il seme di verità che li abita, connaturato a quella libertà interiore che il dono della fede costantemente nutre e da cui deriva quella responsabilità personale e collettiva da cui non possono decampare, neanche sul piano civile e politico.
Sono piuttosto chiamati, da minoranza attiva, a recare schiettamente, senza remore, senza timori reverenziali nei confronti di nessun potere, un contributo di autonomia critica, di competenza, di consapevolezza alla costruzione di un orizzonte di senso e di speranza ancora possibile.
Domenico Galbiati

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