Chi non ha consensi da difendere, né voti da conquistare è nella condizione ideale per poter dire pane al pane e vino al vino. A fronte dell’opinabilità della politica, c’è pur sempre un dato di verità da rivendicare o meglio l’impegno ed il dovere, la fatica, non solo l’opportunità, di segnalare, quanto più oggettivamente sia possibile, lo stato realistico delle cose, i bisogni, le domande, le attese che sorgono nel contesto sociale.

Difficile dire in quale misura i temi che toccano da vicino la vita di tutti i giorni delle famiglie abbiano accoglienza ed ascolto in un discorso pubblico sempre più slabbrato, troppo spesso incline a toni sprezzanti, come se una violenza mal trattenuta fosse l’effettivo abito mentale di molti protagonisti del confronto politico. In realtà, confronto non ce n’è se non inteso quale rincorsa rabbiosa ad un potere che non preveda nessuna forma di ascolto reciproco, di argomentazione e di contraddittorio, ma piuttosto la detronizzazione dell’ avversario. Da una parte la ricerca, ormai smaccata ed ossessiva, della personalizzazione del potere, dall’altra, purtroppo, la totale inconsistenza di un’opposizione che sia minimamente in grado di offrire agli italiani una plausibile alternativa di ordine sociale, culturale e politico all’ attuale governo della destra.

Anche un fiumiciattolo tracima al primo temporale estivo se l’argine lo fiancheggia solo da un lato e l’altro è del tutto beante ed aperto alla campagna. In un sistema democratico il ruolo dell’opposizione è di fondamentale rilievo, ma se questa latita, non c’è neppure la soddisfazione di incolpare la maggioranza se straripa. Manca totalmente una comprensione adeguata della complessità del momento che non può essere governata né da una sinistra mutacica né dalle reminiscenze nostalgiche di una cultura nazionalista del tutto disassata rispetto alle categorie necessarie ad intendere la “cifra”, la specificità del frangente storico che attraversiamo.

Se osservata nel campo visivo della campagna elettorale così come la viviamo nel nostro paese, l’Europa appare lontana e fuori campo, appena una figura abbozzata e velata su un orizzonte remoto, priva di ogni “appeal” ideale, al di fuori di ogni visione che susciti, in particolare nelle giovani generazioni, la voglia, forse l’ entusiasmo di essere protagonisti del proprio avvenire Gli argomenti non mancano, ma sono usati come pretesti per accendere lo scontro, oggetti contundenti che gli schieramenti avversi si lanciano da una barricata all’altra. In mezzo ci sono gli italiani che vedono questi ordigni solcare il cielo sopra le loro teste ed odono le detonazioni esplodere nell’uno o nell’altro dei due campi trincerati.

Il premierato da una parte, il salario minimo dall’altra, la rivendicazione del super-bonus dall’altra ancora, i condoni e le mancette annunciate ora per allora, promesse a futura memoria: più che munizioni sono fuochi d’artificio che accompagnano questa sorta di guerra dei bottoni, combattuta sul fronte europeo, ma con lo sguardo rivolto al “bottino” da spendere sullo scacchiere nazionale.

Una competizione in cui l’obiettivo è sì vincere sul dirimpettaio, ma anche prevalere sull’ alleato, in un gioco di rimandi che altera anche quel tanto di limpido confronto che ciascuna forza, grazie al metodo elettorale proporzionale, potrebbe intrattenere con il proprio elettorato e, più in generale, con la pluralità delle correnti di pensiero che vivono nel Paese. Invece, si gioca preferibilmente allo scavalco l’uno dell’altro ed all’interdizione dell’interlocutore, pur sempre richiusi nella cinta daziaria di un mondo a parte e ristretto. C’è, però, un punto su cui tutti tacciono: la necessità di combattere l’alto tasso di astensione dal voto che rischia seriamente di riproporsi l’8 e il 9 giugno. Un silenzio pudico e timoroso, che solo l’appello chiaro e vigoroso del Presidente della Repubblica ha saputo rompere.

Per quanto concerne le forze politiche – tutte – siamo, invece, al paradosso per cui l’ elettorato o meglio la massa degli astenuti è vissuta come un pericolo da scongiurare. Non sia mai che i troppi italiani che hanno preso il vezzo di disertare le urne, si sognino di tornare ai seggi con il rischio di introdurre – vale per la maggioranza di governo, ma anche per le opposizioni – imponderabili variazione nei rapporti di forza fin qui più o meno consolidati.

Domenico Galbiati

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