Papa Francesco si rimette in cammino. Lo fa andando nel cuore del sovranismo europeo. Quello che pensa di risolvere i problemi epocali delle migrazioni solo innalzando muri e organizzando blocchi navali. E’ questa una risposta inadeguata e insufficiente. Valutazione comunque da esprimere consapevoli della complessità e delle conseguenze che un’analisi oggettiva comporta perché, come ha sempre detto l’attuale Pontefice oltre l’accoglienza, cui purtroppo è stato sempre strumentalmente limitato e ristretto il ragionamento, è necessario avviare progetti d’integrazione, nella oggettiva valutazione delle condizioni del paese ospitante e, in ogni casi, sulla base della certezza che dev’essere l’intera Europa ad affrontare coralmente la questione.

A Budapest, il Papa va evidentemente senza l’intenzione di fare alcun sconto al sovranismo. Sappiamo che Papa Francesco vedrà solo fugacemente, per quel minimo previsto dal protocollo in questo caso, il Presidente ungherese Orban che è giunto persino ad uscire dal Ppe per mantenere la propria posizione di netta chiusura nei confronti dell’ipotesi di costruire una posizione e un’operatività concreta europea comune. Papa Francesco sarà ufficialmente a Budapest per la chiusura del Congresso Eucaristico internazionale. Francesco finora non ha mai incontrato in udienza privata Orban.

Una posizione ferma, insomma, che riguarda anche tutte quelle posizioni analoghe, in Italia espresse da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, basate su una cultura egoistica che vede nel “diverso” un nemico e che, rispondendo con la retorica e la ricerca di un facile consenso, resta più una reazione istintiva cui manca una visione prospettica e progettuale.

Non basta dirsi cristiani per esserlo e metterlo in pratica, né è sufficiente la ricerca di un sostegno da parte degli uomini di Chiesa che non metta nel conto la necessità di avviare una riflessione autentica e rigenerante.

 

 

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