I tempi straordinari e gravi che viviamo hanno indotto anche il nostro governo a mettere in campo mezzi finanziari di dimensioni semplicemente non immaginabili prima della crisi sanitaria.

Non solo, anche l’Europa fa la sua parte con la sospensione del tanto temuto patto di stabilità, la potente iniziativa della Banca Centrale per creare liquidità, i “quattro pilastri” degli interventi programmati per la sanità (MES) il lavoro (SURE) gli investimenti delle imprese (tramite la Banca Europea degli Investimenti) e più recentemente per ripristinare le condizioni dello sviluppo (RECOVERY FUND). Strumenti complessi, alcuni frutto di trattative e mediazioni, altri condizionati come è giusto a riforme da attuare concretamente.

Tutto ciò rappresenta una situazione non solo inimmaginabile solo sei mesi fa ma che non si verificherà più tanto facilmente.

Eppure, sia le decisioni del governo di spendere a debito, sia finalmente gli atti concreti di cooperazione europea, serviranno a ben poco se l’utilizzo delle risorse non sarà ordinato e definito attraverso i meccanismi previsti dalla politica di bilancio. E’ infatti in questa sede che le scelte del governo trovano concretezza negli impieghi delle risorse attraverso il confronto in Parlamento, ormai nella prospettiva del 2021, visto che gli interventi europei si concretizzeranno prevalentemente il prossimo anno.

Ecco perché appare fondato il suggerimento di personalità come Lorenzo Bini Smaghi, che ha consigliato di anticipare la discussione della legge di bilancio, come pure quello di Pier Carlo Padoan di pensare almeno ad anticipare la Nota Aggiunta alla manovra di economia e finanza.

Muoversi subito così, non solo attraverso i due strumenti più rilevanti di politica economica e quindi nel contesto degli atti ufficiali di governo previsti dalla legge e dai regolamenti parlamentari, ci renderebbe certamente più credibili davanti ai mercati, con i quali prima o poi si dovranno sempre fare i conti, ma anche davanti al mondo delle imprese, degli enti locali, dei cosiddetti corpi intermedi e delle famiglie.

Se quindi da un lato le risorse non mancheranno, dall’altro sarà inevitabile affrontare la recessione economica  in atto aggravata dall’inquietante rischio  di tensioni deflazionistiche.

Per consentire al sistema produttivo una ripresa dopo il blocco delle attività non saranno certo gli incentivi e i contributi a fondo perduto gli strumenti idonei per risolvere i problemi. E’ adesso il momento per affrontare con decisione riforme serie, effettive e puntuali, come il riordino della pubblica amministrazione, la semplificazione della burocrazia, un migliore funzionamento della giustizia, il deciso accesso alle infrastrutture digitali e il rimodernamento del sistema dei trasporti, creando così condizioni effettive per la ripresa. E  quindi mettendo mano agli investimenti pubblici praticamente fermi da almeno un quinquennio.

Il nostro è un Paese che ne ha viste tante di emergenze ed ha saputo sempre affrontarle superando anche situazioni che sembravano drammatiche. Basta mettere gli imprenditori in condizioni di credere ancora negli investimenti e fare tutto quanto è possibile per favorire la creazione di posti di lavoro, sottraendo dall’angoscia chi vive della propria occupazione, per assistere in tempi ragionevoli alla ripresa di produzione, esportazione e consumi. E tanto per cominciare, perché non facilitare subito il rinnovo dei contratti a tempo determinato che dopo il blocco ha fatto perdere settecentomila posti in tre mesi?

Il rischio è che la disponibilità di risorse finanziarie, favorita dalla sospensione del patto di stabilità e dagli strumenti messi in campo dalla Unione Europea, provochi in occasione del passaggio parlamentare della legge di bilancio il solito assalto alla diligenza. E’ qui, nella capacità di tenere la barra a dritta che si misureranno concretamente competenze e professionalità di governo proprio nell’emergenza.

Guido Puccio

 

Immagine utilizzata: Pixabay

 

 

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