E’ difficile sostenere che la crisi del governo Conte sia stata provocata da interessi personali e di parte, veri o presunti. L’inceppo del piano di ripresa da presentare in Europa per accedere al Recovery Fund era stato largamente acclarato e limitarsi a mettere delle pezze sarebbe stato troppo rischioso. Per non dire del conflitto permanente tra Stato e regioni, ormai una costante, oppure dei problemi posti dalla perdita di posti di lavoro che non potevano certo essere affrontati a lungo con i ristori , il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione.
La formazione di un nuovo governo pensato dal Presidente della Repubblica ha fatto piuttosto venire alla luce qualche primo elemento nuovo nella politica di casa nostra.
I populismi non saranno certo finiti ma quelli di maniera o di convenienza sono stati spazzati via dalle esigenze di raccordo con l’Europa. La necessità di poter contare su competenze effettive nei ministeri chiave era vera e reale, e i partiti sono stati costretti a ricercare il dibattito interno invece di corrispondere solo alla ossessione di una campagna elettorale permanente che avvelenava i pozzi della pur legittima ricerca del consenso.
All’ordine del giorno ci sono ora le emergenze vere ed è sui risultati concreti che si misurerà quel che resta delle forze politiche e quello che si muove nelle forze economiche e sociali.
La prima emergenza è certamente quelle sanitaria, nonostante alcuni positivi interventi del governo Conte. Decisivo sarà il rapporto di maggiore chiarezza tra Stato e regioni di fronte alle incognite delle varianti del virus sempre più insistenti che rischiano di provocare la terza ondata dei contagi. Per ora le circostanze ci dicono che le necessità sono quelle della attuazione della campagna di vaccinazioni di massa, intervento già non semplicissimo, ma quando tutto sarà finito, o almeno attenuato, due sono le esigenze emerse: la prima è quella di una sanità dove l’eccellenza non sia misurata solo su alcuni centri ospedalieri di prestigio ma si estenda più concretamente alla riorganizzazione delle strutture sanitarie territoriali di base; la seconda sarà e quella di disporre in modo permanente e aggiornato di piani e procedure per fare fronte alle pandemie che dovrebbero far parte delle politiche di protezione civile ma sono da tempo trascurate, e non solo nel nostro Paese, come ha messo in evidenza la crisi pandemica.
L’altra emergenza è quella del lavoro, imposta non solo dal milione di posti di lavoro già persi in un anno e dal blocco dei licenziamenti che non potrà continuare a lungo. Per affrontarla seriamente è necessario partire da un dato di realtà ormai evidente: come prima non si tornerà più perché alcune figure di lavoratori sono definitivamente sparite, travolte dall’avvento tumultuoso delle applicazioni di nuove tecnologie e dalla comparsa sempre più estesa dei lavori precari. Serve, e da tempo, una vera e propria riforma che non si limiti a ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro ma ponga in essere meccanismi nuovi a cominciare da quelli delle politiche attive non generalizzate ma basate su strumenti formativi agili e specifici per i nuovi lavori in grado di favorire le ricollocazioni. Non è vero che la domanda di nuove figure di lavoro manca: è quella dei vecchi lavori che non c’è più perché la domanda si sposta sia per settori che per aree geografiche. La tutela delle persone non può essere affidata ai pasticci del reddito di cittadinanza, e tanto meno ai “navigator”, ma si può esprimere e si organizza puntando alle ricollocazioni e ciò in quanto il lavoro non è solo reddito ma soprattutto condizione di dignità.
Quanto alle altre riforme, inutile farsi illusioni che nel breve termine si possa affrontare quella del fisco, che esige sistematicità (e non a caso si parla per ora di rivedere la aliquote dell’imposizione diretta) e quella della pubblica amministrazione che richiede interventi che muovano dalla base e che quindi si potrà affrontare solo in tempi lunghi. Così come la scuola, scossa ogni anno da carenze di ordinaria amministrazione come la disponibilità di insegnanti e di spazi adeguati.
Meglio quindi non aspettarsi miracoli dal nuovo governo: sarebbe sufficiente non perdere le opportunità del Recovery Fund e saper affrontare seriamente le emergenze sanitarie e quelle del lavoro. Per il resto aspettiamoci certo provvedimenti intelligenti, tenuto conto del nuovo Presidente del Consiglio, ma senza la pretesa di ritenerli tutti e subito riforme di sistema.
Guido Puccio