Si fa presto a dire “partito di programma”, oppure “alleanza programmatica o “coalizione” ma non basta. Il punto è pur sempre politico. Perché il programma si traduca in un’ azione politica efficace, è necessario sapere con chi e con quali alleanze gli si possa dare attuazione. Ed è qui il punto dirimente, come dimostra anche la storia del nostro secondo dopoguerra.

E’ facile mostrarsi avanzati, spostando ogni volta più avanti il margine delle rivendicazioni sociali. Ma tutto ciò diventa un gioco a somma zero, se non si affrontano le reciproche idiosincrasie, le incompatibilità storiche ed ideali tra forze che hanno culture originarie, tradizioni ed esperienze differenti. Eppure, in un dato frangente, non possono sottrarsi alla responsabilità di una collaborazione, senza che ciò escluda del tutto un persistente atteggiamento competitivo.

Le differenze sono preziose, nella misura in cui si offrono ad un impegno di mediazione, che si può esercitare anche tra posizioni alternative. Cioè orientamenti e visioni che per quando difformi, hanno comunque almeno uno spazio di possibile interlocuzione. Il quale, invece, non si può rintracciare laddove le posizioni di ciascuna forza siano addirittura “antitetiche”, cioè tributarie di abiti mentali incomponibili alla radice. In tali casi, ad insisterci, anziché affidarsi ad un chiaro ed esplicito confronto, si rischia di scivolare nel compromesso che è cosa totalmente diversa dalla mediazione.

Senza questo arco di volta che tiene insieme, cosicché si giustifichino reciprocamente, quadro politico e programma, quest’ ultimo finirebbe per assumere tutt’ altra configurazione. Rischierebbe di essere derubricato a mera elencazione di cose da fare, non più rispondenti ad una coerenza interna, a quella logica che, rinviando ogni punto del programma agli altri, offre effettiva consistenza al progetto.

Contrariamente alle forze politiche di impronta ideologica, il “partito di programma”, che per noi risale a Sturzo, è tuttora un’entità moderna ed aperta, la più adatta, forse l’unica passibile di poter “domare” la complessità. Anziché “dedurre” i suoi indirizzi da assiomi stabiliti una volta per tutte, è in grado di apprendere induttivamente dall’ esperienza e, quindi, capace di produrre nuove visioni, anziché riproporre pedissequamente la stessa lezione inamidata. Questo, peraltro, nulla ha a che vedere con una sorta di relativismo che, privo di un puntuale sistema di valori, si affidi al pragmatismo del giorno per giorno, piuttosto che all’ assunzione di alcuni principi ed orientamenti inoppugnabili. In altri termini, ha di per sé una natura, una vocazione ed una funzione “popolare”, cui deve saper corrispondere.

“Partito di programma” vuol dire, in buona sostanza, partito di principi e di valori che accettano di ingaggiare, ogni giorno, nella temperie storica del momento, un corpo a corpo con le trasformazioni che attraversano e provocano il corpo sociale per trarne un linguaggio, indirizzi e criteri che orientino l’ azione politica. Nulla ha a che vedere con presunte “fusioni” e neppure con strategie da “campo largo” frastagliato ed indistinto, ma, se mai, con un campo strutturato, con un perimetro inclusivo, ma non evanescente, contrassegnato da precisi punti di repere.

Queste considerazioni valgono, in larga misura, anche per alleanze e coalizioni che non intendono trasformarsi in “partito”, me vivono alla ricerca di convergenze che consentano una comune azione politica. Vale la pena di citare alcuni punti dirimenti che hanno a che vedere anche con l’ importante iniziativa che Letizia Moratti sta intraprendendo ed alla quale anche INSIEME guarda con attenzione, con spirito costruttivo e discernimento.
Anzitutto, non si può prescindere da una comune e condivisa lettura della Carta costituzionale e, dunque, della forma di Stato cui ci rapportiamo.

La Legge fondamentale che regge gli equilibri della nostra convivenza civile fonda il nostro ordinamento democratico sulla centralità della rappresentanza parlamentare, evoca ed esige una partecipazione diffusa ed attiva dei cittadini al discorso pubblico. Nulla ha da spartire con un “principio d’ autorità”, con forme di leaderismo, più o meno carismatico, fondato su una centralizzazione verticale e sulla personalizzazione del potere, come si configurerebbe nelle forme del “presidenzialismo” o dello stesso “premierato”.

Analoga consonanza, a nostro avviso, si rende necessario in ordine ad una nuova legge elettorale proporzionale che consenta di dar voce al pluralismo di cultura politiche che arricchisce il nostro Paese. Si tratta, insomma, di avviare una prima trasformazione del nostro sistema politico, “restituendo l’ Italia agli italiani”, cioè liberando i cittadini-elettori dal cappio soffocante del bipolarismo maggioritario.

Un altro punto focale è rappresentato dal comune riferimento alle grandi famiglie politiche dell’ Europa e tra queste, per quanto ci riguarda, il PPE, che è pur sempre la casa comune dei cristiano-democratici e dei grandi padri fondatori che hanno ispirato l’ideale europeo. Infine, ma non ultimo, è del tutto ineludibile il tema delle cosiddette “questioni eticamente sensibili”, dalle quali passa l’auto-comprensione che l’umanità va costantemente rielaborando, soprattutto in questo momento storico. Considerando, peraltro, che la consonanza di valori tra Dottrina Sociale della Chiesa e Costituzione rappresenta un dato essenziale anche per la difesa e la promozione della dignità e della stessa libertà della persona.

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