Prende il via una settimana decisiva – forse “la” settimana decisiva – per l’ elezione del nuovo Capo dello Stato. Le forze politiche riuniscono i loro organi direttivi o addirittura i gruppi parlamentari. Bisogna che stiano attente, molto attente e soppesino bene le loro mosse nei prossimi giorni. Quando ci si muove su un terreno scivoloso, ogni gesto rischia di andare oltre o addirittura tradire l’intenzione originaria che lo muove, fino a produrre effetti irreversibili, talvolta perfino indesiderati, nella misura in cui può innescare, negli altri interlocutori, reazioni impreviste oppure, a loro volta, sopra le righe.

L’elezione del Presidente della Repubblica è l’atto più solenne della nostra vita democratica ed istituzionale. Non c’è da sorprendersi se la politica vi ravvisi il momento in cui scopre o rispolvera la sua indomabile “animalita’”, nel senso buono del termine, che pure non esclude, al contrario, una possibile declinazione deteriore. Il fascino della politica è dato dal suo essere un concentrato della vita e non, come molti pensano, quella morta gora che, al contrario, la soffoca e la nega.

A voler essere sereni ed oggettivi, se ci liberassimo della ripetizione pedissequa di luoghi comuni e di abusati clichè, a prescindere dal discredito di cui soffre, al di là del distacco e del sospetto con cui la osservano coloro che pensano di giudicarla da fuori, da “non addetti ai lavori”, inconsapevoli dell’ inveterato pregiudizio che li muove, la politica assomiglia alla vita di tutti i giorni – e fortunatamente è così – ben più di quanto siamo disposti ad ammettere. Ripete, mima e simula, riproduce ed imita abiti mentali, atteggiamenti, posture che appartengono a ciascuno di noi, anche se,  in quel particolare contesto, vengono rese in termini più crudi e talvolta estremi. Non a caso la politica può essere bieca oppure sontuosa e può succedere che il confine tra l’una e l’altra di queste due attitudini sia ben più sottile e permeabile di quanto si creda.

Ad ogni modo, il proscenio su cui si recita l’elezione della più alta Magistratura della Stato, è il terreno ideale perché un leader, se c’è, si manifesti. E, ad un tempo, rappresenta il momento in cui un intero apparato politico-istituzionale mostra se sia o meno in grado di reggere la sfida del momento storico che gli tocca vivere ed interpretare. In questo senso, la non-disponibilità di Sergio Mattarella ad accettare un secondo mandato presidenziale, assume, come fu al momento dell’incarico a Mario Draghi, anche il significato di un invito perentorio al sistema politico ed alle singole forze parlamentari che lo compongono perché si facciano carico della responsabilità che loro compete. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione, la quale riconosce le forze politiche come attori e protagonisti della rappresentanza popolare.

Viviamo un momento del tutto particolare. Il virus imperversa ed il governo rischia di perdere smalto. Anche sui due fronti della pandemia e dello stesso PNRR che sono in capo al suo programma. Quando la strada si fa impervia, è dura per tutti e la stessa autorevolezza di Draghi viene messa alla prova. E’ sempre più evidente come, ad esempio, i provvedimenti diretti a contenere il contagio debbano tener conto di mediazioni politiche che, per certi aspetti, non consentono che siano così netti ed univoci come si vorrebbe. Non basta più che Draghi decida. Anche il PNRR non va esente da critiche.

Stiano attenti i partiti, a questo punto, a non trascinare l’Italia – protraendo un giorno dopo l’altro, l’elezione del nuovo Capo dello Stato, in un clima disfatto di crescente irritazione e poi di allarme che il Paese non reggerebbe a lungo – sul ciglio di un baratro, da cui difficilmente potrebbero ritrarsi una volta presi dalla vertigine del vuoto. Un baratro o forse ancor peggio una palude.

Roma repubblicana si affidava alla guida collegiale di due “consoli” e prevedeva, in caso di pericolo, la magistratura straordinaria del “dictator”, decretata dal Senato. Altri tempi. E sbaglierebbe chi pensasse che questi nobili istituti dell’antichità classica, pur riadattati al pieno rispetto dei vincoli costituzionali e sia pure transitoriamente, possano, in qualche modo, riapparire sui sette fatali colli della Capitale.

Non c’è alcun artificio, né alcun alibi, nessuna emergenza, né studiate strategie dilatorie che consentano alle forze parlamentari di sfuggire – quasi la soffrissero come fosse un nodo scorsoio – alla stretta e alla responsabilità che le attende. Eppure, la perversa tendenza alla personalizzazione leaderistica della politica è talmente pervasiva e sintonica allo spirito di involuzione dei tempi, da ritenere – indifferentemente da esponenti dell’una o dell’altra parte – che i partiti possano sottrarsi al momento difficile scaricandolo sulle spalle larghe di Mattarella e poi anche di Draghi. E’ un cattivo vezzo cui non dobbiamo arrenderci per quanto stima si abbia nei loro confronti e per quanto si riconosca che, nelle more dell’attuale contingenza, nessuna altra soluzione sarebbe forse altrettanto efficace.

Solo che bisogna guardare agli effetti “sistemici” delle scelte che si compiono, non solo all’ immediatezza del momento. A maggior ragione nelle fasi in cui la difficoltà diviene davvero cruda, vanno difesi i fondamentali della politica. Vanno mantenute ferme lettera e spirito della Carta Costituzionale. Sarebbe grave prestare il fianco al tentativo di sfruttare la particolarità di questo complesso passaggio, per tentare surrettiziamente di introdurre , ad esempio evocando una qualche forma di “semipresidenzialismo”, una sostanziale distorsione del dettato costituzionale. Lo ha suggerito qualche tempo fa Giorgetti e giustamente una tale suggestione è stata respinta al mittente.

Le forze parlamentari facciano, dunque, la loro parte e, se mai, affrontino questo momento come una occasione per riscoprire il loro ruolo e riscattare la loro funzione. Insomma, stiamo attenti che dietro il “quieta non movere” di chi auspica il “tandem” Mattarella-Draghi non si nasconda l’ipocrisia di un sistema politico che, incartato nella propria inerzia, cerca di nascondere la propria inettitudine, anzi traendone spunto per confermare, con la loro compiaciuta complicità, una condizione di reciproco vantaggio che i due poli dello schieramento bipolare si scambiano volentieri.
Scenario già vissuto agli albori della seconda Repubblica, quando il fronte berlusconiano ed suoi più fieri avversari, così altamente ispirati da una intangibile e superiore moralità della politica, tutto mettevano in discussione, meno che la reciproca convenienza di coprirsi vicendevolmente nelle protettive coltri del bipolarismo maggioritario.

Rendiamoci conto che siamo in presenza, oggi, di un sistema politico che, un anno fa, ha costretto il Presidente della Repubblica a promuovere la formazione di un governo reso possibile solo sulla scorta della sua non-qualificazione politica. Il che configura una contraddizione che, a rifletterci un attimo, è impensabile: una politica possibile solo
sulla base della sua negazione.

L’elezione del nuovo Presidente è l’ immancabile occasione perché il nostro sistema politico mostri di saperci condurre fuori da questa malattia, anziché cronicizzarla.

Domenico Galbiati

About Author