Ritrovarci domattina a Brescia ( CLICCA QUI )significa anche ricordare Mino Martinazzoli e l’ammonimento che spesso suggeriva: “Non ci sono liberatori, ma solo uomini che si liberano”.

Detta in tutt’altro contesto, pur si tratta di un’ affermazione che, se non fosse per l’alta statura politica e morale del Presidente Draghi, dovrebbe, in questo particolare frangente della vita del nostro Paese, risuonare nei nostri pensieri come un allarme.

Lo stato di prostrazione di un sistema politico decotto è tale da permettere che venga avanzata l’ipotesi – o addirittura la suadente proposta – di una soluzione “gollista” per restituire all’Italia l’equilibrio politico che maggioritario e bipolarismo hanno irrimediabilmente eroso fino alla consunzione ( CLICCA QUI ).

Ci sono anche da noi ambienti che cercano di saggiare il terreno per valutare se e fino a che punto si possa cogliere l’occasione per liquidare, di fatto, i partiti, mettere, perlomeno, in stand-bay la democrazia rappresentativa, ridurre il Parlamento ad “aula sorda e grigia”, così da dirottare  la “sovranità”, sia pure con  manovre morbide ed indolori che non ne alterino la facciata, dalla sua appartenenza, costituzionalmente garantita, al “popolo”, verso altri lidi ?

Il Paese ha bisogno di andare incontro ad una reale trasformazione del suo sistema politico e piuttosto che di un “centro”, nel senso classico del termine, cioè di un soggetto politico che, di sguincio, si intrufoli tra i due poli, ha bisogno di un “baricentro”. Di un “attrattore”, di un forte punto di aggregazione attorno a cui ricomporre, quasi per gravitazione, le sue membra sparse.

Si tratta, ad un tempo, di una questione di metodo ed insieme di merito. Occorre che la politica, meno ossessionata dal demone del potere, riscopra il suo compito di verità, la smarrita capacità di avanzare contenuti che rispondano non alle ubbie ideologiche di turno, ma alla reale condizione popolare del Paese. Ed occorre soprattutto che abbandoni la pretesa autoreferenziale che da troppo tempo la sovrasta e la snatura, assumendo, al contrario, quel tanto di umiltà che permetta di restituire alla capacità critica, all’ autonomia di giudizio, in una parola alla piena libertà degli italiani, l’indirizzo da imprimere alla vita del Paese.

Abbiamo bisogno di forze politiche che, anziché ingrottarsi le une nelle altre, cercando tutt’al più di fagocitarsi a vicenda – come sta succedendo in Lombardia – siano in grado di mostrare una cultura e mettere in campo una visione, dato che solo a tale livello, sul piano di una prospettiva ampia,  di medio-lungo termine e non certo per  pronunciamenti referendari occasionali e disaggregati, può maturare una effettiva, motivata, perfino appassionata partecipazione alla vita democratica.

Per parte nostra, per ciò che concerne il versante culturale in cui ci riconosciamo, sappiamo di non bastare da soli a tale impresa, ma avvertiamo il dovere di concorrere a rimettere in campo quella cultura politica del cattolicesimo democratico che, come nessun altra,  è in grado di avanzare – secondo la dimensione, ad un tempo personalista e popolare del suo convincimento – un principio di responsabilità che, fatto proprio, da ciascuno può riassorbire la cosiddetta società “liquida” in un nuovo  disegno di cittadinanza attiva.

E’ giunto il momento di quella “stagione dei doveri” che non possono essere delegati ad un soggetto generale, sostanzialmente anonimo ed indistinto, qual è lo stesso corpo sociale, ma, piuttosto, fatti propri da ognuno, personalmente, secondo quel monito accorato, quasi ultimativo del Presidente Moro che anche anche Martinazzoli ha più volte richiamato.

Domenico Galbiati

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