Nel corso della giornata mondiale missionaria 2020, ho ripensato ad un grande missionario gesuita- poco conosciuto anche a Favara, nel suo paese d’origine- a cui ho dedicato un libro nella forma del diario memoriale:  “Salvatore Nobile, il nobile cuore di un missionario nell’India dei Santal Parganas” per l’Apostolato della Preghiera, Roma. Ne conservo un bellissimo ricordo, perché a presentarlo è stato per primo (nel 2007) -presso la sede vescovile di Prato- mons. Gastone Simoni.

Padre Nobile (1916-1990) è stato un grande costruttore d’amore che ha vissuto nello spirito delle parole di S. Paolo: “Sarò felice di spendere tutto quello che ho, e anche me stesso” (2,cor.12.15). Originario di Favara (Agrigento), egli rappresenta la tipica figura di un “pioniere delle missioni”, che ha portato assieme a molti altri confratelli (quelli che come lui venivano chiamati “i missionari di prima linea”) il messaggio del Vangelo alla più antica tribù aborigena dell’India sud-orientale: i Santal Parganas del Bengala d’oro.

“L’altro giorno per battezzare 58 persone ho impiegato due ore e mezzo. Li ho battezzati all’aperto, perché non c’era ancora una chiesa-capanna. E’ stato bello fare la cerimonia …Avevamo il cielo come tetto e questo ci trasmetteva un senso d’infinito”.

I suoi 56 anni passati in India sono stati intensi, colmi di instancabile apostolato pastorale, con una generosità e altruismo che ancora oggi nei luoghi in cui lui ha operato tutti gli riconoscono. Lui è ancora- per molti di loro- “baba Nobile” , un padre affettuoso che sapeva sempre essere veicolo d’amore.

“E’ stato nell’apostolato-scriveva nel febbraio 1979- che ho gustato le più intime gioie spirituali. La gente va a Cristo, per mezzo del missionario, nel cui cuore c’è l’ardente desiderio di portare a tutti il Vangelo”.

Padre Nobile ha fatto tanto per i Santals: ha dato a molti di loro un tetto; li ha aiutati a intraprendere piccole attività artigianali autonome; ha costruito chiese, cappelle, tabernacoli, realizzato scuole e orfanotrofi. Lo ha fatto con l’entusiasmo di quanto ancora diciottenne decise di partire per l’India.

Nella sua vita ha misurato, già in tenera età, il dolore dell’orfano; ha attraversato personalmente i tormenti della prigionia dei campi di concentramento, durante la seconda guerra mondiale; ha affrontato la sofferenza dei profughi provenienti dal Pakistan orientale: “parecchie città di frontiera sono state danneggiate dalle cannonate a lungo tiro; alle varie attività missionarie si è aggiunto ora il lavoro per questi profughi…..è gente che ha perduto tutto….alla fine della mia giornata mi metto a pregare perché torni la pace e i due popoli in guerra tornino ad amarsi come fratelli”; ha condiviso con la popolazione locale tante calamità di natura ostile, la povertà: “La povertà estrema è quando non si ha niente da mangiare. Di questi casi ce ne sono molti attorno a me. “

In qualsiasi circostanza ha affrontato le sue giornate con la volontà di Dio dentro il cuore, indirizzando ogni azione apostolica all’agire concreto in favore dei più bisognosi, senza rumore, con semplici gesti d’amore; rammaricandosi più volte di non poter fare molto di più.

“L’anno scorso (1971) ci sono state le alluvioni, quest’anno la siccità…Più sto in India e più ammiro il coraggio degli Indiani. Il Signore mi ha messo in questo posto per mostrare il mio amore verso chi soffre e io sono qui per Lui”

Non chiedeva a nessuno di che religione fosse. “Noi-scriveva nel marzo 1972- non li amiamo per convertirli al cristianesimo; li amiamo come nostri fratelli”.

In questo difficile impegno di grande costruttore d’amore ha potuto contare su persone che hanno amato in lui lo spirito di un pioniere della fede cristiana e che lo hanno aiutato economicamente con generosità. “Ci sono 123 famiglie cristiane nel villaggio. Se il Signore mi terrà ancora in vita, provvederò a dare ad ognuna di esse un tetto sicuro e chiamerò il villaggio con il ben nome arabo di Favara”. Lui amava definire le persone che lo aiutavano i missionari dietro le quinte (fra queste- quando ero studente universitario- c’ero anch’io).

Oggi- attraverso questo articolo- pongo all’attenzione questa “nobile” figura di missionario a cui sono particolarmente affezionato, facendo nostro “l’invito di Papa Francesco -per la giornata missionaria 2020-ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé”.

Nino Giordano

 

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